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Bestiario dei nostri sogni a colazione

Daria Bignardi e Vittorio Lingiardi si raccontano i sogni, la realtà, i film e gli animali. Tra divinazione e politica, come ci sveglieremo domani? Lettere da un’amicizia senza psicoanalisi ma con quesiti sul mondo. La bacchetta magica: averla ma non usarla

Caro Vittorio, le avevi poi messe quelle sneakers dorate – che ti avevo bocciato – alla serata del Campiello? E hai conosciuto Bernardo Zannoni? Lo avevo chiamato quando è uscito I miei stupidi intenti, un anno fa, perché mi era piaciuta un sacco la sua faina, Archie, così tenera e crudele. Sai che ha iniziato a scrivere la storia a vent’anni?

Io a sette anni volevo fare la scrittrice ma quando sono cresciuta non ho più osato pensarci fino a che Non vi lascerò orfani si è scritto da solo, ma intanto erano passati quarant’anni. Prima ci pensavo solo di notte, in sogno.

Sai cos’è il brutto di avere un amico psicoanalista, come te? Che a colazione esiti a raccontargli i tuoi sogni, che è una cosa che mi piace tantissimo fare anche se lo so che i sogni degli altri sono noiosi. Come fate voi psicoanalisti a non stufarvi?

Sogni o non sogni abbiamo fatto delle gran belle chiacchiere a colazione, quando in agosto mi avete ricoverata da voi perché ero caduta con la bici elettrica e avevo di nuovo le stampelle. Sei stato proprio bravo a non farmi pesare che era la seconda volta che mi facevo male, quest’anno. Il bello di avere un amico psicoanalista è che non ti psicoanalizza, come il calzolaio che manda in giro il figlio con le scarpe rotte.

Ora raccontami qualcosa di Venezia, sei lì già da tre giorni e a parte la fotografia con le sneakers dorate e il completo blu non mi hai mandato niente. Fai il tuo dovere di cinefilo. Voglio sapere cosa stai vedendo, che clima c’è, tutto.

 

Cara Daria, mai toccare uno psicoanalista sulle scarpe. Risvegli un mondo psichico che cede il passo al piede ferito di Edipo, ai calzari alati di Mercurio, al gatto con gli stivali, alle scarpette rosse di Powell e Pressburger, se psicoanalista e cinefilo come nel mio caso. Quindi bene partire dai piedi e da Mercurio che di lavoro fa il messaggero, recapita la posta del cuore e della psiche. Sei troppo piccola e non puoi ricordarti i francobolli delle poste italiane col primo piano del piede di Ermes. E comunque sì, ho messo le sneakers tamarre dorate che mi avevi bocciato perché mi vuoi prof. in età, seriamente in blu. Del resto … “Poeta professore nell’autunno degli anni”, inizia così una delle mie poesie preferite di Allen Ginsberg. Ma sai, ho passato, forse passo, la vita, e non solo la mia, a conciliare le richieste del Puer e quelle del Senex, l’impeto e la malinconia, l’improvvisazione e l’agenda.

Quindi perché non farlo anche la sera del Campiello, blu tra signori in blu, ma con scarpe alchemiche e dorate? Ho applaudito il ragazzo della faina che tu avevi notato e con la tua grazia perenne di gio- vane madre avevi incoraggiato. Contento che con lui abbiano vinto anche gli animali, che sono loro ma siamo anche noi, che dai tempi dell’Arca fanno la letteratura. Sai che con mia sorella condivido una passione per le scimmie? Derrida dice che quando l’animale ci guarda siamo noi a essere nudi davanti a lui, e che il pensare comincia proprio da lì. Anche il sogno comincia con gli animali, ma questa è una storia che ti racconto dopo, ora voglio presentarti un altro animale di questi miei giorni veneziani: una gallina, Una gallina nel vento, che è un film di Ozu del 1948. Restaurato splendidamente, da solo vale l’applauso più lungo di tutta la Mostra del Cinema.

I sogni a colazione puoi raccontarmeli tranquillamente, e anche quando facciamo merenda con stampelle. Non mi annoio, ma soprattutto non li interpreto, anche se il Talmud dice che un sogno non interpretato è come una lettera non letta. E poi oggi la psicoanalisi è più restia a interpretare i sogni, almeno per come una volta era intesa l’interpretazione analitica. Comunque per me rimangono una cosa misteriosa e pensa che persino Freud, che i sogni li rivoltava come calzini, dice che hanno tutti un punto insondabile, lui lo chiama un ombelico che congiunge il sogno con l’ignoto. Forse per questo ci hanno sempre attratto e abbiamo sempre cercato di tradurli nella lingua del giorno. Nella notte dei tempi si pensava fossero messaggi che venivano dagli dèi e riguardavano il futuro. Poi qualche grande filosofo e finalmente Freud ci hanno spiegato che vengono dal profondo e riguardano il passato, sono un prodotto della nostra storia e della memoria. Non premonizioni da interpretare ma desideri infantili da smascherare.

La psicoanalisi ha fatto molta strada e oggi guardiamo e ascoltiamo i sogni come racconti prodotti da un inconscio laboratorio neuropsichico che parla di noi, del nostro funzionamento mentale, spesso dei nostri traumi. Sognare è un modo di pensare. Anche i neuroscienziati che per un bel po’ hanno guardato ai sogni come casualità, improvvisazioni sinaptiche, oggi costruiscono interessanti teorie che, più meccaniche e meno romantiche di quelle psicoanalitiche, assegnano ai sogni se non un significato almeno una funzione. Ma perché mi sono perso a dirti queste cose? Ah sì, perché dicevi che i sogni degli altri sono noiosi. Dipende da come li ascolti. Con i sogni degli amici dipende, ma nel caso dei pazienti è un’altra cosa. Ascoltarli è un lavoro che si fa insieme, paziente e analista. E tu che mi sgridi perché lavoro troppo sai quanto amo lavorare.

È curioso come questo epistolario abbia preso la piega del sogno, sarà anche colpa di Venezia e del cinema che, si sa, è un modo di sognare. Quando il nostro epistolario sarà in circolazione, di questa 79ª edizione della Mostra non si parlerà più. Ma conosci un grande regista, da Bergman a Fellini a Bertolucci a Lynch che non abbia parlato del cinema come di un sogno? Qui lo ha fatto Iñárritu col suo lunghissimo Bardo, falsa crónica de unas cuantas verdades. Prima ti dicevo che anche il sogno inizia con gli animali. Uno dei primi sogni documentati dell’antichità è quello di Penelope che Omero racconta nell’Odissea. Non sto a raccontartelo, anche se non è affatto noioso, fatto sta che c’è un’aquila parlante che sgozza venti oche bianche. Una cosa molto bella del sogno di Penelope è che dopo averlo raccontato aggiunge che i sogni possono entrare nel sonno attraverso due porte: una d’avorio, e sono i sogni che avvolgono la mente di inganni, l’altra di corno e sono i sogni fidati. Rispecchiando le parole di Penelope io direi che ci sono interpreti di cui è meglio non fidarsi e interpreti che sanno invece ascoltare con curiosità e rispetto. I sogni sono delicati, non vanno malamente strappati alla notte.

Domani ci sono le elezioni e non c’è visione politica senza sogni. Dall’I have a dream di Martin Luther King a Bergoglio che nei suoi discorsi si dispiace che i giovani oggi sognino troppo poco (anche questo lo abbiamo visto qui a Venezia, nel bellissimo In viaggio di Gianfranco Rosi). E poi The Dreamers di Bernardo Bertolucci e naturalmente John Lennon: “You may say I’m a dreamer…”. Ora la domanda te la faccio io, ed è una domanda tra divinazione e politica. Secondo te come ci sveglieremo dopodomani? Provati, ma ancora capaci di sognare un paese migliore? Provati e ancora più capaci  di sognarlo? Oppure aveva ragione Pasolini quando diceva: “Prevedo la spoliticizzazione completa dell’Italia: diventeremo un gran corpo senza nervi, senza più riflessi […] La strada maestra, fatta di qualunquismo e di alienante egoismo, è già tracciata. Resterà forse, come sempre è accaduto in passato, qualche sentiero: non so però chi lo percorrerà, e come”. Daria, io sono inquieto, quali saranno secondo te questi sentieri? Chi li percorrerà in un paese che, restando sempre lo stesso, forse cambierà drasticamente la sua fisionomia parlamentare?

 

Caro Vittorio, cominciamo dalle scimmie, gli unici animali che mi fanno paura. Forse perché anni fa una scimmia mi morse, forse perché le sento troppo umane. Lo sai quanto amo tutti gli animali. Ci parlo – non come San Francesco, i nostri sono discorsi poco spirituali –: io faccio le vocine, li coccolo, ci litigo, e loro di solito mi danno corda, ognuno col suo stile. Anche tu pensi che il mondo si divida in chi fa le vocine con gli animali e chi no? I miei figli sbuffano quando gli mando i video di un rettile misterioso che vive in Gallura – i galluresi lo chiamano “tzirigugu” – che mangia le briciole della mia colazione mentre ci parlo. E’ un gongilo, una specie di grossa lucertola, tozza e liscia come un’anguilla con le zampe. Credo di aver raccontato qualche sogno notturno anche a lui.

Per non parlare dei gatti e dei cani, fratelli coi quali ci scambiamo sguardi d’intesa e saluti per strada. Come sai vivo coi gatti da quando avevo cinque anni, e tante volte mi sento più gatto che umano. Anche gli uccelli mi sono simpaticissimi, e, a differenza di San Francesco – che pare non apprezzasse lo stile di vita delle formiche – ammiro molto sia loro che le api, antiche civiltà al confronto delle quali la nostra è ridicola. Sai che l’ape più antica, che hanno trovato nel Myanmar in una resina fossile, ha cento milioni di anni?

San Francesco invece la pensava come Gesù: “Non siate in ansia per la vostra vita, di cosa mangerete o di cosa berrete; né per il vostro corpo, di che vestirete… Guardate gli uccelli in cielo: non seminano, non mietono, non raccolgono in granai, e il Padre vostro celeste li nutre (Matteo 6, 25-26)”. Bellissimo, ma bisogna avere molta fede nel Padre celeste, o almeno in se stessi.

Tornando agli animali parlanti, come la faina di Bernardo Zannoni o l’aquila che anticipa a Penelope il ritorno di Ulisse: mi piacciono molto, basta che non diventino troppo Senex, come quelli di Orwell. Gli animali ci piacciono anche perché restano Puer per sempre, no? Formiche a parte, naturalmente. Dici che le formiche giocano, in certi modi loro? Lo chiederò al professor Vallortigara, l’autore dei Pensieri della mosca con la testa storta, a proposito di neuroscienziati.

Le scimmie per me sono troppo umane, troppo vicine, quasi quasi mi ricordo di cinque milioni di anni fa, quando eravamo quella specie di scimmie ancestrali che sono state le antenate nostre e delle altre scimmie che oggi vivono sulla Terra.

Mi inquietano: perché a te piacciono? Perché sono dispettose? La scimmia che mi morse quando avevo vent’anni era appena arrivata da Bali col figlio del proprietario dell’albergo dove lavoravo d’estate. Questa scimmia appena scesa dal traghetto aveva attraversato il molo di corsa e fra tutte le persone in banchina aveva morso proprio me, a una coscia. Ma ti pare? Mi aveva puntata, capisci! Ero a duecento metri da lei, neanche la guardavo: mi dici perché una scimmia balinese appena sbarca in Sicilia deve mordermi?

Ai tempi non avevo neanche letto La famosa invasione degli orsi in Sicilia e non avevo potuto buttarla in ridere né fare citazioni, mi ero proprio offesa oltre che spaventata, e avevano dovuto farmi l’antirabbica. Cosa c’entrano le scimmie con gli orsi, penserai. Dino Buzzati per me c’entra sempre. Sai che quest’anno, per il cinquantenario della morte, ho riletto per il Salone del Libro Un amore? Romanzo splendido, elegante, e molto contemporaneo, anche se l’ha scritto nel Cinquantanove. Uno dei libri che stavano per rovinarmi la vita, quando lo lessi da ragazzina, ma grazie all’educazione emiliana dei miei, ai quali le cose di sesso mettevano allegria, non me la rovinò.

Ma senti, se tu avessi la bacchetta magica del professor De Ambrosiis, il mago di corte del Granduca di Sicilia, quello licenziato dal Duca perché aveva previsto l’invasione degli orsi, cosa ne faresti? Buzzati scriveva che De Ambrosiis “possiede una bacchetta magica di cui è gelosissimo e che non ha mai utilizzato. Pare infatti che questa bacchetta magica possa essere adoperata soltanto due volte, dopodiché si esaurisce e la si può sbatter via nelle spazzature”. Già che nel 1945 scrivesse “la si può sbatter via” mi piace un sacco, ma tu, e qui faccio la dispettosa come le tue scimmie, useresti uno dei tuoi due desideri perché queste elezioni avessero un risultato diverso da quello annunciato? Io, visto che me lo chiedi, la penso come Pasolini su “la strada maestra, fatta di qualunquismo e di alienante egoismo, già tracciata” ma sogno sempre che i giovani, con la bacchetta di De Ambrosiis, possano magicamente ricostruire, prima o poi, quel che ora sta andando in malora. Intanto faccio quel che posso, e domani vado a votare, con le stampelle azzurre con cui ho iniziato il nuovo anno scolastico come Giulio Robetti nel libro Cuore.

 

Cara Daria, sì – penso che uno dei motivi per cui amo le scimmie, o meglio amo guardarle, è che sono dispettose. Come lo ero io da bambino, e ora che mi ci fai pensare forse questo scambio di scimmie che ho con mia sorella è un’evocazione infantile da fratello minore. La scimmia inattesa. Penso che i dispetti, i dispetti che fanno le scimmie, che sono tutte mani – rubare un oggetto, correrti incontro e darti un morso, mostrarti il deretano – siano richieste d’attenzione e quindi d’amore. Sono una scimmia? Nel bestiario di Frida Khalo c’è un bellissimo Autoritratto con scimmie: googlalo e guarda i loro faccini.

Sogni e animali. James Hillman sarebbe orgoglioso di noi. Lui dice che quando sogniamo gli animali dobbiamo domandarci: chi sono? da dove vengono? cosa cercano? E poi farli entrare, dar loro il benvenuto, scimmie, granchi, orsi polari e persino scarafaggi. Far loro posto nella nostra mente, concedergli rispetto e curiosità. Abbiamo passato milioni di anni con gli animali, pensa quanto ci hanno dato in termini di compagnia, lavoro e nutrimento, quanto li abbiamo maltrattati e li maltrattiamo: cormorani inzuppati nel petrolio, pesci riempiti di plastica, elefanti giustiziati per l’avorio, cagnolini umanizzati dalle nostre ossessioni. Quando non siamo malvagi siamo però capaci di creare non solo animali totemici come Moby Dick, ma anche zoologie fantastiche, con sfingi e minotauri, grifoni e centauri. Nel bestiario di Borges c’è persino il Pesce dei Terremoti, un’anguilla lunga settecento miglia che porta il Giappone sul dorso. Per tornare alla domanda di Hillman – chi sono? da dove vengono? cosa cercano? – siamo liberi di pensare, freudianamente, che gli animali del sogno cercano di riconnetterci alla nostra impulsività, aggressiva o sessuale; oppure, junghianamente, di immergerci nelle profondità di antiche simbologie condivise.

Distinzione alla fin fine impropria perché la psiche (che è politeista, dunque freudiana, junghiana e non solo) non si taglia in due.

Quanto alle tue amate formiche, torno ancora col pensiero a Venezia e a Il signore delle formiche di Gianni Amelio sulla persecuzione di Aldo Braibanti, mirmecologo che amava le formiche ma anche i ragazzi, e questa cosa non gli fu perdonata. Lo Cascio lo interpreta molto bene, uomo perduto in una solitudine narcisistica sconfinata che osserva, forse con invidia, forse con malinconia, il sistema solidale impeccabile delle formiche. Si proteggono, camminano in fila per non perdersi, se si separano si perdono, si nutrono a vicenda. Alle formiche di Braibanti preferisco però gli Uccellacci e uccellini pasoliniani. Tanti anni fa ero a un convegno di psicoanalisi e un collega, durante la sua relazione, ha mostrato la sequenza in cui Frate Francesco spiega a Fra’ Ciccillo (Totò) e a Fra’ Ninetto (Davoli) che la loro missione è evangelizzare falchi e passeri. Ciccillo riesce a comunicare con i falchi, fischiando. Ma non con i passeri. Sta per gettare la spugna ma poi, osservando Ninetto che gioca a cianchetta (“Non so’ bono manco a parlà co’ la gente, mo’ parlo co’ gli uccelli”), si accorge che i passeri non comunicano col canto, ma saltellando. Insomma ognuno parla la sua lingua. Mi salgono le lacrime agli occhi solo al ricordo di come era bella quella sequenza.

Mi domandi se credo che il mondo si divida in chi fa le vocine con gli animali e chi no. Non credo, la storia è piena di malvagi che fanno le vocine agli animali. E se le fai anche tu, che non fai parte del mondo dei malvagi, la distinzione non regge. Potrei dirti che il mondo lo divido in falchi e passeri, ma poi nemmeno, il mondo non si può dividere, siamo condannati a essere multipli e contraddittori. Poi certo, visto che a volte il pensiero binario è più forte del nostro amore per la complessità, ciascuno conosce le sue categorie d’esclusione. Per esempio: genitori a vita vs figli a vita, accudire vs farsi accudire, essere quadrati vs rotondi (come una volta sentenziò il mio amico Piero Bertolucci quando gli dissi che mi ero innamorato: “E’ rotondo o quadrato?” fu la sua prima domanda).

Mi piace questo tuo quesito su come leggo il mondo quando mi scopro a spaccarlo in due. Di solito così: freddo/caldo, ostile/gentile, distante/sensuale, montagna/ mare. Ma col tempo ho imparato che le cose si mescolano ed è bello riscaldarsi nel freddo, farsi dispetti con saggezza, ingentilire chi è ostile e rendere sensuale il pensiero.

Ora, mia scimmia dispettosa, ti saluto dicendoti che se avessi la bacchetta del professor De Ambrosiis forse farei come lui, non la utilizzerei perché mi piace sapere di avere una magia senza usarla. Nemmeno per i risultati elettorali di domani, la utilizzerei; e non sai quanto mi costa questa rinuncia. Il paese è su una brutta china, ma non ha bisogno di maghi, semmai di sogni.

Daria Bignardi (Ferrara,1961). Giornalista, scrittrice e conduttrice televisiva. Ha pubblicato con Mondadori “Non vi lascerò orfani” (2009), “Un karma pesante” (2010), “L’acustica perfetta” (2012), “L’amore che ti meriti” (2014), “Santa degli impossibili” (2015) e “Storia della mia ansia” (2018). Nel 2022 per Einaudi è uscito “Libri che mi hanno rovinato la vita”.

Vittorio Lingiardi (Milano, 1960). Psichiatra e psicoanalista, è professore di Psicologia Dinamica alla Sapienza Università di Roma. Oltre a molti lavori scientifici e accademici ha pubblicato: “Citizen gay. Affetti e diritti” (il Saggiatore, 2010), “Mindscapes. Psiche e paesaggio” (Cortina, 2017), “Diagnosi e destino” (Einaudi, 2018), “Al cinema con lo psicoanalista” (Cortina, 2020) e “Arcipelago N. Variazioni sul narcisismo” (Einaudi, 2021).