Nelle illustrazioni di Francesco Bongiorni una delle chiavi più importanti è la sorpresa, trovare una prospettiva inedita con cui raccontare. L’estate da lui immaginata per la cover della Review è proprio così: inaspettata, particolare e con un tocco di mistero.
Abbiamo chiesto a Francesco Bongiorni di raccontarci la sua illustrazione dal titolo “Estate” e del mondo sottosopra che si cela nel fondo del mare.
Qual è stato il processo creativo che l’ha portata a illustrare la cover del Foglio Review, “Estate”?
Il briefing che ho ricevuto era abbastanza ampio, si parlava infatti genericamente di estate. Nulla di troppo chiuso e direttivo. Come approccio lavorativo solitamente io ricerco il sottosopra, cerco di ribaltare ciò che è convenzionale. Ci sono cose possibili ma improbabili e sono le cose che mi interessano di più. Parlando di sottosopra, questa ricerca del non convenzionale mi ha fatto concentrare non sulla spiaggia – nostro immaginario classico legato all’estate – ma sono andato in fondo al mare, ribaltando la scena. Uno scenario più particolare e misterioso. Mi piace sorprendere chi guarda il mio lavoro: cerco di portare un approccio che esuli dallo scontato.
Si è immaginato una storia che coinvolge la persona ritratta in copertina? Un prima o un dopo di quel momento fermato nella sua illustrazione…
Più che il prima o il dopo, studio l’attimo che voglio rappresentare facendomi tantissime domande. Mi pongo dei quesiti per capire come sta quel personaggio o chi lo circonda. Cosa sta provando? Ha freddo, caldo? Cosa pensa? Come sta? È sereno? Queste domande mi aitano a scavare nell’animo del personaggio: dalle risposte che mi do, l’immagine comincia a scolpirsi. Se la risposta è che è rilassato, la postura del personaggio sarà più distesa, la figura si “arrotonda”, piano piano si libera delle varie tensioni. Il processo è quindi pian piano di dissipare le varie domande, di liberarmene per esclusione. Il foglio bianco in questo senso è il quesito assoluto: dandomi varie risposte, comincio a scavare, ad andare verso il fondale, il nucleo dell’illustrazione. In questo caso: chi? un palombaro, dove? nel fondo del mare. E pian piano l’immagine va a crearsi grazie a questo percorso. Quando gli scultori scolpiscono, cominciano a sbozzare il blocco di marmo per permettere all’essenza della loro arte di emergere e prendere forma. Io mio avvicino al nucleo tramite le domande che fanno da bussola – sono come lo scalpello. In questo senso, sento una similarità tra questi processi creativi.
Nelle sue illustrazioni editoriali, che tipo di rapporto si crea tra parole e immagini? L’illustrazione aggiunge contenuto e/o punto di vista? Come illumina ciò che il testo restituisce?
Parto da un dato personale. Io vivo da quindici anni in Spagna e quindi sono esperto di tapas. L’illustrazione per me è come una tapa: un bocconcino che ti fa provare un sapore ma senza essere ripetitivo. Nel boccone c’è già tutto, è tutto lì. L’illustrazione è simile: un piccolo boccone che deve convincere il lettore ad approfondire quel contenuto. Un’illustrazione non può infatti contenere dentro di sé troppe informazioni, non è un grande piatto da portata. È una tapa, un piccolo boccone di sapore che ti convince ed andare avanti, a leggere tutto il contenuto.
Nel mio lavoro editoriale, quando viene mandato un articolo esso ha in sé il messaggio, lo contiene ma non è il messaggio. Ha tante parole, contiene molte suggestioni e direzioni; io comincio a togliere le parti (al fine del mio lavoro) marginali e che approfondiscono troppo, finché non arrivo al nucleo del messaggio. Arrivo a due, tre parole chiave con cui comincio a lavorare. Inizio a tradurre le parole da un linguaggio all’altro. Queste due -tre parole chiave le traduco nel linguaggio visivo e le rendo adatte ad un altro tipo di comunicazione e di fruizione.
Lei proviene da una famiglia dove l’arte era di casa. Se e come l’ha influenzata questo tipo di contesto?
Ne sono stato profondamente influenzato, è stato un terreno fertilissimo. Il ricordo più bello è quando mi mettevo a disegnare con mio fratello e arrivava mio padre che disegnava con noi, stregandoci con la sua bravura. Il nostro modo di giocare era metterci a disegnare. Più avanti ho iniziato anche ad avere un punto di confronto con vari cugini, bravissimi disegnatori, e ho scoperto una sorta di fumetto ante litteram fatto da mio nonno durante il periodo bellico, il suo diario di guerra dalla Grecia e dall’Albania, pieno di ironia e di bellezza. Tutto ciò è stato essenziale per me. Al di là di alcuni strumenti tecnici, il lascito più importante che la mia famiglia mi ha trasmesso è stato avermi introdotto all’importanza della curiosità. Questa è il motore più bello e profondo che abbiamo, il carburante emotivo che vivifica tutto. E la curiosità è tanto più bella quanto più è ampia, eterogenea. I miei interessi infatti vanno ben al di là dell’arte e del disegno, sono molto più trasversali. Questo essere “onnivori” fa si che anche il mio lavoro ne benefici. Tempo fa, ad esempio, mi sono messo a fare uno studio sull’origine della mia famiglia, realizzando un albero genealogico. Questo lavoro mi ha appassionato molto e ha nutrito la mia curiosità tanto che quando sono tornato a disegnare ero più creativo. E spesso queste suggestioni così varie hanno avuto modo di ritornare nelle mie illustrazioni, di emergere inaspettatamente. Gli ambiti, insomma, si contaminano virtuosamente.