Cerca

Gli attimi fuggenti del Virgilio

Tutti santi e musicisti nel liceo romano più figo che c’è. Libertà e perline, ma anche galline in fuga e nostalgia per il tempo mitico in cui si comincia a suonare, crescere, diventare Maneskin o Franco126. Il fattore sentimentale

Via Giulia 38, Roma. Abbiamo pensato di girare un piccolo film a quell’indirizzo, che corrisponde al Liceo Ginnasio Statale Virgilio, uno dei più rispettati in città. Gli stimoli per avviare questa produzione erano diversi, alcuni motivati dalle recenti cronache culturali, musicali in particolare. Altri meno immediati, entrando in un bizzarro territorio di voyeurismo privato. Comunque la scusa ufficiale era abbastanza nota da reggere da sola: negli ultimi dieci o dodici anni, proprio da questa scuola sono usciti la maggioranza dei nuovi talenti che hanno infoltito l’inquieta scena musicale romana, adesso immersa soprattutto nelle aggregazioni rap, trap e post-trap. Autorizzando ipotesi fondate attorno a una possibile “scuola nella scuola”, un filone creativo che si autoalimenta a forza di emulazione e competizione.

C’era però anche un altro motivo per realizzare questa indagine. In parole povere: tornare a scuola. Non in una scuola qualunque, ma proprio in quella avvolta, almeno per quanto riguarda la Capitale, da un’aura particolare: il liceo da sempre invidiato per la straordinaria posizione  toponomastica, per la scintillante reputazione come luogo della sperimentazione e laboratorio delle libertà, quella della cui coolness nelle altre scuole si parla con invidia, per non parlare della galleria di tipi alla moda, stravaganti, poseur che s’intravedono nei suoi dintorni – artisti e modelle, come diceva il vecchio film. Insomma il marchio di fabbrica del Virgilio, prodotto del mash-up culturale assortito dalle famiglie di provenienza dei ragazzi, con tanta società dello spettacolo e tanti figli della borghesia romana e che ogni giorno sfila fuori dal portone, quando finiscono le lezioni e ragazze e ragazzi si rovesciano in via Giulia, passando quarti d’ora a cincischiare, organizzare serate, fare flanella e a rappresentarsi.

Davanti alle telecamere del nostro film si sono raccontati in tanti, come Side Baby della Dark Polo Gang, Ketama, Franco126, i Tauro Boys, i Wing Klan, Drone, Pretty Solero, ShÈs Lola. Se non conoscete proprio tutte queste sigle e questi nomi, immaginate che siano facce diverse di un connubio artistico in cui si combinano l’elettronica derivata dall’hip hop con una volontà melodica sconosciuta ad altre latitudini e soprattutto con una diffusa attitudine alla malinconia, che prende forma nei versi e nelle atmosfere dei loro lavori, nei quali la vita è perennemente declinata all’imperfetto, tra attimi fuggenti, rimpianti e occasioni mancate. A bassa voce, questi ventenni hanno provato a rimettere in fila per noi i tasselli della loro esperienza liceale, i cinque anni durante i quali, al di là di tradurre i classici, si cresce sul serio e si capisce cosa ti piace. Il comune denominatore dei ricordi è stata la dolcezza: per nessuno il Virgilio è stata una favola, ma per tutti è stato un posto che si considerano fortunati ad aver frequentato. Di tanti professori parlano con affetto, ricordano l’altalenante sensazione d’essere incompresi, ma è in particolare l’edificazione delle amicizie il fattore sentimentale rimasto nella loro memoria, perché è quello il valore che per i teenagers conta sempre più di tutti gli altri. E poi anche, finalmente con qualche sorriso, si sono rievocate le bravate e i momenti turbolenti degli anni scolastici e perfino i traumi condivisi, come vedere la polizia entrare a scuola in cerca della droga e i giornali che in quei giorni parlavano del loro liceo un po’ come della scuola perduta. E poi, più di ogni altra cosa, la musica, che dilagava nella loro vita come il linguaggio espressivo che invano avevano cercato altrove, fino all’intuizione che quei suoni e canti potessero diventare qualcosa di più di una passione, forse perfino un lavoro, certamente una vocazione. Quanto alla questione sollevata dal film – capire perché tanta buona musica continui a uscire proprio da questa scuola – le risposte hanno sempre chiamato in causa il principio della collaborazione: le cose succedono perché si fanno insieme, si entra a far parte di un gruppo che diventa il proprio ambiente umano, nel quale confrontarsi di continuo, dentro e fuori la scuola. E dove coltivare la magnifica ossessione che per un teenager può diventare la musica, luogo mentale e sensoriale nel quale trovare rifugio, conforto e risposte.

Poi, a un certo punto, sono spuntati i Maneskin, la sensazione musicale dell’anno scorso, addirittura a livello planetario. Victoria, la bionda bassista della band, ha frequentato il Virgilio e loro hanno mosso i primi passi dal vivo proprio qui, suonando alle feste studentesche. Ma dei Maneskin, tra gli studenti della scuola, adesso si parla solo per sentito dire. E se cerchi qualche amica che frequentava Victoria, ti senti dire che sono state sconsigliate di rispondere, perché adesso nello show business vige la ferrea regola dell’inavvicinabilità. Peccato, perché di loro, dal punto di vista umano, ci hanno parlato bene e abbiamo raccolto memorie piacevoli da chi li ha visti esibirsi agli esordi, perché già erano bravi e ci credevano da morire. Insomma, quando poi ce l’hanno fatta, per nessuno è stata una sorpresa. E quel loro suono vintage ispirato al rock elettrico degli anni Settanta, di sicuro nelle aule di musica del Virgilio ha provocato nuove ispirazioni, che faranno in modo che si stiano formando altri piccoli Maneskin.

Ma parlavamo dell’altro aspetto che ci ha spinto a realizzare questo progetto, sia pure vissuto con pudore: tornare, dopo dieci, venti, per qualcuno trent’anni o più, dentro una scuola. Restarci più a lungo di una fuggevole visita, con qualcosa da fare che avrebbe legittimato il soggiorno. È sembrata un’occasione da non perdere. Però quando siamo arrivati, abbiamo cercato d’essere meno invasivi possibile. E i ragazzi ci hanno osservato con curiosità ma senza ostilità, finché è girata la voce che stavamo realizzando qualcosa che riguardava la musica e allora gli atteggiamenti si sono ancor di più rilassati e a qualcuno è venuta voglia di fare quattro chiacchiere con noi. Una situazione serena, seppure nell’ormai perenne emergenzaCovid, con gli studenti che ostentavano il desiderio di passare le loro giornate a scuola, di godersi il tempo concesso di un altro anno scolastico, di difendere il doppio binario dello studio e della socialità, con tutto ciò che ha da offrire. Il Virgilio è enorme, sovradimensionato anche per il numero di studenti che ospita, un po’ più di un migliaio. Il liceo viene costruito ex-novo tra il 1936 e il 1939 su un progetto razionalista del grande architetto Marcello Piacentini, inglobando nel complesso il palazzo Ghislieri e la chiesa dello Spirito Santo dei Napoletani. Del palazzo Ghislieri, opera cinquecentesca di Carlo Maderna, s’è salvata solo la facciata su via Giulia, dove oggi c’è l’ingresso principale dell’istituto. Le nervature del complesso sono le due grandi scalinate ai due lati del cortile, che conducono ai quattro piani superiori, ciascuno percorso da corridoi infiniti, lungo i quali sono disseminate le classi, grandi abbastanza da permettere un’ampia spaziatura dei banchi. Muoversi nella scuola in orario di lezioni è un piccolo esperimento sociologico: per quanti studenti possano essere impegnati a lezione nelle aule, ce n’è tutta un’altra moltitudine che vaga per i corridoi, vuoi perché è saltata qualche ora, oppure seguendo chissà quali altre misteriose traiettorie. S’incrocia un’ininterrotta teoria di studenti, coppie e drappelli in moto perenne, su e giù per le antiche scale o in capannelli fermi negli androni, fin quando, all’ora dell’intervallo, la moltitudine sciama a fumare nel cortile centrale, su cui campeggia l’enorme scritta VIRGILIO ANTIFA. Del resto il libero graffitismo murale di questa scuola è un settore espressivo a cui andrebbe dedicato uno studio a parte, suddiviso tra filoni umoristici, amorosi, politici, demenziali e polemici. La vera lavagna collettiva ha sede all’ammezzato: un muro lungo venti metri e alto cinque, ricoperto da un tappeto multicolore di scritte, centinaia di messaggi nei codici del piccolo mondo locale, presto tutti destinati all’oblio, allorché arriverà il momento dell’imbiancatura. Che è una responsabilità degli stessi studenti che pochi giorni prima hanno puntualmente occupato la scuola, rinnovando il rituale novembrino che si perpetra da anni: ci si intrufola nell’edificio di notte, ci si barrica all’interno e si dichiara la temporanea presa di potere del venerabile Virgilio. È successo anche quest’autunno e, come ogni volta, all’occupazione è stato dato un nome, per renderla ancor più un evento speciale – “un momento di presa di coscienza” dicono i responsabili, o forse solo un rituale dell’esperienza, ipotizziamo noi. L’occupazione del 2021 è stata battezzata “Tutti Santi”, per le coincidenze di calendario. Il nome ci è sembrato così rappresentativo, che l’abbiamo utilizzato per dare il titolo al film.

Col trascorrere delle giornate di lavoro nella scuola, ciascuno di noi ha imparato a conoscere la complicata mappa dell’edificio e a muoversi senza perderci, come capitava all’inizio. I luoghi scelti per le interviste non erano molti: il cortile, le terrazze in alto, dove il liceo si fonde con la Roma monumentale tutto attorno e le palestre dislocate nel sottoscala, sgarrupate e romantiche, identiche a com’erano nei giorni dell’inaugurazione, ottant’anni fa, con le spalliere di legno, il cavallo e il linoleum, la cui visione è un satòri istantaneo. La palestra principale, in particolare, ha una terrazza sopraelevata, una specie di galleria per il pubblico, punto di osservazione dal quale pare che di tanto in tanto s’affacciasse il duce Mussolini, per seguire le evoluzioni atletiche di un figlio iscritto a questa scuola. Le vere emozioni però sono arrivate allorché abbiamo chiesto di filmare all’interno della scuola nel fine settimana, quando gli studenti non ci sono, i riscaldamenti vengono spenti e la guardiania chiude quasi tutti i contatori della luce. Il Virgilio si è trasformato in una cattedrale buia, immota, sprofondata nel torpore romano di dicembre. In quel periodo le strade attorno a via Giulia nel fine settimana sono già animate dalla moltitudine sospinta dallo shopping natalizio ma, dietro l’austero portone di legno, tutto invece tace. C’è la troupe all’opera in un angolo della scuola, con gli ospiti, le luci e gli attrezzisti. Il resto è silenzio. A un certo punto magari ci si deve avventurare alla ricerca di un bagno. Ed ecco che appena ci si allontana dal set, le tenebre ci inghiottono. I nostri passi rimbombano nel corridoio e si comincia una peregrinazione quasi a tentoni, perché di bagni nelle scuole del Novecento ne facevano pochi e li collocavano solo a un’estremità dei corridoi – e qui, appunto, i corridoi sembrano senza fine. Diciamo che è pomeriggio inoltrato, circa le sei: è un’emozione camminare lungo questi piani spettrali e cavernosi, cercando i servizi e imbattendosi di colpo… nelle grigiastre vetrine degli animali impagliati! Un sussulto, il cuore in gola, nella penombra illuminata solo dai riflessi dei finestroni! Si riprende fiato, giusto in tempo per atterrirsi nuovamente di fronte allo scheletro umano appeso che sembra sorridere, incorniciato da vari frammenti ossei esposti sugli scaffali del reparto scientifico. Meglio accelerare, anche se è un controsenso correre nel vuoto di questi corridoi, pensati per essere popolati e adesso colmi solo di presenze impalpabili e di ombre mobili, rimembranze di chi nel tempo è transitato tra queste mura. Eccoli, infine, i bagni. Con l’intonaco bianco e azzurro, arabescati da decorazioni sportive, scurrili ed erotiche, soprattutto bui come l’altra faccia della luna. Per fortuna c’è una finestra là in fondo, che ci riconnette col mondo dei vivi, affacciandosi sul cortile. Scorgiamo qualcuno dei nostri che traversa in fretta, un attrezzista che trasporta delle apparecchiature. È un sollievo.

Poi c’è la storia della gallina. Nel racconto di Tutti Santi è diventata una metafora imprescindibile. La questione è emersa interrogando i nostri intervistati sulle leggende tramandate all’interno della scuola. Vicende intricate, di cui vengono offerte versioni diverse tra loro, di solito ambientate nei giorni magici delle occupazioni, la zona franca del più sfrenato avventurismo scolastico. Pare dunque certo che in un’occasione, molto tempo addietro, mentre la scuola era occupata e si tenevano le solite assemblee e trattative per liberarla, per una strategia rimasta sempre oscura – performativa? provocatoria? alimentare? – all’interno del liceo vennero introdotte e subito liberate cinquanta galline che, va detto, vissero l’esperienza con la dignità e l’apatia che le caratterizza. Conclusa l’occupazione, dalla direzione venne imposto ai promotori della protesta di occuparsi dell’operazione non procrastinabile: il recupero di tutte galline. L’impresa risultò complessa, costellata di episodi da slapstick comedy, tra inseguimenti, accerchiamenti, tuffi e piume che volano. Comunque, nel giro di un fine settimana, 49 galline vennero riacchiappate e chiuse nelle casse con cui erano arrivate. Della cinquantesima, però, non c’era alcuna traccia. Dal momento che nessuno era propenso a credere che la sventurata fosse finita arrosto, la teoria che si consolidò, assumendo rapidamente dimensione mitica, fu che la gallina più furba avesse deciso di vivere fino in fondo il proprio momento di libertà. Che, per gli anni a venire, la gallina ribelle avesse vissuto in autonomia all’interno dell’istituto – prova ne furono svariati avvistamenti, purtroppo mai confortati da prove. E che, trascorso il giusto tempo, la gallina sia passata a miglior vita in chissà quale suo rifugio, lasciando indietro un’entità fantasmatica che ancora si aggirerebbe per la scuola, quando le aule sono vuote e i corridoi silenti. Saltellando su fino alle terrazze e trovando il modo d’inerpicarsi su un parapetto. E la notte standosene lì, a guardare il fiume che scorre e le scie luminose delle automobili che sfrecciano sul Lungotevere. Qualche studente, il sabato sera, giura ancora d’averla scorta a passeggiare, lassù in alto.

Stefano Pistolini (Roma, 1955), giornalista, scrittore e autore. Collabora con il Foglio. A febbraio esce il suo romanzo “La Scienza di Noi” (Elliot). Tra i lavori più recenti, ha diretto il documentario “Ciao, Libertini! Gli anni Ottanta secondo Pier Vittorio Tondelli” e prodotto i docufilm “Sisters” e “Chiamatemi Tony King”.