Quanta verità riuscivo a sopportare a vent’anni? In amore, nelle amicizie, al lavoro, a scuola. E quanta ne sopporto adesso? Ne ho ricavato un libro, raccontando storie che ho vissuto. Prima avevo scritto solo romanzi inventati; questa volta no, perché ho avuto delle disavventure di salute. Essere vivi non è ovvio: lo sapevo già, ma in astratto; quando ti tocca fisicamente è diverso (è sempre così). Mi è venuta voglia di raccontare cose che mi sono successe, prima che la vita finisca. Le ho scelte fra quelle che mi tornano in mente più spesso. Ma l’impulso vero è stata l’insofferenza: mi peserebbe morire senza avere irriso l’ipocrisia, la reticenza, la dissimulazione che tengono in piedi la baracca sociale. In La verità e la biro ho raccontato la studentessa con cui andavo a letto all’università, che mi descriveva nei dettagli la sua relazione con un professore; e lo stesso faceva con lui parlandogli di me.
Questo contenuto è riservato agli abbonati
L'abbonamento a Review sarà attivato fra poco anche in formato digitale.
Compila questo modulo per ricevere comunicazione non appena l'abbonamento sarà disponibile.