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Da Kiev a Cosenza con ardore

Un concerto punk-rock anti Putin, Una pezza di Lundini, Twitter direttamente in vena e il desiderio fortissimo di Rai1. Non solo report di guerra sul comodino. Evviva I Cani

Non mi sono mai portata un romanzo in trasferta, mi sembra anche un po’ irrispettoso. Sto leggendo, molto lentamente, La donna della domenica, e non l’ho preso. Avevo comprato dei giornali a Fiumicino – del New York Times l’edizione americana e non quella internazionale, è migliore. La signora alla cassa dello Hudson News ha detto: “Ma lei lo sa che in Italia costa otto euro e trenta? E lo vuole comunque?”. Immagino il negozio non sia il suo. Le ho detto che per questa volta sì. Quel giorno nel centro del giornale c’erano le esitazioni tedesche e i virgolettati del sindaco di Kiev erano i più arrabbiati. Mentre gli spagnoli spediscono navi, i francesi offrono truppe e gli Stati Uniti Javelin da mettersi in spalla e sparare – se serve – contro i carri russi, la Germania regala soltanto qualche elmetto. “Prossima volta cuscini?”, dice il sindaco che è Klyˇcko, il pugile-star campione del mondo non so quante volte che viveva a Berlino, anche Merkel è sua fan e in generale lì gli vogliono tutti un gran bene.

La quinta sera a Kiev avevo finito di leggere un report secondo cui la guerra vera – l’invasione di terra in stile novecentesco – è del tutto improbabile. Filava, lucidissimo. Avevo cominciato un altro report e diceva che l’invasione di terra in stile novecentesco è alle porte, filava ma non l’ho finito. Vi leggevo su Twitter, c’era Sanremo e volevo sapere se Rkomi mi piace ancora tanto come quando ha iniziato, e se la sua musica funziona con un’orchestra. Chi era quello vestito peggio e chi lo aveva vestito, perché Zalone vi facesse così rabbia o perché lo stavate difendendo come vostro figlio dodicenne dai bulli. Sapevo che Niccolò Contessa, della band “I Cani” che ascoltavo al liceo e ascolto ancora, ha collaborato a uno dei testi ed ero curiosa. Ho provato a raggiungervi, era notte e collegata con la rete dell’albergo non c’era verso di accedere a Raiplay. Ho ripreso il telefono e ho scrollato tutti i profili Instagram che conosco di stranieri che hanno un puma come animale domestico (sì una cosa orribile, violenza antropocentrica). A me piacciono soprattutto le zampe e i polpastrelli giganti, mi rilassano. Il più famoso è “I_am_puma”, consigliato. Le piattaforme funzionavano e avrei potuto finire una serie, The Good Fight (non finisco varie cose che mi piacciono). Sarebbe stato un surrogato e io volevo Rai1. Desideravo Rai1 come desideravo le patatine fritte del chiosco quando ero in collegio in Svizzera e avevo undici anni. Mia madre mi aveva lasciato degli euro in banconota, a me erano sembrati tantissimi ma una volta cambiati in franchi non erano poi tanti. Erano state in quel collegio anche mamma Elisabetta e zia Maria Luisa: Le Chaperon Rouge. Per me, l’inferno. Non succedeva nulla di grave, ma io avevo il magone e la mattina presto ti svegliava l’odore di patate e würstel bolliti nello stesso pentolone. Allo Chaperon Rouge ho imparato a misurare la malinconia in franchi, a conoscere la soglia per cui mettere mano al portafoglio. Ho riaperto il computer e smanettato sui siti che vendono abbonamenti VPN: “reti virtuali private”. Se ne attivi una puoi ingannare il sistema e decidere di essere dove vuoi. Io ho la versione gratuita, però mi geolocalizza in Wisconsin e lì Sanremo non c’è. Ho messo mano al portafoglio. Ho pagato un abbonamento con rinnovi automatici impossibili da disinnescare e call center fantasma et voilà: Cosenza, Italia. Mi sono sparata tutto Sanremo e poi gli extra. Era pieno di maschi a petto nudo e ho pensato che bruciarsi così la notte in cui Gucci ti veste gratis fosse la cosa per cui indignarsi. Non ho dormito e ho rivisto Una pezza di Lundini, lo sketch della nonna negazionista due volte. Sono passata a Mediaset, una clip lunga del GF Vip con protagonista una ragazza milionaria in follower che si chiama Soleil Sorge, classe 1994. Proprietà di linguaggio, battuta pronta. Non si offende mai e se succede non si vede. Gli altri concorrenti la odiano, dicono che si prende sempre la seduta a cui corrispondono le luci dirette, quelle con cui vieni meglio in video, e che è fredda. Io parlavo da sola guardando lo schermo: ma è divina! Consigliatissima. Il giorno dopo mi ha scritto Caterina, fa parte di un gruppo di attivisti ucraini che di recente hanno imparato a sparare: “Vieni a un concerto”. Il concerto era punk-rock e tra una canzone e l’altra c’erano i cori contro Putin, il gruppo si chiama proprio I Cani. Caterina mi ha portata a ballare: “Venire a Kiev e non andare in un club è come andare ai Caraibi e non andare in spiaggia”. Dovevo tornare, sono arrivata all’aeroporto con I Cani (italiani) nelle cuffie ed erano appena atterrate ottanta tonnellate di Javelin.

Cecilia Sala (Roma, 1995), giornalista. Ha realizzato insieme a Chiara Lalli il podcast “Polvere” che è diventato un libro per Mondadori. È autrice e voce del podcast quotidiano “Stories” (Chora Media).