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L’Ucraina stupefacente di chi torna dal fronte

I soldati combattono, i civili resistono e aspettano o un ritorno o la chiamata nell’esercito. La scia degli orrori russi ha spinto gli ucraini a trovare nuovi mezzi per proteggersi, a prendersi cura della propria salute mentale, tra vergogne, depressioni e consigli per i bambini. Olha, Olena e Tetiana ci raccontano l’ultima frontiera della terapia: le sostanze psichedeliche

Olha Klymovska dice di aver accettato di restare al sicuro a Uzhhorod, al confine occidentale dell’Ucraina. Da qui può aiutare meglio i suoi pazienti, senza dover temere per la sua incolumità fisica e proteggendo la sua integrità psicologica. Oltretutto, svolgendo le sedute di psicoterapia prevalentemente da remoto, avere una connessione internet stabile è uno strumento indispensabile. La prima volta che ci siamo sentite, il 25 febbraio 2022, la conversazione è stata asincrona, con messaggi su Telegram che inviava tra un bombardamento e l’altro da un rifugio nella sua città d’origine, Kharkiv. Il giorno dopo è andata via, mille chilometri più a ovest. Olha è una Idp, internally displaced person, e una psicoterapeuta. Segue online e offline i pazienti del suo studio privato e lavora costantemente con organizzazioni non governative locali, offrendo supporto psicologico alle persone colpite dal conflitto. Quando l’escalation era ormai in arrivo i pazienti le si rivolgevano per imbrigliare la propria ansia e non ha mai smesso di lavorare, nelle primissime fasi dell’emergenza come in quelle successive. Ha trattato anche gli ucraini rifugiati all’estero che avevano bisogno di uno psicoterapeuta che parlasse la loro lingua; di recente, ha iniziato dei percorsi con chi ha subito violenze sessuali durante le occupazioni russe. Di recente un articolo del quotidiano francese Le Monde raccontava il senso di vergogna con il quale queste persone debbano convivere. Olha ha un quadro preciso di come stanno gli ucraini a più di due anni dall’inizio della guerra su vasta scala. Una delle prime cose che mette in chiaro è che la depressione è in aumento per quasi ogni categoria sociale. A fare la differenza non è tanto l’area geografica dove abitano ma le esperienze comuni e trasversali alle quali sono stati sottoposti. «Prendi per esempio le famiglie dei soldati dispersi – dice Olha – Non sanno se sono stati uccisi, catturati o che cosa sia accaduto loro. Ovunque vivano, i sintomi sono simili». Un fattore fondamentale è il sostegno ricevuto dalle persone intorno, oltre alla soddisfazione dei bisogni primari: dormire sufficientemente bene, mangiare sufficientemente bene.

Olha insiste su un altro cambiamento avvenuto in questo arco di tempo. Similmente a quanto avviene in altre parti del mondo – anche in Italia – l’idea del prendersi cura della propria psiche è stata finora esplorata quasi esclusivamente dalla fascia più istruita della popolazione, che spesso corrisponde a chi vive nelle grandi città. In Ucraina il conflitto ha portato la psicologia e la psicoterapia a porzioni più vaste della popolazione. Il riconoscimento della salute mentale nella sfera del discorso pubblico globalizzato – la giornata mondiale del 10 ottobre, le multinazionali che parlano di awareness, lo sbarco sui social di campagne contro lo stigma – in Ucraina si è unito alle esigenze della guerra. Sul tema si era mossa lo scorso anno anche la first lady ucraina Olena Zelenska, la quale aveva promosso una iniziativa per la salute mentale intitolata «How are you?». Ma, oltre alle campagne d’informazione, secondo Olha, stanno sortendo i primi effetti le cure di base offerte dai medici di famiglia, molti dei quali oggi riescono perlomeno a individuare i problemi di natura psicologica, dalla rete dei gruppi di supporto tra pari e delle ong che continuano a intervenire anche in prima linea. Non si sa se questo, però, possa bastare.

Tetiana Vuks è una psicologa della ong Proliska e opera nella zona di Kharkiv dal 24 febbraio 2022. All’inizio cercava di contenere lo choc dei civili che si andavano a rifugiare sottoterra, per esempio nella metropolitana, e di stabilizzare lo stato mentale delle persone durante le evacuazioni. In una fase successiva ha potuto concentrarsi nell’aiutare famiglie con bambini a trovare le risorse mentali necessarie per affrontare la guerra nel medio-lungo periodo. Con le scuole distrutte c’è un’ovvia difficoltà a restaurare una normalità, oltre agli svantaggi educativi che i più giovani rischiano di portarsi dietro nella crescita. Tetiana ricorda che la regione di Kharkiv non è ancora un territorio stabilizzato, ma le persone sono entrate nella fase dell’accettazione. «Ricorda le fasi del lutto – dice – in un primo momento neghi tutto poi subentra la rabbia e, infine, l’accettazione».

Molte richieste di aiuto arrivano dalle famiglie dei soldati che sono rientrati dal fronte. Reintegrare gli ex combattenti nella vita familiare e nel tessuto sociale è uno dei principali problemi che l’Ucraina dovrà affrontare nei prossimi anni. Le comunicazioni in famiglia sono peggiorate, chi è rimasto ha difficoltà a comprendere il vissuto di chi è partito e come l’abbia cambiato. Questo pone una grossa responsabilità sulle spalle degli psicologi ma anche di chi si deve occupare di reinserirli nel mondo lavorativo. La stessa Tetiana sta già coprendo questo aspetto, aiutando gli ex soldati ad adattarsi al rientro e a trovare un lavoro.

Quando si parla di effetti psicologici della guerra spesso viene ricordato come i veterani della guerra del Vietnam abbiano spinto la società americana al riconoscimento della legittimità del trauma, codificato poi (non senza critiche) nella categoria diagnostica del Ptsd, il disturbo post traumatico da stress. In realtà, come emerge parlando con Olha Klymovska, il Ptsd non è la sola e principale diagnosi in cui incorrono i veterani, più spesso colpiti da depressione. E ci sono gruppi di civili nei quali l’incidenza del Ptsd può essere molto elevata: in base all’esperienza maturata da Olha, chi durante le occupazioni ha subìto violenze sessuali. Nonostante le ponderazioni necessarie, la questione della cura della salute mentale dei veterani ucraini potrebbe concorrere a un cambiamento della società ucraina.

Il 4 maggio 2023 Upra, l’associazione ucraina per la ricerca sugli psichedelici, ha organizzato una conferenza a Kyiv in grande stile. Diretta su YouTube in ucraino e in inglese con traduzioni simultanee, ospiti internazionali, superstar del panorama del rinascimento degli studi su sostanze proibite per la cura della salute mentale. Il punto di maggiore intensità narrativa si è raggiunto quando Stanislav, un veterano ucraino detto Hitman, sicario, ha raccontato di aver trattato il Ptsd e la depressione con la psicoterapia assistita da psilocibina, il principio attivo contenuto in quelli che sono comunemente detti funghi magici. Lo ha fatto clandestinamente, perché l’Ucraina è un paese proibizionista, al momento. In una intervista rilasciata il giorno precedente il congresso, Oleh Orlov, ricercatore in Psicologia a capo di Upra, aveva sintetizzato le posizioni della politica e della società ucraine dicendomi che nel suo paese l’unica forma legale di utilizzo delle sostanze psichedeliche e simili avviene quando la polizia addestra i cani antidroga a trovarle. Per l’ucraino medio, continuava Orlov, non c’è differenza tra i vari tipi di droghe, sono tutte considerate alla stregua del fentanyl e di altri oppioidi. Qualcosa adesso è in evoluzione.

Se Upra si occupa del vasto compito di sensibilizzare la società al tema, Phoenix Ucraine lavora metodicamente per realizzare delle sperimentazioni su pazienti ucraini. Siede al tavolo delle trattative con il governo e il Parlamento per chiedere di consentire i trial in Ucraina: i primi risultati potrebbero vedersi presto. La commissione del Parlamento che si occupa di salute ha dischiuso la porta alle proposte per consentire un uso delle sostanze limitato alle ricerche. A dirmelo è la fondatrice di Phoenix, Olga Chernoloz, una farmacologa clinica originaria di Kramatorsk che vive da anni in Canada. Sta provando, assieme a pochi altri, a gettare un ponte tra l’Ucraina, dove la guerra sta mettendo a serio rischio l’equilibrio psicologico della popolazione, e il Nord America, dove le ricerche di questo tipo vanno avanti a passo spedito. Il 2024 potrebbe essere l’anno in cui l’ente per la regolamentazione dei farmaci negli Stati Uniti, la Food and Drug Administration, potrebbe dare il via libera definitivo proprio alla terapia assistita da Mdma per il disturbo post traumatico da stress. Questi studi sono stati condotti dalla no profit Maps, che si occupa anche di formare i futuri psicoterapeuti che utilizzeranno questo strumento. La questione del formare i professionisti è cruciale per l’accessibilità: di fatto, già un manipolo di psicoterapeuti ucraini ha avuto accesso a questo tipo di training, ma all’estero.

Maryna Zagorodnya ha seguito un corso diverso per la formazione alla terapia assistita dagli psichedelici, proposto dal California Institute of Integral Studies. «Mi hanno insegnato molto sull’etica, che è naturalmente un tema cruciale, e anche molto sugli aspetti scientifici, storici, sul potenziale terapeutico e sulle tradizioni sciamaniche», racconta Maryna. È una psicologa e psicoterapeuta della Gestalt nata e cresciuta a Kyiv, ha trentasei anni. Non ha ancora provato la terapia psichedelica con alcun paziente, ma vi ripone delle speranze. Pur restando realista: «Dobbiamo essere responsabili e attenti, non affrettare le cose; gli psichedelici non sono per tutti».

Quando è scoppiato il conflitto su vasta scala, Maryna era in vacanza, zaino in spalla, in Turchia. Ha dovuto attendere prima di poter tornare a casa, per poi trasferirsi assieme ai suoi genitori nel Regno Unito. Qui continua la sua pratica clinica, svolge online le sedute con i clienti che già aveva e lavora con due progetti destinati ai rifugiati ucraini aiutando le persone ad adattarsi alla situazione e ai grossi sconvolgimenti in atto nelle loro vite. I rifugiati sono addolorati per aver perso tutto, ma provano anche il senso di colpa dei sopravvissuti. «Conosco persone – dice Maryna – che vivono nel Regno Unito ma sul cellulare hanno ancora il sistema di allarme che si usa in Ucraina. Si svegliano nel mezzo della notte a causa delle sirene, per sentirsi in qualche modo ancora vicini alla propria gente. Naturalmente ciò influenza molto il loro stato mentale e fisico». Anche parte della sua famiglia ha scelto di restare nel paese d’origine. Le ho chiesto come si supera il senso di colpa del sopravvissuto, del rifugiato: risponde una cosa che può sembrare banale – declinandolo in qualcosa di utile, magari aiutando gli altri – ma che poi è tutto.

Jessica Mariana Masucci (Avellino, 1988), è una giornalista. Ha scritto «Il fronte psichico Inchiesta sulla salute mentale degli italiani» (Nottetempo, 2023). Ha una newsletter, “Stati di salute”.