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Caro stronzo, vuoi essere mia amica?

Tutto inizia con un combattimento via email. Poi c’è la seduzione, punto di partenza di ogni rapporto. La potenza del MeToo e l’arte di liberarsi. Per Virginie Despentes il maschio moderno è pronto, ma senza colpe né vendette. Un altro tipo di romanticismo è possibile

Poco tempo fa, una persona, un uomo, mi ha detto: «Sono contento che io e te siamo amiche». La cosa mi ha dato da pensare e il mattino dopo mi sono svegliata con in testa uno dei film della mia educazione sentimentale, Harry ti presento Sally, uscito nel 1989, un anno complicato ma almeno le commedie le scriveva Nora Ephron. All’inizio, il regista Rob Reiner le aveva chiesto una rom-com sull’essere single, poi la cosa ha preso un’altra piega, e se Harry ti presento Sally è diventato quello che è diventato è perché è riuscito a raccontarci qualcosa a cui, ai tempi, era quasi impossibile credere: che un uomo e una donna eterosessuali potessero essere, nel profondo, amici.

Anche il nuovo romanzo di Virginie Despentes, la scrittrice francese più maledetta (forse) di sempre – che ha debuttato nel 1994 con Scopami, sulla violenza sessuale subita a 17 anni, e ha poi pubblicato, tra le altre cose, l’imprescindibile King Kong Theory e la trilogia di Vernon Subutex – parla dell’amicizia vera tra un uomo e una donna.

Caro stronzo è un lungo match sotto forma di scambio di email (partito sotto una nefasta stella, da cui il titolo bellissimo) tra Oscar e Rebecca: lui è uno scrittore di successo “metooizzato”, ovvero travolto dall’accusa di avere molestato la sua ex addetta stampa, lei è una bellissima attrice sui cinquanta e quindi, come da regole non scritte, in declino. Entrambi bevono e si drogano troppo. Entrambi hanno vite sentimentali terremotate. Lui ha pure una figlia preadolescente che non sa da che parte pigliare. A fare da contesto alla loro sempre più articolata corrispondenza, ci sono gli estratti dal blog di Zoé Katana, giovane femminista agguerrita, nonché accusatrice di Oscar.

Virginie Despentes, che da una quindicina di anni vive tra Parigi e Barcellona («Parigi è diventata troppo dura e depressa»), mi appare dentro il computer in t-shirt nera, sigaretta e capelli spettinati, la Kim Gordon della letteratura. Da parecchio tempo, dice, non ha più storie d’amore con gli uomini, per questo avere amicizie maschili per lei è così importante: «Mi interessava esplorare proprio questo rapporto di cui si parla pochissimo in narrativa, ma anche nel cinema e nelle serie tv, dove uomini e donne hanno per lo più relazioni sentimentali o professionali. In ogni caso, in un’amicizia non è certo il sesso dell’altro a fare la differenza, quanto piuttosto il tipo di persona che hai davanti». A volte, aggiunge – ed è incredibilmente seria –, è molto meglio per lei conoscere il segno zodiacale: «Sapere se uno è Gemelli, Ariete o Cancro mi rivela molto di più di una persona che non il suo genere».

Chi ha l’età per poterlo fare, forse ricorderà che «clic del sesso» è il modo in cui, in Harry ti presento Sally, Billy Crystal aveva sintetizzato, durante il mitologico viaggio in auto da Chicago a New York con Meg Ryan occhi languidi pettinata da Charlie’s Angel, quel meccanismo un po’ vetero-cavernicolo per cui un uomo che si avvicina a una donna, qualsiasi donna, debba in ogni caso trattenersi dall’istinto di saltarle addosso. Da lì nasceva il postulato dell’impossibilità dell’amicizia tra uomini e donne che Despentes liquida così: «La seduzione è qualcosa che è sempre presente in ogni tipo di amicizia, perché nasce dal desiderio di piacere all’altro».

Che Caro stronzo sia, oltre che un trattato su come uscire dalle dipendenze e una lezione di scrittura, il primo vero libro del post MeToo, è dimostrato dal fatto che, a sei anni dall’esplosione del caso Weinstein, la sua autrice abbia – piuttosto coraggiosamente – accettato la sfida di sporcarsi le mani in quel magma di accuse, frecciate, colpevolizzazioni delle vittime, fraintendimenti e vendette, insomma tutto quel tagliare sempre e comunque il campo di battaglia a metà evitando così di problematizzare troppo, per provare a portare in superficie quelle dinamiche più profonde che potrebbero servire a un reale superamento del problema. Uno dei (pochi) romanzi che ci aveva già provato, senza riuscirci pienamente – ma era il 2021 e forse era un po’ troppo presto, molte istanze non si erano ancora sedimentate – era stato Questo è il piacere dell’americana Mary Gaitskill. Anche lì c’erano un uomo e una donna (immersi nel mondo dorato dell’editoria newyorchese) che, dopo un maldestro approccio da parte di lui, erano diventati amici. Anche lì, lui veniva travolto dalle accuse di molestie, ma a differenza di Despentes Gaitskill non era riuscita a immaginare un’evoluzione in senso costruttivo del personaggio maschile, al punto che l’amicizia aveva finito per intorbidirsi fino a prendere la forma della complicità.

In Caro stronzo, la lente attraverso la quale leggere il mondo è, invece, dichiaratamente quella del femminismo. «Sono cresciuta femminista, mia madre lo era e mi leggeva libri femministi. In questo, mi sento molto più vicina alla figura della giovane molestata da Oscar, Zoé Katana, piuttosto che a Rebecca, per la quale mi sono ispirata alla mia amica Béatrice Dalle, un’attrice molto bella e famosa per la quale essere femminista non è mai stato importante quanto lo è stato per me».

Il riferimento, non troppo velato, è alla famosa lettera pubblicata in Francia all’inizio del 2018 a firma di un centinaio di artiste e accademiche che giudicavano il MeToo americano eccessivamente intransigente e «puritano» verso le relazioni uomodonna, denunciando addirittura il clima ostile creatosi attorno ai (poveri) maschi. Despentes, a proposito, ha le idee chiare:

«Anche se possiamo avere esperienze di violenza in comune, donne come Béatrice, Catherine Deneuve o Sharon Stone non hanno mai avuto lo stesso bisogno che sentivo io, a 20 anni, di essere femminista. Non solo per la bellezza, ma anche per i soldi e per il fatto di venire così celebrate. Per tutti questi motivi, la loro critica al patriarcato non potrà mai essere brutale più di tanto». Che il MeToo abbia provocato un mutamento – pur ancora insoddisfacente – nelle società dove è riuscito a farsi ascoltare è sotto gli occhi di tutti: «Credo abbia liberato un sacco di parole. Ho visto molte donne etero della mia età che, grazie al movimento, si sono evolute, hanno capito che stava succedendo qualcosa che riguardava le nuove generazioni di donne che stavano trasformando il femminismo».

Se fossimo in un manuale di sceneggiatura, Caro stronzo verrebbe inserito come case study per lo stupefacente arco di trasformazione non tanto del personaggio Rebecca, quanto di quello di Oscar, che passa dal sentirsi vittima di un complotto ai suoi danni (sempre le femministe di internet) e dal negare di avere compiuto alcunché di scorretto (che saranno mai decine di telefonate e messaggi, a ogni ora del giorno e della notte, alla propria addetta stampa? e poi, tendere agguati senza passare all’azione, che male c’è?) alla presa di coscienza di essere, anche, «uno schifoso». «Ricordo di averla fatta piangere più di una volta», ammette all’amica.

È importante che questa che è una vera e propria conversione, un mutamento irreversibile, avvenga dopo che lui stesso è stato fatto oggetto di attenzioni non richieste, esposto perciò a quanto sia «insopportabile essere messi di fronte a una richiesta cui non si è liberi di dire no». È un passaggio fondamentale per Despentes – per la quale «per provare empatia, bisogna avere un’idea di come ci si sente in una data situazione» – e anche il punto di snodo del romanzo che, aprendo la «strada della riparazione» («fino a ora ho rifiutato di assumermi la responsabilità, ma ora voglio farlo»), potrebbe condurre a quel miraggio che sembra, oggi, una cosa chiamata «emancipazione maschile». «Finora, la critica alla mascolinità – che implica il desiderio di liberarsene per inventarsi qualcos’altro – non ha riguardato gli uomini eterosessuali, ma solo omosessuali e uomini transgender. Non ho mai sentito un etero dire: ‘Tutto questo è dannoso, pericoloso, morboso, mi rende infelice e quindi provo a liberarmene’. Sono convinta, però, che i giovani uomini cambieranno le cose».

Osservando l’evoluzione della relazione tra Oscar e Rebecca, viene da pensare che una delle chiavi (forse l’unica) della vera trasformazione possa essere, per gli uomini, l’ammissione della propria fragilità. «Solo così la mascolinità, che ha sempre bisogno di autorità e di non avere mai torto, può essere decostruita. Nel momento in cui si riconosce che si può essere vulnerabili e sbagliare, allora non si è più nella “mascolinità”. Non è così complicato, no? Voglio dire, ci vuole giusto un po’ di disobbedienza. Ma credo che questa sia anche la cosa più difficile: disobbedire al capo, al supermaschio, significa isolarsi, essere giudicati, perdere la solidarietà maschile, che esiste proprio per assicurarsi che gli uomini restino dentro lo schema tradizionale delle cose».

Dopo avere parlato con lei per oltre quaranta minuti, ho un’illuminazione minima: Virginie Despentes non è più arrabbiata con gli uomini, chi l’avrebbe detto? Le chiedo se è proprio così: «In effetti, non mi interessa più». E quando crede finirà, se finirà mai per davvero, questa tremenda guerra tra i sessi? «Quando riusciremo a cambiare l’intero sistema operativo: per porre fine allo sfruttamento degli uomini sulle donne, dobbiamo porre fine anche al sistema di sfruttamento più generale, quello del lavoro. Perché vede, è tutto collegato».

Alla fine, le chiedo quello che volevo chiederle fin dall’inizio, e cioè come è possibile sopravvivere per noi donne eterosessuali. «Forse inventando un altro tipo di romanticismo. Nel libro parlo del fascino che molte etero provano per ciò che può ucciderle, per l’uomo pericoloso, violento, l’iper macho». Anche Sylvia Plath, d’altra parte, nella poesia che aveva intitolato Daddy diceva: «Ogni donna adora un fascista». «E’ proprio così, ma bisogna riuscire a inventare figure maschili che siano attraenti senza essere dei potenziali assassini. Credo che questa sia la prima cosa che le donne etero dovrebbero fare». Ma che cosa debba avere, questa nuova figura di uomo, per essere attraente è un quesito che rimane, per ora, aperto.

Verso la fine del romanzo, Rebecca scrive a Oscar una cosa commovente: «Tutto ciò io e te l’abbiamo vissuto insieme. La vita ha il senso dell’umorismo. Quando penso ai nostri primi scambi, mi dico che era poco probabile che tu cambiassi la mia. E che cambiassi la tua». Forse, quello che succede davvero a quei due – disarmarsi piano piano, cedersi sempre più spazio, aiutarsi (a diventare sobri, ad ammettere di avere molestato, a recuperare i rapporti perduti), provare a spiegarsi, ad ascoltarsi, a volersi bene, insomma a cambiarsi le vite – è che diventano «amiche». Che è come essere amici, ma con quel briciolo di amorevolezza in più.

Laura Pezzino (Cesena, 1978), giornalista e scrittrice. Nel 2022 è uscito il suo libro «A New York con Patti Smith» (Giulio Perrone Editore). È curatrice editoriale del Book Pride di Milano.