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La setta delle cinque

L’alba non è un posto per giovani, ma è fatta di voci, suoni e cinghiali che mangiano insieme ai gatti. La battaglia segreta per la rassegna stampa di Radio 1 e la leopardiana verità: non sono un’insonne. Le ragazze tornano dalle feste e davanti al portone mi dicono: buongiorno

“Il dì rinasce: torna la verità in su la terra e partonsene le immagini vane (…) Riducetevi dal mondo falso nel vero” Giacomo Leopardi, “Cantico del gallo silvestre”

Ho visto per la prima volta ieri su Netflix Le conseguenze dell’amore, noto film di Paolo Sorrentino del 2004 (bello). Non c’entra con questo quaderno che parla di albe e di risvegli, del mio personale blob fuori orario, se non per un passaggio.

Dice Titta Di Girolamo/Toni Servillo che “esiste nel mondo la setta degli insonni” e che questi hanno “un’unica ossessione, addormentarsi” e, deduco, una medesima idiosincrasia, il fastidio per gli “altri”, quelli che danno loro consigli su come variamente impiegare il tempo delle loro veglie involontarie e incoercibili.

Non appartenendo alla setta in questione, né tantomeno all’altra, quella dei consiglieri dal sonno più o meno regolare, mi sono chiesta se ce ne fosse una terza, la setta dei turnisti dell’alba. Nell’eventualità, la mia.

Ci ho pensato e ho deciso che no: l’alba, la regione temporale che sono costretta ad abitare una settimana sì, una settimana no, da undici anni, in quanto conduttrice di Omnibus, non ha affatto quel carattere collettivo.

Potremmo mai definirci setta noi monadi assonnate, generalmente poco loquaci e anzi infastidite da chiunque cerchi interazioni nel momento del rientro anticipato nel mondo? Non siamo una setta né tantomeno la setta contrapposta a quella degli insonni perché loro cercano il sonno, ma noi non cerchiamo la veglia. Ognuno cerca semmai un tempo supplementare, in un perenne negoziato con l’orologio. O semplicemente tempi riparati dagli occhi o dalle orecchie degli altri.

Quando esco, alle cinque e trenta, per le strade deserte, a piedi o in macchina, vedo in opera entrambe le modalità: i tempi supplementari di quelli che, ancora buio, corrono sul Lungotevere. Tute tecnologiche nell’oscurità, invidiabili esempi di coincidenza del dovere con il piacere. A me per la verità mettono ansia. E i tempi riparati di chi cerca un po’ di segreto: i ragazzi sotto il Ponte della Musica, loro in continuità con la notte o la signora dai capelli bianchi che regala pane ai gabbiani. Evidentemente esente da pregressi traumi hitchcockiani, l’ho incontrata più volte circondata da un impressionante stormo sul Ponte Duca d’Aosta. Con il vento fa ancora più impressione.

Mi sveglio alle cinque. Prima delle immagini, in realtà, ci sono le voci. La radio. Radio1 è l’unico canale Rai in diretta. Combatto una battaglia personale segreta e irrilevante contro lo spostamento della rassegna stampa dalle cinque alle sei. È avvenuto ormai diversi anni fa, nel frattempo si è affermato il Disco sveglia, canzoni e tentativi di intrattenimento dei pur gradevoli dj Gianmaurizio Foderaro e Julian Borghesan. Messaggini degli ascoltatori, almanacco dei cantanti. Li combatto a colpi di volume o salto su Radio radicale, cerco lì voci rimpiante o i dibattiti in giro per l’Italia ottimi per il casting di ospiti e argomenti. A volte li troncano di netto, ma vabbè. Chiedo scusa per l’approccio privatistico e minoritario ai palinsesti, ma il fatto è che per il turnista dell’alba ascoltare è un’ottimizzazione.

Senza contare la beffa anagrafica. Un recente trasloco mi ha fatto ricapitare fra le mani le Operette morali. Dice il Gallo silvestre leopardiano che “la sera è comparabile con la vecchiaia” e “il principio del mattino somiglia alla giovanezza”. Chiunque abbia fatto la maturità grosso modo sa cosa vuol dire Leopardi. Ma a me capita di vederne il prosaico rovesciamento: l’alba non è per i giovani. Non solo a causa del repertorio musicale del Disco sveglia che niente, ci inchioda. Quando esco alle cinque e mezza, mi capita di incrociare al portone le ragazze del piano di sotto, loro rientrano da una festa. Buongiorno, buonanotte.

L’alba è fatta di voci e suoni. La lettura arriva dopo, concitata. Cigolii e clangori dei mezzi Ama, furgoncini che sgommano a tutta velocità per beneficiare delle strade vuote. Tutto amplificato dal silenzio. I versi dei pennuti urbani. Ci sono gli animali nella mia galleria delle immagini in esterni. I germani a passeggio davanti alla sede di Leonardo, ma forse era per il lockdown. I cinghiali e i racconti di cinghiali fatti dai tassisti. Un cinghiale sulla Panoramica che mangiava insieme a un gatto. Nuove frontiere dell’etologia. In attesa di ritrovare l’umanità in studio (evito la questione ospiti dei talk, altri quaderni), solo veder spuntare all’improvviso la sagoma gigante del gallo silvestre potrebbe ancora sorprendermi.

Alessandra Sardoni (Roma, 1964), giornalista e conduttrice televisiva. Ha ricevuto il premio Premiolino per il giornalismo. Ha scritto due libri, “Il fantasma del leader” (Marsilio, 2009) e “Irresponsabili” (Rizzoli, 2017). Da undici anni conduce “Omnibus”, su La7.