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Ora io non ti guardo più

L’alluvione mostruosa delle opinioni mi è diventata improvvisamente estranea. Nell’imperturbabilità acquisita, vedo meglio le mura fiammanti del mondo. È la prima volta

Complicazioni personali aiutando, ho scoperto l’indifferenza. L’ho scoperta guardando la guerra in tv a partire dal 24 febbraio scorso. Non è l’indifferenza del cinismo con cui ho giocato per anni nel paradosso, bene e male equivalenti a seconda delle circostanze di fatto, è un altro tipo di distacco, mentale, psicologico, forse anche di cuore o di tempra. La Cosa, l’alluvione mostruosa delle opinioni, mi è diventata improvvisamente estranea, come si estranea nella coscienza vigile, quando il petto è dolorante, quella che i tecnici chiamano, con la perdita progressiva delle forze, la sindrome da morte imminente. Se conosci un paio di lingue europee, se sai leggere e selezionare l’informazione e sei ben collegato, puoi sapere quello che succede entro i limiti della propaganda e del fallibile. Per il resto, per il solito circo, l’esibizione di certezze demenziali, pace ma non libertà, la colpa è della Nato, si arrendano e non se ne parli più, le sanzioni non servono che a danneggiare chi le impone, non armi ma opere di bene per gli ucraini, con il corteggio delle sicumere nel dibattito infinito, gli atteggiamenti, gli sguardi, le vanità, le pensosità, i nomi, i titoli e i blasoni dei protagonisti della democrazia discutidora, professori, esperti, filosofi, tutto questo mi è risultato d’un tratto esotico, di un esotismo rancido come un mango marcito, ma rumorosamente lontano, e ho coperto perfino le mie vecchie passioni polemiche sotto il divino manto dell’atarassia, dell’imperturbabilità.

Tra un’immagine e l’altra dell’inequivoco, captata in prevalenza su Cnn e Bbc e BfmTv e Rai, mi sono deciso a non dover decidere in comunità opinioneggiante tra aggredito e aggressore. È stata la prima volta. Almeno per me. Ho captato il retroterra ambiguo dei realisti, di coloro che non si bevono la retorica occidentale, che accettano questa grande fuga scalza di forse quattro milioni di profughi in nome della geopolitica, e l’ho semplicemente scartato senza languenti esitazioni, non ne ho tenuto conto. Non mi sono nemmeno arrabbiato, non ho dedicato malizia e vigore di argomenti alla pugna, come faccio di solito, non ho scavato nelle ragioni e nei torti, non ho cercato la logica di un primato morale forse inesistente, mi è sembrato che i fuochi, i crani fracassati, il freddo, la penuria, la miseria dei fatti di guerra, le colonne marcianti, le trincee e le barricate, gli assedianti contro le città martirizzate, e il nobile allegro rifiuto alla sottomissione in nome di sé stessi e delle circostanze più o meno umane, generiche, da parte di tanti coraggiosi resistenti dilettanti, non valessero la pena di essere sminuzzati, contrassegnati dal nostro sistema segnaletico, inseriti come ipotesi in conflitto nel nostro lussuoso codice delle idee.

È una via all’infantilizzazione felice. Da bambini si dice: non ti parlo più. Ora io non ti guardo più, non ti ascolto più, l’opinione incrociata dell’Io imbizzarrito, inautentico, mostruosamente esibizionista, diventa una trasparenza inutile, una piuma nera nella nebbia, una doppia opacità, nulla. Può essere un peccato perché sono curioso, nella curiosità è il rimedio al tempo che passa volatile, la curiosità è quello che resta, un atto di fiducia e di amicizia che ti ormeggia all’esistenza sulla famosa barca della vita quotidiana, delle letture, della disponibilità. Ma se oltre non si potrà, come diceva Orazio, oltre non è dato andare. Nella critica militante e postmoderna abusiamo della parola: sguardo. Per quanto mi riguarda in certi casi ho gli occhi chiusi, entro in dormiveglia, e se non sonnecchio divento scostante, distante, allontano stupidità e stupore, mi sdraio come un cane, sospiro, me ne resto accucciato dalla parte dei fatti, anche della loro ambiguità e bruttezza, smetto di abbaiare, di dubitare, di opinare, scelgo la perversità della solitudine. Allontanarsi dagli idoli di una folla malsana, che ha sempre il suo diritto di tribuna, non ha niente di eroico, è un nascondimento, una rinuncia salvifica che ci accosta agli intramundia e ci consente di vedere meglio, nel loro orrendo chiarore e nella loro non opinabile passione, le mura fiammanti del mondo. È un atto di materialismo e di realismo, una tranquilla ripulsa del diavolo e delle sue stregonerie.