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Caro Heidegger, lasciami perdere tempo in pace

La mia omonima, poverina, mi inoltra mail arrivate a lei per sbaglio, che leggo nella solitudine di stazioncine sperdute. Mi immergo nelle storie sulla gloria sfiorita di Hollywood e mi riposo, di nuovo, tra le pagine dell’amata ed eccentrica «Zia Mame». La noia sublime e la mia distrazione

Da quando la mia omonima mi ha manifestato compassione mi chiedo continuamente che ci faccio qui, e spesso non so rispondere.

Dovete sapere che ho una corrispondenza con una ragazza (o donna, chissà; io la immagino ragazza) che si chiama Ilaria Gaspari, come me. La sua mail è uguale alla mia, se non per l’inversione fra nome e cognome; e siccome il suo indirizzo presenta la combinazione più intuitiva, le arrivano messaggi destinati a me. Essendo molto gentile – solo questo so di lei – me li inoltra. Io ho l’ansia di disturbare e le rispondo che mi dispiace per tutte queste mail. Sono inviti a presentazioni, incontri, librerie, biblioteche. Le ho spiegato che per lavoro passo un sacco di tempo in treno. Non ti invidio, mi ha scritto. Già. Mi guardo intorno: solo pioggia e provincia, la sconfinata solitudine di una stazioncina che i treni superano senza fermarsi. Il mio dovrebbe arrivare al binario 1, ma sono in anticipo; il tassista era stupito che partissi proprio da qui. Piove e sugli alberi in lontananza brillano le prime foglioline, di un verde così tenero che un anno dopo l’altro lo dimentico. Forse più tardi smetterà, il cielo si solleverà e il tramonto sarà roseo, ma io per l’ora del tramonto sarò già lontana. Ho letto una volta una pagina di Heidegger che diceva che la vera noia, quella che mette in contatto con l’Essere, la si può scoprire nella sua forma più pura in una stazioncina deserta, di domenica pomeriggio. Oggi è lunedì, e forse per questo non incappo in verità metafisiche – o forse è solo che non sono capace di annoiarmi come si deve. E comunque la noia sublime che deve aver conosciuto Heidegger lungo le ferrovie della Brisgovia, in questo tempo di distrazioni è un miraggio. E infatti mi distraggo, fisso foglie lontane e mi metto ad ascoltare, senza auricolari perché tanto non c’è nessuno, un podcast che mi appassiona, You must remember this di Karina Longworth, che racconta i segreti dimenticati del primo secolo di storia del cinema. L’equivalente, in formato podcast, di Hollywood Babilonia di Kenneth Anger, anche se meno perturbante – ma mi dà la stessa sensazione, di rapimento languido. Mi domando cosa mi attragga tanto in queste storie di star tramontate, di gloria sfiorita. La piccola stazione si dissolve, la voce mi avvolge in uno struggimento che fa sognare – fra l’altro questo podcast ha la caratteristica di farti desiderare fortissimo di vedere i film di cui parla, eppure in qualche modo provvede, per quel desiderio che difficilmente si può esaudire nell’immediato, in una stazioncina in mezzo al nulla, una forma di appagamento tutta immaginaria: sa farti vedere le cose che racconta.

Per poco non perdo il treno, tanto sono riuscita a distrarmi; Heidegger disapproverebbe ma non me ne importa niente. Mi siedo al mio posto, è uno di quei regionali con i sedili blu, due ragazzine ridono guardando qualcosa sul telefono, io spero di non perdere la coincidenza a Bologna. Tiro fuori il romanzo che sto rileggendo per l’ennesima volta, perché mi conforta e mi fa sentire come se non potesse succedere niente di male, come se fossi anch’io sotto l’ala protettiva di un’eccentrica, carismatica, seduttiva, monumentale zitella che quando il mondo la contraddice è in grado di inventarsi un nuovo modo di guardarlo, di ribaltarlo e immaginarlo daccapo, e di dare una festa per festeggiare ogni liberazione: Zia Mame di Patrick Dennis. E lo so che c’è una montagna di libri che non ho letto nemmeno una volta, e che rileggere sempre gli stessi è una perdita di tempo, ma di nuovo non mi importa. Qualche volta, quando sono stanca, tutto quel che desidero è aprire la porta di un romanzo, accomodarmi e riposarmi un poco come da bambina; e ritrovare un pezzetto di me, in barba a Heidegger che mi vorrebbe annoiata.

«Se conoscessi il tempo come me», dice il Cappellaio Matto a una ragazza veramente giovane, Alice, «non avresti paura di perderlo»; e mentre mi accingo a dissipare il mio, di tempo, mi dico che sarà stato sì un nonsense, ma aveva proprio ragione.

Ilaria Gaspari è filosofa e scrittrice. Tra i suoi libri: «Lezioni di felicità. Esercizi filosofici per il buon uso della vita» (Einaudi, 2019), «Vita segreta delle emozioni» (Einaudi, 2021), «La reputazione» (Guanda, 2024). È tradotta in diversi paesi.