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Dove sei Zora, genio del sud

La scrittrice afroamericana Zora Neale Hurston raccontò le comunità della diaspora e morì poverissima, sepolta senza una lapide. Alice Walker ha affrontato erbacce e serpenti per vincere l’oblio, trovare la sua tomba e far conoscere il suo valore. Storia di una sorellanza

Come artista creativa sento di essere cresciuta in modo fenomenale. Non sono materialista. Se davvero morirò senza soldi, qualcuno mi seppellirà.

 

Ho scoperto una storia che mi ha appassionata, una storia vera che racconta di due scrittrici, di un cimitero di campagna, di un cane di nome Sport e degli Stati Uniti del sud.

Era il 1959, la scrittrice Zora Neale Hurston era molto malata, aveva avuto da poco un infarto. Scrisse al suo editore (Harper & Brothers) dicendo che con grande fatica stava lavorando a un nuovo libro. Aveva bisogno di soldi e chiese se volessero pubblicarlo. Gli editori la ignorarono e lei un anno dopo morì in miseria, senza potersi permettere la sepoltura. I suoi vicini fecero una colletta per seppellirla in un piccolo cimitero di campagna. Allora non era obbligatorio apporre una lapide, e la scrittrice finì in una bara di legno economico, in una buca senza nome.

Zora Neale Hurston era nata a Notasulga, in Alabama, il 15 gennaio 1891 (anche se la vera data di nascita si è scoperta tardi). Entrambi i suoi genitori erano stati ridotti in schiavitù. Quando era ancora molto piccola, la sua famiglia si era trasferita in Florida a Eatonville, una delle prime comunità di soli afroamericani. Eatonville si trova a pochi chilometri da Orlando e prende il suo nome, pare, da Josiah C. Eaton, proprietario terriero bianco che vendette alcune terre ai neri liberati in modo che potessero formare un agglomerato di terre e abitazioni, da chiamare town. Nacque così una delle comunità, ancora oggi, a maggioranza nera, che Hurston raccontò nei suoi romanzi, in particolar modo nel più famoso I loro occhi guardavano Dio (1937). Nel romanzo Hurston scrive dei vari paesini, oggi incorporati in altri comuni, che circondavano Eatonville, lasciando quindi una mappa letteraria di luoghi ormai scomparsi. Lì la comunità nera è sempre stata forte e radicata, e non sembra un caso che Hurston abbia mantenuto per tutta la sua vita una posizione estrema rispetto all’integrazione, sottolineando quanto questa volesse spesso dire una normalizzazione delle tradizioni nere sotto il rullo compressore degli Stati Uniti bianchi, più potenti, più ricchi. Hurston è stata una delle prime donne nere laureate in Antropologia e ha dedicato tutta la sua vita a studi folkloristici, viaggiando per descrivere le comunità della diaspora africana come ad Haiti e in Giamaica e i loro rituali spirituali, come quello del voodoo. Durante la giovinezza ha vissuto a New York e ha preso parte al movimento del Rinascimento di Harlem, uno dei più importanti per la storia della letteratura americana. La sua casa era luogo di ritrovo, di feste e di via vai, tanto che spesso Zora doveva rinchiudersi in camera per leggere e studiare. Nonostante il suo attivismo, le sue numerose pubblicazioni, la dimenticanza nei suoi confronti iniziò quando ancora era in vita ed era malata. Subito dopo era già persa nella schiera delle tante donne scrittrici che si ha paura di evocare, la cui memoria è difficile da tenere viva.

Ma Hurston non era destinata all’oblio e tutto cambiò grazie a un’altra scrittrice, nel 1972.

È questo l’anno in cui Alice Walker scrive nel suo diario di aver letto per la prima volta Una stanza tutta per sé di Virginia Woolf e di aver scoperto molte scrittrici nere morte in povertà. Quella che ama di più è Zora Hurston. Far riconoscere il valore letterario di Hurston diventa da subito la sua missione.

Alice Walker, nata nel 1944 in Georgia, è una delle più importanti scrittrici nere degli Stati Uniti, nonché militante per i diritti civili delle donne lesbiche, e contro ogni forma di razzismo e sessismo. Tra i suoi romanzi più famosi c’è Il colore viola ripubblicato negli ultimi anni dalla casa editrice romana Sur.

Nell’agosto del ’73 Walker decide di andare in spedizione con un’altra studiosa – Charlotte Hunt – alla ricerca della tomba di Zora. Il racconto di questa spedizione verrà narrato nell’articolo Looking for Zora nel 1975. Nel suo diario a proposito di quei giorni Walker scrive: “Non torno a questo quaderno per scrivere della crociera caraibica di luglio, ma per scrivere le mie impressioni su Eatonville e il dolore e l’orrore della memoria negletta di Zora come appare chiaro dalla sua tomba –non riesco ancora a scriverne, ma devo”.

Charlotte Hunt era una studiosa bianca che si stava laureando su Hurston e viveva in Florida vicino alla cittadina natale della scrittrice. Le due, Alice e Charlotte, si sono scambiate molte lettere sulle reciproche intuizioni e scoperte. Arrivano a Eatonville e si recano al municipio dove Alice si finge nipote di Hurston per capire se è ancora vivo qualcuno che l’ha conosciuta. E in effetti qualcuno c’è, è una anziana signora che venne raccontata da Hurston in uno dei suoi lavori. Grazie alla anziana donna le due scoprono che Zora non è sepolta nella sua cittadina natale, di cui ha sempre scritto, ma più a sud a Fort Pierce dove la spedizione continua. Grazie a una giovane dai capelli rossi, figlia dell’uomo che fece seppellire Hurston, la tomba viene localizzata in un cimitero di campagna dove non è più sepolto nessuno da anni. La donna delle onoranze funebri ricorda che Zora è morta per malnutrizione, di fame quindi. Ma si sbaglia, è stato un nuovo infarto a ucciderla mentre viveva in un rifugio per indigenti e si era rifiutata di tornare dalla sua famiglia che non l’aveva mai amata. Arrivate al cimitero si rendono conto che la tomba è in un grande campo pieno di alte erbacce, completamente abbandonata. Dalla strada individuarla sembra difficilissimo, potrebbe essere ovunque. Ma Alice non demorde: le erbacce le arrivano alla vita e lei afferra i bordi del vestito e si butta nella selva, decisa a procedere nelle ricerche. Charlotte le fa notare che potrebbero esserci dei serpenti e che rischia di non trovare nulla, ma Alice continua, andando su e giù per quel campo circolare. Stremata, inizia a chiamare Zora ad alta voce come per invocarla, farle sapere che loro due sono lì per lei. Alla fine le invocazioni sembrano funzionare, al centro del campo c’è in effetti qualcosa che assomiglia a una tomba. Per completare il salvataggio manca solo di comprare finalmente una lapide.

Alice fa scrivere a sue spese: “Zora Neale Hurston – un genio del sud – scrittrice, folklorista e antropologa 1901-1960”.

Ci tiene a quel “genio del sud” perché sa che per le donne nere è ancora più difficile essere considerate e valorizzate nella parte bassa degli Stati Uniti e che è anche più rapido essere ignorate, rimosse. Dopo aver conficcato nel terreno un paletto di ferro in modo che sia possibile rintracciare il punto esatto dove collocare la lapide, il viaggio delle due studiose si conclude incontrando il medico di Zora e poi un suo vicino di casa. La scrittrice viveva in una casetta verde e mal messa. Dalle testimonianze emerge che tutti l’amavano nel quartiere ma ormai chi è arrivato dopo non la ricorda più, la casa ha altri inquilini. Alice però si appunta che Zora amava i fiori, soprattutto le azalee e aveva un unico compagno, Sport, il suo cane bianco e marrone.

Grazie alle ricerche di Walker e al suo impegno continuo per la memoria di Zora Hurston, la scrittrice nei decenni successivi ha finalmente riacquistato peso e notorietà, tanto che ogni anno, nel suo paese d’origine, a Eatonville, si tiene il Zora Neale Hurston Festival of the Arts and Humanities, ed è stato inaugurato nel 1990 il Zora Neale Hurston National Museum of Fine Arts, che oltre alla collezione stabile, la quale vanta opere di Rembrandt, Van Gogh e Monet, mette in mostra ogni anno lavori e ricerche di artisti e artiste neri del Continente e della Diaspora.

Recuperare una scrittrice dovrebbe essere questo, un gesto fisico ed emotivo come quello di tirarsi su la gonna per entrare in un campo di erbacce e serpenti. E la scelta del recupero un messaggio per il presente. Rileggere queste due scrittrici vuol dire ragionare per esempio su forme di spiritualismo diverso dalla cieca morale religiosa che si nasconde dietro all’abolizione del diritto all’aborto negli Stati Uniti di oggi; parlare di segregazione e liberazione vuol dire ricordare che il razzismo è duro a morire, soprattutto a sud, dove anche gli episodi di violenza della polizia sono più ricorrenti; mappare la presenza della diaspora africana vuol dire instaurare un dibattito sui movimenti umani, quelli costretti e quelli cercati, sui mélange culturali e sulla portata delle origini; dichiarare avversione per l’integrazione può voler dire entrare in contatto con peculiarità e differenze che il modello “democratico” statunitense ha cercato di arginare e livellare, come è accaduto per la comunità Nativa.

Capire il processo di sorellanza che si crea tra scrittrici del passato e scrittrici del presente è farsi domande profonde sull’identità delle donne, sul loro ruolo culturale, sulla forza che possono avere quando testardamente fanno richieste scomode e continue – quasi noiose – pur di scoprire dove è sepolta la loro eredità.

Giulia Caminito (Roma, 1988), scrittrice. Laureata in Filosofia politica. Ha esordito con il romanzo “La grande A” (Giunti, 2016), seguito da “Un giorno verrà” (Bompiani, 2019) e da “L’acqua del lago non è mai dolce” (Bompiani, 2021), finalista al Premio Strega e vincitore del Premio Campiello 2021.