Cerca

Dove va questo treno, che importa

Guardo dal finestrino e vedo il goblin che rosicchia i binari. Siamo sparati verso il nulla, ma io non ho fretta di arrivare da nessuna parte. È vero anche per me, come per Francesco Piccolo: un amore è un mezzo per realizzare un’opera. La frase di Amy Hempel che faccio mia

Sono le 22.38, sono nel mezzo del nulla, quel nulla che esiste tra Bari e Roma quando sei in treno di notte, fuori non si vede niente, guardi i finestrini

ma ti rimandano solo e sempre te, non si vede niente, e penso chissà se sono su un treno infinito, perché i treni dalla Puglia tardano sempre tantissimo, il treno viaggia con 15, 70, 150 minuti di ritardo, ci scusiamo per il disagio, ma quale disagio, nessun disagio, viaggiare di notte in treno nel nulla e pensare che forse questo è un treno sparato nel nulla, che per fortuna non ci sarà mai più nessuna casa a cui tornare, che per fortuna non importerà mai da quale casa sei venuto, che nessuno ti conosce e nessuno può dirti niente se non “le è caduto il pacco di patatine”, e tu lo raccogli e sorridi e ringrazi; pensare di essere in un treno sparato nel nulla è così bello. Ti dà così tanto sollievo.

Da piccola ho visto un episodio della serie Ai confini della realtà, Terrore ad alta quota: un uomo in aereo guarda fuori dal finestrino e vede un essere alieno, una specie di goblin, che sta mangiando i motori. E allora grida che c’è pericolo, l’aereo cadrà, ma nessuno vede quel goblin, nessuno gli crede. L’uomo impazzisce. Se non sbaglio, quando l’aereo atterra, lo portano via legato. Ho visto molte volte questo episodio ma non l’ho riguardato per scrivere, non per pigrizia – sono pigra ma non nella scrittura – ma perché amo lasciarmi possedere da quello che leggo e che vedo. Quando sei posseduto, in un certo modo agli occhi del mondo sei libero. Io ricordo un goblin verdastro, un uomo in giacca e cravatta che va fuori di sé perché sa che l’aereo cadrà, l’aereo che alla fine non cade ma l’uomo aveva ragione, quando il velivolo atterra si scopre che ha tutti i motori rosicchiati. Adesso se mi girassi verso il finestrino vedrei un goblin che vuol farci deragliare. E se poi finissi a essere l’ultimo essere vivente sulla terra, come in un altro episodio (Time Enough at Last), avrei finalmente abbastanza tempo per leggere tutti i libri che voglio ma sul più bello mi si romperebbero gli occhiali. E il tempo, quel tempo che tanto ci strugge, non mi servirebbe più.

Sono le 23 e 50 e il vostro treno è in ritardo di un miliardo di minuti, ti ringrazio voce dall’altoparlante ma io non ho alcuna fretta di arrivare da nessuna parte. C’è un film, La morte corre sul fiume, l’ha diretto Charles Laughton, è la sua unica regia. Accanto a me, oltre il finestrino, forse sfila nella notte anche il perfido predicatore interpretato da Robert Mitchum, che cantando una canzone dolcissima in realtà non vuole far altro che uccidere dei bambini che si nascondono da lui (qui, sotto il mio sedile, con me?, vi nascondo io, o non ho il coraggio?).

Sto leggendo La bella confusione di Francesco Piccolo. Ci sono delle frasi che sottolineo e poi fotografo, e le mando agli amici per dire: vedete. Per esempio: «E penso che a me accadrebbe esattamente il contrario, penserei che un amore è un mezzo per realizzare un’opera, e non che un’opera è un mezzo per realizzare un amore». Poi, più avanti: «Perché non ho il mito dell’amore, ma ho il mito del lavoro». Ho passato da poco Caserta, penso, dove Francesco Piccolo è nato. Dico penso perché io non me ne sono accorta, dove va questo treno a me non importa.

Sono sui treni da due mesi, per il tour del mio romanzo. Oggi a una presentazione una signora mi ha detto: sì ma leggendo il suo libro si vede che lei è ossessionata dal lavoro. Chissà. Leggendo il libro di Francesco Piccolo mi sono detta è vero, anche per me un amore è un mezzo per realizzare un’opera. Però ho paura di non avere il mito dell’amore. Spero di averlo. Chissà.

È l’1 e 07 e l’ultima cosa che volevo dire è una frase di Amy Hempel che sta in un racconto, Cloudland, e che da quando ho incontrato metterei ovunque. «Ricordo di aver pensato: non ci sarà mai un momento in cui non ci penso. E avevo ragione. E avevo torto». Qui, su questo treno ai confini della realtà, posso dirlo con certezza: «E avevo ragione. E avevo torto».

Antonella Lattanzi (Bari, 1979), scrittrice e sceneggiatrice. I suoi ultimi libri sono “Devozione” (Einaudi, 2010), “Prima che tu mi tradisca” (Einaudi, 2013), “Una storia nera” (Mondadori, 2017), “Questo giorno che incombe” (HarperCollins, 2021) e “Salvarsi”, (Einaudi, Quanti, 2021). Il suo ultimo racconto è nell’antologia “Willie lo Strambo” (Sperling & Kupfer), ora in libreria.