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Immagina un futuro senza sesso

Murata Sayaka scrive romanzi che rovesciano la morale comune in modo disturbante. Mette i suoi personaggi in un acquario, poi li guarda muoversi da soli e interagire, come una scienziata che spezza tabù impensabili: la legalizzazione dell’omicidio, il cannibalismo, i matrimoni senza rapporti. Un senso nuovo di famiglia e la prima confessione a sua madre

Murata Sayaka, autrice giapponese prolifera di racconti e romanzi che sovvertono la morale comune in maniera disturbante, è cresciuta nella provincia giapponese di Chiba in una famiglia molto tradizionale, e da piccola credeva di essere un’aliena. Alla famiglia ha tenuto segreta la sua attività di scrittrice fino quasi a negare l’evidenza. Lavorava nel konbini, il minimarket di quartiere, che ha ispirato il suo successo La ragazza del convenience store, e anche dopo la pubblicazione non ha voluto smettere. Quando le ho detto che l’avrei interrogata sul sesso, è arrossita. Eppure con la sua narrativa ha infranto tabù molto più impensabili, come la legalizzazione dell’omicidio o il cannibalismo. Per i giovani, si è inventata una nuova modalità amorosa a tre, in cui il piacere non è focalizzato sui genitali.

Nella sua ultima raccolta, Parti e omicidi, edizioni e/o (traduzione di Gianluca Coci), ha immaginato una società dove la procreazione non è più legata al sesso, e ha esplorato un’altra delle sue ossessioni ricorrenti: quella di coppie che si sposano con il contratto preciso di non avere rapporti. In un editoriale uscito qualche anno fa sul New York Times, ha dichiarato che immagina un futuro dove il sesso non esiste più.

Nei Terrestri, una donna che a dieci anni aveva commesso un incesto con l’amato cugino ed era stata violentata da un professore, decide di sposare un uomo col quale per contratto non avrà rapporti, solo per mettere a tacere le aspettative sociali. Nei tuoi libri, il tema dei matrimoni bianchi ritorna spesso. È vero che in Giappone il fenomeno è più diffuso che altrove?

Non solo nelle opere già tradotte in Italia, ma anche in una che sta per uscire in inglese, Burning World, parlo di coppie dove non ci sono più relazioni sessuali, e la ragione per la quale ho iniziato a nutrire interesse per queste storie è che ho molti amici che si sono conosciuti tramite app e poi sposati. Arrivare al sesso da una conoscenza virtuale non è scontato, e così quando hanno voluto metter su famiglia, hanno iniziato a fare attenzione ai giorni di ovulazione per concentrare le rare interazioni in momenti utili: una vita molto stressante. A livello inconscio tutto questo è diventato ispirazione anche del racconto Un matrimonio pulito. Da quando l’ho scritto è passato un po’ di tempo, e oggi in Giappone ci sono molte coppie sposate che non vogliono avere scambi di natura sessuale e si affidano alla fecondazione in vitro. Mi sono resa conto che ultimamente nelle giovani generazioni questa realtà è sempre più diffusa.

Secondo un sondaggio dell’Istituto nazionale di statistica, il 22 per cento delle donne giapponesi riferisce di trovare il sesso “fastidioso”. La moglie di Un matrimonio pulito non è asessuata, ma non vuole convivere con qualcuno che in qualsiasi momento, mentre dorme, possa metterle le mani addosso. Ho trovato questa osservazione geniale. Mi ha fatto pensare a come l’ambiente domestico sia stato e sia spesso luogo di “assalti”. È quello a cui ti riferisci?

Quando scrivo, creo degli acquari, e una volta inseriti negli acquari i personaggi prendono vita e si muovono da soli; poi prendo annotazione di quello che accade nell’acquario come se fossi una scienziata, e quelle annotazioni diventano il romanzo. Ne I terrestri, per esempio, la scena di abuso sessuale avrebbe dovuto occupare dieci cartelle, ma ne ha prese quaranta. Mi sono resa conto che quella degli abusi tra le mura domestiche era una realtà importante per me. Perché io stessa non voglio ritrovarmi nella situazione in cui un partner di cui mi fidavo in un modo o nell’altro abusi di me. E poi a me è già successo. Ecco perché ho continuato a riproporre il tema all’interno delle mie opere.

Il marito del racconto, invece, ha la perversione del baby-adult e la esercita fuori casa. Mi è parso che dal punto di vista maschile, l’esito del matrimonio che proponi sia più “retrogrado”. Per l’uomo poter distaccare amore coniugale da amore passionale è ciò a cui sempre egoisticamente aspira.

Il fatto che l’uomo compia atti sessuali al di fuori della coppia nei film e nelle serie tv viene visto sempre in modi drammatici, come un atto che ferisce. Io invece volevo creare una protagonista che non si feriva, che non era emotivamente coinvolta al punto tale da lasciarsi sconvolgere da questa cosa. Era un’ambizione che io stessa desideravo realizzare. In Burning World, che tratta la stessa tematica in modo più ampio, è possibile accoppiarsi solo con personaggi fittizi, di animazione, e il sesso non è più praticato dentro le mura domestiche. Qualora venga fatto, si considera incesto. Anche in questo romanzo la procreazione avviene in vitro ed è il marito che tiene nel ventre il feto. Creando una realtà in cui il sesso viene fatto fuori casa, si ottiene un ambiente domestico sicuro, senza pericoli. Questo è il mondo che io avevo desiderato realizzare, una forma di utopia, ma mi rendo conto che c’è anche la possibilità di guardarlo dall’angolazione di una distopia paurosa.

Da bambina, avevi inventato una parola piena di dolcezza per l’autoerotismo, invece poi hai scoperto che esisteva la parola masturbazione, e che quella pratica non era una cosa unica e tua. Pensi che sia il linguaggio a rovinare l’unicità dell’esperienza umana?

Sin da quando ero all’asilo, avevo una percezione abbastanza singolare del mio corpo. Credevo che l’interno della mia mente e il mio corpo fossero separati e comunicanti. Ritenevo di essere di un pianeta – di un regno – diverso, e pensavo che questa certezza si trovasse nel mio spirito, e solo in certi casi mi collegavo col mio corpo. L’autoerotismo era il punto di contatto tra dove credevo di essere veramente (l’altro pianeta) e il mio corpo terrestre. Quando però ho trovato in camera di mio fratello delle pubblicazioni erotiche, mi sono accorta che la donna era rappresentata solo come uno spettacolo per aiutare la masturbazione maschile. E io che avevo sempre percepito il mio corpo come mio, vedendo che poteva essere così adoperato, subii una specie di choc che è all’origine della mia narrativa.

Nel tuo ultimo libro, gli istinti omicidi vengono “normalizzati”. Il tuo sta diventando un discorso sempre più estremo su ciò che accettiamo come normalità. Ma disturbando il senso morale del lettore non rischi di essere travisata?

Io credo che nel momento in cui realizzo un romanzo, il romanzo diventi del lettore. Una volta però mi è successa una cosa: all’interno di Materiali di prima qualità, un racconto contenuto in La cerimonia della vita, vengono utilizzati capelli ed epidermide umani per creare vestiti. Mi trovavo a Zurigo quando il traduttore del libro ricevette una domanda su Auschwitz. Io sul momento non capii perché parlavano tedesco, ma poi realizzare che le mie fantasie fossero state associate ad Auschwitz mi lasciò sconvolta.

Hai iniziato a scrivere a dieci anni immaginando di essere un alieno. A parte il sesso, quali sono le usanze umane che ancora ti fanno impressione e dovrebbero essere abbandonate o almeno guardate con sospetto?

Da quando ero una bambina piccolissima, c’era qualcosa che andava oltre la mia comprensione. E questa cosa era la famiglia. Perché dei genitori dovevano darmi da mangiare, da dormire, prendersi cura di me? Tutto ciò per me era incomprensibile, comportava una serie di azioni e costi insostenibili per i miei genitori. Pensavo: solo per averci dato la vita, queste persone si sono trovate nella situazione di doversi prendere cura di noi. Probabilmente, pensavo, i miei genitori sono delle persone fin troppo buone che si stanno facendo imbrogliare da qualcuno che gli fa credere che questo sia necessario, che lo devono fare a ogni costo. E così mi preoccupavo per loro. È proprio il sistema della famiglia che quando ero bambina trovavo inspiegabile e bizzarro.

Pensi che la famiglia come istituzione sia destinata a estinguersi?

Nei miei lavori, la famiglia possiede senza dubbio un significato diverso rispetto alla realtà odierna. Ho scritto, per esempio, di una famiglia nata da un matrimonio fra tre amiche che adottano un bambino, o di una realtà alternativa in cui la famiglia come istituzione non esiste più ed è stata sostituita da un sistema diverso che garantisce ugualmente la sopravvivenza della specie. Mi piace molto riflettere su nuovi metodi e possibilità per la riproduzione umana.

So che i tuoi genitori non leggono i tuoi libri.

Quando ho cominciato a scrivere romanzi, da bambina, ho sempre fatto in modo di non parlarne con nessuno. Finita l’università, una mia opera breve aveva ottenuto una menzione d’onore e dovevo debuttare. Pur debuttando, ho cercato di non far sapere a nessuno del libro. Tuttavia, a un certo punto ho pensato che avrei dovuto parlarne a mia madre, perché la storia parlava di una madre e di una figlia. Allora l’ho presa in un angolino e le ho detto che stavo per pubblicare una storia di odio di una figlia verso una madre, ma che non era assolutamente il nostro caso: non stavo parlando di lei. Al principio le chiesi di non dire niente a mio padre e mio fratello. Col tempo ovviamente lo scoprirono anche loro. Mia madre da subito ebbe paura di leggermi, non ci provò mai. Mio padre cominciò a leggere qualcosa, ma c’erano troppe descrizioni sessuali, si fermò a metà e non volle più prendere in mano niente di mio.

Tu hai fatto di tutto per non rispondere a nessuna idea di donna e neanche di essere umano: per vivere come una creatura. In cosa consiste questa pratica, e come consiglieresti di esercitarla?

È come se esistessero due me: il me come essere umano e il me come scrittrice. Il me-essere umano è sempre stato picchiato dalla società. Ciò che mi ha dato un grande sostegno nell’unione tra le due me stesse, quella dell’altro pianeta e quella col corpo, erano le parole. Non dovevano per forza avere senso, ma dovevo continuare a muovere la mano. Quell’atto era una specie di preghiera per la ricerca della vera me. Il fatto di trovare delle situazioni anche assurde dove utilizzare le parole «io sono così», «io sono stata fatta così» ti porta all’interno di uno spazio superiore, o inferiore, dove puoi guardare il mondo dal di fuori, e capire che cosa ti è davvero necessario.

Arianna Giorgia Bonazzi (Udine, 1982), ha pubblicato libri per adulti e ragazzi con Mondadori, Rizzoli, Feltrinelli, Fandango. Insegna alla Scuola Holden e cura progetti editoriali per Triennale Milano e Emergency. A maggio uscirà per i Topipittori il suo «Dizionario segreto d’infanzia».