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La costellazione di una donna, in movimento

La biografia intellettuale di Sibilla Aleramo è disseminata di nomi di femministe, costruisce una rete di solleranza e solidarietà che diventa una festa. La promessa di non lasciare indietro nessuna, superando i limiti che a volte si riconoscono anche in un articolo determinativo. Una passeggiata letteraria attraverso il lavoro di coalizione di donne che sono grandi tutte insieme

Nella storia di quella che viene definita “la questione della donna”, si pone l’accento sul sostantivo: donna. Ma forse anche l’articolo, una categoria dalle sfumature più sottili, è importante. Potremmo soffermarci per un momento sul “la” di “la donna”: cosa implica questo categorico articolo determinativo? Qual è la differenza tra la categoria onnicomprensiva di “la” e la particolarità individuale di “una”, l’articolo indeterminativo utilizzato da Sibilla Aleramo nel titolo del suo libro del 1906? Essere “una” potrebbe significare considerarsi soltanto una fra le tante, non universalizzare la propria esperienza (nel caso di Aleramo, quella di una donna bianca di famiglia piccoloborghese). Potrebbe indicare un modo di concepire sé stessa come parte di una rete o una costellazione, quindi all’interno di una collettività più ampia, più variegata. Penso a una risposta transfemminista, alla violenza di genere: «sorell* non sei sol*». In questi giorni questa frase viene spesso detta, urlata, sussurrata, scritta sui muri da un collettivo transfemminista italiano che mi ispira tantissimo, che nel nome riflette l’idea solidale di “una”: Non Una di Meno. In quel nome leggo la promessa di non lasciare indietro nessuna persona: riconosce che nessuna debba sentirsi sola in una situazione di violenza, oppressione, o discriminazione; ma rileva anche qualcosa sul rapporto fra “una” e “la”: una persona che si sente sola richiede “la” sorellanza e “la” solidarietà.

In effetti, perché la giovane scrittrice Rina Faccio, che sarebbe poi diventata Sibilla Aleramo, potesse mettere al mondo il libro Una donna, fu necessaria una rete di sorellanza e una costellazione di solidarietà. La biografia intellettuale di Sibilla Aleramo è disseminata di nomi di femministe del tardo Ottocento e del primo Novecento, donne impegnate nella lotta per il cambiamento sociale. A partire da Emilia Mariani, che affidò la direzione editoriale del settimanale socialista L’Italia femminile alla giovane Rina Faccio. Troviamo attiviste degne di tutta la nostra ammirazione, come Alessandrina Ravizza, Anna Maria Mozzoni e Anna Kuliscioff, che facevano coraggiosamente sentire la propria voce sui diritti delle donne. Senza dimenticare Eleonora Duse che incarnava sul palcoscenico il potenziale di una donna moderna e liberata e come avrebbe potuto essere “protagonista”, in tutti i sensi. Potremmo dire che lo pseudonimo Sibilla Aleramo non stava semplicemente per Rina Faccio, ma che piuttosto si riferiva a un collettivo di femministe che avevano spianato il campo per creare lo spazio alla voce narrativa di Una donna.

Il fatto che i loro nomi siano forse meno conosciuti (quanti lettori conoscono lo pseudonimo di Beatrice Speraz?) potrebbe essere un’opportunità per raccontare nuovamente queste vicende politiche e letterarie. Invece, che la storia di una variante al femminile dello storico stereotipo del “grande uomo”, in cui Sibilla Aleramo verrebbe rappresentata come l’eccezionale, eroica “grande scrittrice” che da sola creò il romanzo femminista italiano, potremmo raccontare quella di un simultaneo fermento collettivo di quei desideri femministi, idee, lotte e collaborazioni che sono alla base di Una donna. Era un periodo in cui molte femministe dibattevano delle ingiustizie di quello che Anna Kuliscioff chiamava Il monopolio dell’uomo. Era anche un’epoca di grande incertezza: se una donna non poteva nemmeno sottrarsi legalmente a un matrimonio violento, come poteva sperare di ottenere il voto o di studiare all’università? Sibilla Aleramo assunse uno pseudonimo che suonava profetico, sperando in una futura emancipazione; Beatrice Speraz scelse il suo per sfuggire ai pregiudizi dell’epoca e divenne Bruno Sperani.

In questa costellazione di storia letteraria, sono una + una + una + una + una, all’infinito, ad aver reso possibile Una donna. Ed è così che ho cercato di costruire Le figlie di Saffo: intrecciando, raccogliendo, facendo coro, recuperando alcuni nomi che hanno goduto di minor fama e rendendo qualche figura nota meno distante e isolata.

Mentre scrivevo Le figlie di Saffo, ho cercato di tracciare un disegno delle costellazioni di personaggi, di vedere le loro intersezioni come linee che si incrociano sulla pagina. Sfortunatamente, non avendo alcun talento artistico, il risultato è stato un groviglio intricato di linee. Ho avuto più successo quando sono passata da questo primo cerchio di una + una + una, ossia le figure storiche che per me sono diventate personaggi, al secondo cerchio, quello delle studiose femministe che si sono prese cura del loro retaggio. Ho iniziato non solo a compilare bibliografie, ma anche a trarne godimento. È stato come entrare a una festa, e leggendo articoli e libri di Sibilla Aleramo, mi pareva come di incontrare delle care amiche; ho provato un’ondata di gioiosa gratitudine: Ah, ecco Bruna Conti! Oh, e Annarita Buttafuoco! E con lei Marina Zancan, che ha fatto tanto anche per Alba de Céspedes, e poi Maria Corti, naturalmente, e Alessandra Cenni, che ha raccolto gli scambi epistolari con Lina Poletti, e Laura Mariani che ha scritto un intero libro sulle attrici e l’emancipazione a causa di una foto di «l’attrice Giacinta Pezzana, più che sessantenne, e la giovane scrittrice [Sibilla Aleramo]; entrambe sedute, si guardano negli occhi e si tengono per mano», e Fiora A. Bassanese, che ha descritto Aleramo come «autrice di un mito personale» che aveva scomode affinità con l’eccezionalismo fascista, un’altra valida ragione per non esaltare un’unica scrittrice come grande modello. Senza questa seconda cerchia di studiose femministe, non avrei potuto scrivere di Sibilla Aleramo; fanno parte della costellazione, dell’insieme di stelle che circonda Una donna.

In contrapposizione a questo modello di una + una + una, l’articolo indeterminativo che accumula potenza attraverso il lavoro di coalizione, c’è la tirannia dell’articolo determinativo, totalizzante: come disse Anna Kuliscioff nel suo discorso del 1890 al Circolo Filologico, Il monopolio dell’uomo. Quello evidenziato da Una donna non è il problema dello stupro subìto da Rina Faccio quando era ragazza e del padre che poi permise all’autore della violenza di sposarla; il problema è il sistema che propaga il possesso e lo sfruttamento violento e transazionale di qualsiasi categoria di persone, fino ai giorni nostri.

È IL monopolio, infatti, a creare la categoria de “L’uomo” (inteso come “L’uomo bianco eterosessuale”) che poi si pone il problema di cosa fare con l’intricato e spinoso “problema” de “LA donna”. (L’espressione “la questione della donna” mi fa sempre pensare: perché siamo una questione da risolvere? E chi mai avrà il diritto di rispondere?).

In questi giorni sto leggendo Cassandra a Mogadiscio di Igiaba Scego e, dato che ho la brutta abitudine di leggere per prime le note finali, ho iniziato da Autobiografia in Movimento (Ringraziamenti). Un’autobiografia, un romanzo, una autofiction, una rielaborazione di storie personali e politiche intrecciate: Scego racconta storie complesse di colonialismo, italianità, memoria, famiglia, genere, lingua, patria e diaspora. «Così ho capito che l’autobiografia è affascinante per il suo costruirsi in costante movimento», scrive Scego, osservando «la parola dell’altro, che apre e chiude gli spiragli». La sua concezione relazionale e trasformativa dell’autobiografia mi ricorda che questo genere è capiente; potremmo avere molti, moltissimi altri libri intitolati Una donna. Ogni “una” aggiungerebbe qualcosa di proprio, eppure non arriveremmo mai a una categoria totalizzante di “la”: questa costellazione non è mai completa, ma è in costante movimento.

Selby Wynn Schwartz ha partecipato il 18 aprile, insieme a Viola Di Grado e Xiaolu Guo, a una conversazione tenutasi al Circolo Filologico di Milano durante il primo Miu Miu Literary Club, Writing Life, dedicata a Sibilla Aleramo. Si è parlato del ruolo dell’amore nella vita delle donne emancipate, del potere della sorellanza e del retaggio delle scrittrici del passato. Le due giornate del Miu Miu Literary Club hanno visto susseguirsi conversazioni e performance musicali e poetiche dal vivo, a sottolineare ancora una volta l’impegno di Miu Miu nei confronti del pensiero contemporaneo.

Selby Wynn Schwartz è una scrittrice americana. Ha un dottorato in Letteratura comparata a Berkeley. «Le figlie di Saffo» (Garzanti, 2024) è il suo primo romanzo.