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Cento colpi di bancomat: storia dei nostri soldi

I soldi sono un tema sentimentale, familiare e femminile, anche se si è sempre detto: le donne non ne possono parlare. Ma negli estratti conto, nelle spese e nei guadagni, si annidano le biografie delle persone: la questione economica non si può separare nemmeno dall’amore. Il denaro da pretendere, quello da spendere e quello che non c’è mai stato

Cara Melissa,
«Se in quel periodo fossi stata stronza come sono oggi, avrei seppellito un po’ di gente. Invece mi fidavo di tutti: di chi mi aveva messa al mondo e di chi mi aveva regalato un mondo magico fatto di film, pubblicità, soldi, regali di aziende di lusso che mi inviavano occhiali da sole e creme antirughe fatte con la tritura di diamante. Mi sentivo fortunata ed ero infelice. Ero ricchissima ma vivevo come una pezzente per compiacere Trevor che, essendo cresciuto negli agi, si vergognava dei soldi e cercava di vivere molto al di sotto delle proprie, anzi delle nostre, anzi delle mie, possibilità».

In questo brano di Storia dei miei soldi trovo il senso di tutto il libro, forse è la ragione per cui quella pagina, 91, è la prima che mi si riapre anche a caso quando ci torno su, ed è successo molte volte dalla prima lettura, non riesco ancora a staccarmi. È un libro ipnotico, perfetto nella sua semplice forza, scritto in un modo così naturale. Ed è incredibile come tu sia riuscita a dribblare tutti i luoghi comuni: quello delle donne che non possono parlare di soldi, certo, ma anche strutture e dinamiche molto più insidiose e sottili, quanto sia faticoso vivere con chi è nato ricco e recita una incongrua purezza, e quanto sia difficile separare la questione economica dall’amore, perfino da quello materno. Clara T., il personaggio di finzione che ti racconta la sua storia, l’attrice che usi come specchio, sponda e alterità, ha una voce non morale e per questo potentissima. Tutto il libro dice che i soldi sono un tema sentimentale, femminile e materno. Per me questo romanzo è una rivoluzione.

Cara Nadia,
la mia rivoluzione, senza dubbio. Perché io, di soldi, non riuscivo nemmeno a parlare con me stessa. Sono una di quelle persone che non controlla quanto ha sul conto corrente per paura di trovarci poco o niente. E io so, e lo so davvero da quando ho cominciato a pensare a questo romanzo e da allora non ho più smesso di crederlo, che quei soldi che sono sul mio conto non sono solo soldi che si sono accumulati o persi, ma parlano di una storia sentimentale, personale. So, per esempio, che se per anni non ho fatto altro che ripetere la sceneggiatura di chi si vede sottrarre i soldi con il ricatto, e adesso che quella maledizione è spezzata io so condividere i soldi con mio marito, i miei figli, destinandoli a un fondo comune in cui tutti mettiamo e da cui tutti attingiamo. È su questo terreno che ho costruito la mia famiglia, ed è quindi questo l’amore circolare che ci unisce. Il modo in cui dentro una famiglia fai circolare il denaro, come lo pretendi, come lo chiedi, come lo dai oppure non lo dai, costituisce il cuore di quel rapporto: è da lì che possono nascere le disgrazie o anche la meraviglia, è da lì che tutto si corrompe o al contrario prospera.

Cara Melissa,
nessuno, nella mia famiglia di origine, mi ha mai detto che parlare di soldi è volgare: credo che questa esplicita avvertenza, di solito pronunciata con aria naïf, sia tipica dei ricchi, e noi non lo eravamo. Non eravamo neanche poveri, però. Eravamo quello che sintetizza Natalia Ginzburg in un suo racconto, Infanzia, che infatti ho ripreso come esergo per il mio secondo romanzo, Addio fantasmi: «Avevo sempre l’impressione che noialtri fossimo una strana famiglia di gente né ricca né povera, molto più ricchi dei poveri e molto più poveri dei ricchi, con un giardino che era una cosa da gente ricca ma con un cesso buio dove ci crescevano i funghi». Sapevo benissimo che mia madre, che mi tirava su da sola, guadagnava novecentomila lire al mese negli anni in cui ero alle scuole medie e lei aveva rinunciato a un posto da insegnante di ruolo, molto meglio pagato, per fare ciò che desiderava: la ricercatrice. Sapevo anche che la casa dove abitavamo non era nostra, ma di mio nonno, e che un giorno non lontano avremmo dovuto dividerla con i fratelli e le sorelle di mia madre. Non mi potevo permettere scarpe costose o felpe firmate, al contrario dei miei compagni di classe, ma mia madre stava molto attenta a non privarmi del necessario per la scuola o le attività extrascolastiche. Tuttavia a Natale arrivavano i regali degli zii ricchi e io segretamente, e vergognandomi, gioivo. Sicuramente sono cresciuta con dei valori solidi sull’argomento, ma anche con la sensazione di dover sviluppare una mia etica nel silenzio di tante cose non dette. Qualche tempo fa hai curato un’agenda per ragazze adolescenti per Demetra, e hai dedicato al denaro pagine importanti, che sottolineavano l’importanza di una gestione economica consapevole e autonoma, anche nei dettagli. Mi ha colpita molto, perché negli anni Novanta le ragazze erano lontane da tutto questo.

Cara Nadia,
negli anni Novanta, in Sicilia, e sicuramente nella casa dove sono cresciuta io, ogni mattina i mariti lasciavano sul tavolo ventimila lire che le mogli raccoglievano e con quelli andavano a fare la spesa. A volte non bastavano per capricci come il salame o la cioccolata, quelli erano i soldi contati per la sopravvivenza, per le necessità. Ero piccola e mi facevo molte promesse, una delle quali era che i soldi dovessero essere i miei, che chiederli a un uomo o a chiunque altro non mi avrebbe dato la possibilità di esistere nel modo in cui volevo. Questa cosa ha senza dubbio influenzato la mia vita di adulta, la influenza ancora adesso. Da bambina ogni tanto i miei mi lasciavano a casa di una cara zia per niente ricca; ricordo che mi assaliva una fame spaventosa, io che ero sempre inappetente. A casa di quella zia, dove la mancanza di denaro era la regola, improvvisamente si risvegliava il mio appetito, le svuotavo la dispensa: le merendine del discount, il pane, le carote, qualsiasi cosa avesse di commestibile finiva nella mia pancia. Credo accadesse per la stessa ragione per cui ancora adesso quando ho pochi soldi a disposizione, decido di spenderli tutti per qualcosa di futile. Devo far sparire in fretta quello che sta per finire. È, forse, una cosa che faccio perché non so prendermi congedo dalle cose, o perché non sopporto l’agonia, o perché se sapessi di avere gli ultimi soldi della mia vita, probabilmente li spenderei per dare una grande festa, per dire addio per sempre a quel denaro. Una follia da cui non so se guarirò, o se vorrò guarirne. Quando a nove anni lessi per la prima volta Madame Bovary, io riuscii a comprendere benissimo il sentimento di Emma, quello di una donna di provincia che soffriva perché non poteva vivere le avventure delle donne di città. Disprezzava la mediocrità del vivere, e io questo lo capivo, perché l’avevo vista tante volte la faccia dei miei genitori mentre sborsavano per corsi di piscina, di danza. I miei guadagnavano molti soldi, ma solo in certi periodi come accade sempre ai commercianti, potevano permettersi tanto, ma avevano sempre la sensazione di essere poveri. Perché la povertà è una cosa dentro cui puoi precipitare sempre, chiunque tu sia. E ti aspetta dietro l’angolo. È da questo spettro che non puoi scappare.

Cara Melissa,
la frase più iconica del libro dice che è negli estratti conto che si annidano le biografie delle persone, è dalle spese e dai guadagni che capiamo tutto di loro. Hai esordito da adolescente parlando di sesso, vent’anni dopo scrivi di soldi: abbatti i tabù con una facilità che altri si sognano. Eppure a me sembra che la tua scrittura sia soprattutto una ricerca di lenti sotto le quali guardare la società e le persone per vederle in filigrana: l’astrologia, la vita del corpo, quella economica.

Cara Nadia,
io credo c’entri molto il fatto di essere bassa: ho sempre visto il mondo e la realtà da una prospettiva diversa. Nei luoghi molto affollati, alle feste, ai concerti, io vedo pance, schiene, talvolta persino gambe. Non guardo le persone negli occhi. Ho perciò fatto esperienza di un tipo di mondo invisibile ai più e come scrittrice trovo naturale rappresentare quel mondo, raccontarlo attraverso forme non convenzionali. Parto dal presupposto che tutto è e può essere una storia, che qualunque cosa sa parlare se hai orecchie buone per ascoltare. Talvolta, è successo che mi abbiano contestato la mia fede nell’astrologia, una fede che nasce dalla consapevolezza che tutto sa di te, dunque tutto può essere terreno dove la tua storia personale può fiorire. Gli astri sono un modo come un altro per dispiegare la nostra storia, sono archetipi, storie mitiche e antiche che possono dirci con un’altra lingua quello che siamo, quello che magari forse vorremmo non sapere. Lo stesso fa il sesso, perché nell’intimità siamo autentici, è quello il momento in cui cadono tutte le maschere, ti sveli in senso letterale e figurato. I soldi, poi: con i soldi non puoi mentire. I tuoi soldi raccontano di te pure se non vuoi far sapere agli altri chi sei. Cosa ne hai fatto del tuo denaro? Come lo hai speso? A chi e quanto ne hai regalato?

Ti è stato sottratto con la forza, con il ricatto? I soldi li possiedi o te ne fai possedere? I soldi sono strettamente legati all’amore, all’amore per noi stesse, all’amore che diamo agli altri. Come può, questo amore, non sapere di vita? Sono, insomma, tre modi per indagare nella tua e nell’altrui esistenza senza il filtro della menzogna, con la quale ho un problema personale. Penso infatti che i segreti e le bugie siano oltraggi alla persona, sono esattamente come Clara, «una per cui è più importante una verità non necessaria che una necessaria bugia». Forse solo in questo sono stata e sono ancora audace, nel non sapere riconoscere che a un certo punto mentire è necessario, se vuoi salvarti la pelle e per avere una reputazione splendida. Non perciò nel racconto del sesso sporco, del denaro che ti insudicia le mani, nelle stelle che ti rendono strega da bruciare, ma nel non saper venir meno alla promessa che mi sono sempre fatta: rimanere fedele a me stessa, qualsiasi cosa accada.

Nadia Terranova (Messina, 1978), scrittrice. Ha pubblicato i romanzi “Gli anni al contrario” (Einaudi 2015, vincitore del premio Bagutta Opera Prima e del The Bridge Book Award), “Addio fantasmi” (Einaudi 2018, finalista al Premio Strega 2019), “Trema la notte” (Einaudi 2022), la raccolta di racconti “Come una storia d’amore” (Giulio Perrone Editore, 2020), e diversi libri per ragazzi tra cui “Aladino” (Orecchio Acerbo 2020, illustrazioni di Lorenzo Mattotti) e “Il Segreto” (Mondadori 2021, illustrazioni di Mara Cerri). È appena nata sua figlia Luna.

Melissa Panarello (Catania, 1985), scrittrice e agente letterario. Ha esordito a diciassette anni con «Cento colpi di spazzola prima di andare a dormire», che poi è diventato un film diretto da Luca Guadagnino. Ha scritto e interpretato i podcast “Love Stories”, “C’era una volta e c’è ancora” e “Pornazzi”. «Storia dei miei soldi» (Bompiani, 2024) è il suo ultimo romanzo, candidato al Premio Strega 2024.