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È qui il rave per sostenere i soldati ucraini

A Zaporizhzhia il collettivo Mlyn organizza feste per finanziare la controffensiva. Mai avrebbe immaginato di dare soldi a un esercito, ma se i russi si prendono la pace va difesa la libertà. Il soldato-dj Raavel: «Al fronte nessuno ti fa i complimenti, ci dimostriamo affetto prendendoci per il culo». Il concerto dentro al carro armato e i droni russi da hackerare

A Zaporizhzhia c’è un palazzo liberty verde brillante con le rifiniture color crema sovrastato su un lato da un orrendo grattacielo sovietico tutto di cemento grigio e altissimo. Dentro al palazzo liberty un po’ diroccato c’è una specie di comune, un centro sociale che si chiama Mlyn: a destra la sede di una start-up che va in giro per la città a raccattare la plastica abbandonata sui marciapiedi e poi qui la ricicla, a sinistra una sala concerti, in fondo al corridoio una stanza dove lavorano l’argilla e poi un grande spazio dove si dipinge e ogni domenica si tengono sessioni aperte al pubblico di “drink & draw” – bevi e disegna. Nel palazzone grigio invece non c’è più niente e nessuno perché un missile russo lo ha squarciato in verticale a ottobre. Quel giorno le ragazze e i ragazzi di Mlyn hanno collegato lo smartphone all’impianto stereo e si sono messi a raccogliere le macerie e i vetri rotti, hanno ripulito il piazzale ondeggiando, muovendosi a ritmo e cantando a squarciagola: curando il loro spazio e insieme il grande spavento.

Mlyn è un posto enorme con le pareti colorate e le luci al neon di cui mi ha spalancato le porte Dmytro, con il ciuffo biondo platino in mezzo alla testa rasata, un piede ferito e la maglietta dei Sepultura, il gruppo metal brasiliano. All’ingresso c’è un poster, il nuovo simbolo del collettivo che è l’immagine stilizzata del poeta padre della cultura ucraina Taras Shevchenko, che indossa le cuffie da dj e muove i dischi alla consolle. Il motto stampato sopra è Rave ta stogne, un gioco di parole che inserisce un riferimento alle feste illegali dentro un verso famoso di Schevchenko sui gemiti del fiume Dnipro che spacca in due la città di Zaporizhzhia. Mlyn è un collettivo di artisti ma è famoso soprattutto per un’altra cosa: le sue feste. Di solito chi partecipa lascia una donazione che serve a pagare il dj, l’affitto dell’impianto, la corrente elettrica e i barman, ma da sedici mesi lavorano tutti come volontari e il cento per cento di quello che raccolgono serve a finanziare non più la piattaforma artistica ma la controffensiva ucraina.

Il collettivo ha pagato le tute tecniche, i binocoli, i droni e i visori notturni che sono stati distribuiti ai combattenti che qui vicino, poco a sud di Zaporizhzhia, scendono giù da Orikhiv e premono verso Tokmak per sfondare la seconda linea delle difese russe profonda trentaquattro chilometri. È il punto sulla linea del fronte dove sono comparsi per la prima volta i carri armati tedeschi Leopard e i mezzi americani Bradley, che servono a farsi meno male quando si prova ad attraversare i campi minati e le trincee che i russi hanno fortificato a partire da novembre per impedire agli ucraini di liberare altri pezzi del proprio paese, e altri ucraini. «Anche Alex, il nostro barman storico, è lì», tra i soldati schierati lungo la direttrice cruciale della controffensiva e la più pericolosa.

Mlyn non ha sempre avuto un rapporto sereno con le autorità. Organizza feste al chiuso e poi quelle all’aperto non autorizzate, cioè i rave. È nato come un progetto non proprio legale, l’idea era occupare palazzi abbandonati e combattere due battaglie: contro la gentrificazione e contro la fuga dei giovani – «che a Zaporizhzhia non trovano un’occupazione e si annoiano» – verso città più grandi e attrezzate come Kyiv e Dnipro o verso l’estero. Mlyn raduna ventenni e trentenni che fanno gli artisti, i musicisti o lavorano nel settore tech come programmatori e ingegneri informatici; si sono conosciuti quasi tutti da adolescenti perché hanno un passato e un presente in comune nelle sottoculture musicali, nella scena metal o in quella techno. Nessuno di loro pensava che si sarebbe trovato un giorno a donare i propri soldi a un esercito – che pensava di detestare, che li usa per comprare armi, che pensava di voler bandire dal mondo. Alcuni si definivano pacifisti: «In realtà non abbiamo mai smesso di esserlo, vogliamo soltanto sia la pace sia la libertà. La fine della pace non l’abbiamo scelta, per evitare che ci tolgano anche la libertà possiamo tutti fare qualcosa», dice Dmytro con una birra in mano.

I soldati ucraini sono giovani che fino a quando Vladimir Putin non ha dato l’ordine di invadere il loro paese andavano ai concerti e si ubriacavano alle feste come quelle che organizza Mlyn. I dissidi tra il collettivo e le autorità sono svaniti da molti mesi: «Tra i soldati della controffensiva ci sono molti ragazzi che ci conoscono e che venivano alle nostre serate, tanti lo fanno ancora tra una battaglia e l’altra, quando finiscono un turno e hanno un periodo di pausa». Alcuni agenti della polizia municipale sono passati da Mlyn dopo il bombardamento russo di ottobre e si sono scusati per i «malintesi» del passato, ora il governo vuole dare a Dmytro e ai suoi compagni altri spazi abbandonati da gestire e riqualificare. «Siamo bravi a dare un senso ai posti abbandonati da dio, adesso ce lo riconoscono anche quelli con cui fino a sedici mesi fa abbiamo litigato moltissimo».

Nessuno a Mlyn ha votato per Volodymyr Zelensky alle elezioni presidenziali del 2019, ma Dmytro ha conosciuto da vicino il più giovane del suo governo, il vice primo ministro con delega alla Tecnologia e l’Innovazione, Mykhailo Fedorov. «Alla SMM Studio – la società di Fedorov – ho lavorato qualche anno, poi ho cambiato per un progetto più ambizioso, ma mi occupo sempre di intelligenza artificiale. Non ero un fan di Fedorov, però da quando è cominciata l’invasione totale ho capito che lui è uno sveglio, i suoi progetti per coinvolgere gente come me e mettere a disposizione le competenze digitali di una generazione per la guerra elettronica o per produrre i droni autoctoni funzionano». Come ti sentiresti se ti arrivasse una lettera del governo che ti spedisce al fronte? «Ci andrei. Ma mi vedi, sono esile, anche mezzo zoppo e con un kalashnikov addosso mi sentirei patetico. Mandarmi all’assalto delle trincee russe sarebbe poco furbo, però se posso stare nelle retrovie ad hackerare i droni nemici in volo per rispedirli in faccia ai russi ed evitare che esplodano contro i nostri soldati, sono pronto anche subito».

Oggi un eroe della scena musicale elettronica ucraina è un dj che ha rinunciato alla carriera nel momento in cui aveva appena cominciato a riempire i club più importanti di Kyiv e in tanti vedevano negli ultimi passi rapidi della sua ascesa la certezza che il successo sarebbe arrivato presto.

«All’inizio del 2022 Raavel stava proprio spiccando il volo, poteva andare a vivere e a suonare a Berlino come tanti altri e gli avrebbero dato ancora più serate per il solo fatto di essere ucraino, invece è andato al fronte». Raavel è il nome d’arte del soldato Valery, che combatte dal secondo giorno dell’invasione totale e adesso è con la Centotrentesima brigata nella periferia ovest di Bakhmut. Il suo primo vinile ha macinato decine di migliaia di ascolti in poche settimane ma è uscito mentre Valery era in trincea e lui se n’è accorto soltanto otto giorni dopo. Ha ricevuto un permesso premio per andare a suonare a Kyrylivska, il club più famoso di Kyiv che ha insistito per avere Raavel mandando lettere a mezzo stato maggiore ucraino: «Ci sono andato tutto eccitato ma non è finita come avevo previsto. Mi guardavano tutti, mi sorridevano tutti, volevano le foto e gli abbracci e io ero un pezzo di ghiaccio sostanzialmente incapace di qualsiasi interazione umana. Erano tantissimi e felici, facevano quasi paura. Di solito noi dj ci facciamo coccolare dai fan dopo le performance e ci facciamo offrire moltissimi drink, facciamo festa. Io mi sentivo su un pianeta alieno e mi sono chiuso nella stanza del privè a fissare il muro fino a quando non sono venuti a prendermi», racconta Valery ridendo di se stesso.

«Al fronte nessuno ti fa i complimenti, il modo per dimostrarsi affetto a vicenda è prendersi per il culo. Una volta ho fatto un concerto usando Traktor – un programma del computer che imita una consolle – per pochi intimi dentro il carro armato, un po’ scomodo ma meno traumatico del Kyrylivska. Avere due vite parallele è un sistema che ogni tanto scricchiola, ma se non mi fossi portato la musica dentro i cunicoli dove dormiamo quando siamo sulla linea di contatto sarei impazzito. Io passo parecchio tempo sulle tracce prima di essere pronto a farle uscire e quindi l’idea ora è questa: vincere la guerra in tempo per quando sarà pronto il secondo disco».

Cecilia Sala (Roma, 1995), giornalista. Ha realizzato insieme a Chiara Lalli il podcast “Polvere” che è diventato un libro per Mondadori. È autrice e voce del podcast quotidiano “Stories” (Chora Media).