Qualcuno aveva riconosciuto quell’uomo silenzioso, quasi del tutto cieco, seduto sullo scomodo sedile di una corriera che l’avrebbe portato, dopo dieci ore in piena notte per quasi 470 chilometri, da Buenos Aires a Santa Fe. Era Jorge Luis Borges, invitato al Colegio de la Inmaculada Concepción da un giovane e sconosciuto professore di Letteratura e Psicologia, Jorge Mario Bergoglio. Il grande scrittore aveva 66 anni, il futuro Papa, non ancora sacerdote, 28. Nessuno ha mai capito, assicurano i testimoni dell’incontro, cosa avesse portato il mito nazionale Borges in quella scuola a parlare per due giorni e mezzo di letteratura gaucha, tema che non era mai stato centrale nella vasta produzione dello scrittore. Eppure, ci andò. Esiste una foto in bianco e nero a testimoniare l’incontro, entrambi i protagonisti ritratti di profilo e sorridenti. L’ex ambasciatore argentino presso la Santa Sede, Rogelio Pfirter, era tra gli studenti che ascoltarono Borges. Raccontò che il professor Bergoglio andò a prendere in albergo l’illustre ospite, per poi ripresentarsi a scuola con un certo ritardo. Il motivo? “Ho dovuto fare la barba al viejo, al vecchio. Mi ha chiesto aiuto”, confidò colui che quasi mezzo secolo più tardi sarebbe stato eletto Pontefice. Il neppure trentenne Bergoglio teneva corsi di Scrittura creativa, all’epoca. Aveva una sua personale biblioteca, alcuni chiodi fissi che si sarebbe portato anche a Roma, nel 2013, chiamato a succedere a Benedetto XVI.
Cosa leggano i Papi nel loro poco tempo libero è da sempre materia di curiosità: dimmi quel che leggi e ti dirò chi sei, recita il detto. Si compulsano i gusti letterari per cercare di capire la personalità di colui che è stato chiamato a governare la Chiesa universale, si guardano le scaffalature dietro alle scrivanie, si scorrono con gli occhi i libri lì riposti. Libri che finirono al centro anche di oscuri eventi all’ombra del Cupolone. Nel 1978, Giovanni Paolo I era morto da poche ore, trovato senza vita sul suo letto dalla fedele suora che gli faceva da perpetua. Anche all’alba di quel 28 settembre, come sempre, lei gli aveva lasciato la tazzina di caffè fuori dalla porta. Lui, che era Papa da un mese, era solito alzarsi prestissimo, bere il caffè e iniziare la giornata. Quel mattino non lo fece. Suor Vincenza passò a ritirare la tazzina e s’accorse che non era stata neppure toccata. Entrò e vide Giovanni Paolo I morto, sul letto. Nelle ore successive, il protocollo vaticano produsse dichiarazioni tese a evitare che potessero diffondersi speculazioni sull’improvviso decesso del Pontefice. E poi no, la storia della suora che entrava nella camera da letto del Papa, non si poteva raccontare. Cosa avrebbero pensato le beghine devote? Così si disse che il vescovo di Roma era spirato serenamente e che a trovarlo, al mattino, era stato uno dei segretari. Si aggiunse che aveva tra le mani una copia dell’Imitazione di Cristo, testo teologico del Quindicesimo secolo scritto da un monaco olandese che si propone di condurre il cristiano all’ascesi. Non proprio, insomma, un giallo da sfogliare prima di spegnere l’abatjour. Non pochi, conoscendo i gusti semplici di Albino Luciani, si mostrarono perplessi.
Poi si scoprì che era una bugia e che nessuno sapeva neppure dove, in Vaticano, si trovasse una copia di quell’antica opera. Forse, su quel letto, c’erano solo riviste. Dopotutto, anche i Papi hanno diritto a sani momenti di relax e Paolo VI chiudeva le sue giornate guardando in poltrona vecchi film western. Se Benedetto XVI, professore bavarese ed ex prefetto del Sant’Uffizio, prediligeva le letture teologiche, Francesco vanta una biblioteca più variegata quanto a generi, tant’è che anni fa qualche quotidiano decise di mettere in vendita una collana ispirata ai libri prediletti di Jorge Mario Bergoglio. Non ci vuole Agatha Christie per scoprire quel che c’è sugli scaffali dello studio privato a Casa Santa Marta, è sufficiente fare attenzione a ciò che il Papa dice nei suoi interventi, soprattutto nelle numerose parentesi a braccio che vanno ben oltre il discorso ufficiale. Non di rado suggerisce un autore o un titolo, l’ha fatto anche davanti ai cardinali ai quali ogni Natale regala un paio di volumi descrivendone brevemente il contenuto, per la gioia di editori e librai che vedono ancora oggi impennare le vendite dei testi consigliati dal Papa. Ci sono i classici, i volumi che un Papa non può non avere, da Chesterton a Tolkien, fino al Il padrone del mondo di Robert Hugh Benson, romanzo di fantascienza distopica con persecuzione dei cattolici. Poi ci sono le passioni personali. “Voi italiani avete un capolavoro sul fidanzamento ed è necessario che i ragazzi lo conoscano e lo leggano”, disse una volta rivolto a una platea lì convenuta per sentir parlare di tutt’altro. Si riferiva ad Alessandro Manzoni, autore che gli è da sempre molto caro: “Ho letto I Promessi sposi tre volte e ce l’ho adesso sul tavolo per rileggerlo. Manzoni mi ha dato tanto. Mia nonna, quand’ero bambino, mi ha insegnato a memoria l’inizio di questo libro”, confessò agli albori del pontificato. Sarà per la centralità della Provvidenza, della mano invisibile che regge le sorti del mondo e segna i sentieri su cui l’uomo è chiamato a camminare, visto che un altro grande che rientra fra i prediletti di Jorge Mario Bergoglio è Fëdor Dostoevskij. Talmente amato che lo citò anche nel salotto di Fabio Fazio al termine della storica intervista al programma di RaiTre, pochi mesi fa. Alla domanda del conduttore sul senso del male che non risparmia i bambini, il Papa disse che “il dialogo con il Male non va bene e questo vale per tutte le tentazioni. E quando ti viene questa tentazione, ‘perché soffrono i bambini?’, io trovo una sola strada: soffrire con loro. E per me in questo è stato un gran maestro Dostoevskij”. Se ne ricordò anche alla vigilia di Pasqua, quando per condannare “l’aggressione armata” all’Ucraina citò la Leggenda del Grande Inquisitore, capitolo centrale de I Fratelli Karamazov. Riassunse la vicenda, l’incontro fra Cristo tornato sulla Terra e l’inquisitore spietato e disilluso, il rappresentante del potere della Chiesa, per poi dire che “la guerra è sempre un’azione umana per portare all’idolatria del potere”. Francesco ha definito Dostoevskij “un maestro di vita”, raccomandandolo a tutti quelli che incontra, seminaristi e preti in carriera, sposi e semplici commensali: “Leggete anche quegli scrittori che hanno saputo guardare dentro all’animo umano; penso ad esempio a Dostoevskij, che nelle misere vicende del dolore terrestre ha saputo svelare la bellezza dell’amore che salva. Ma qualcuno di voi potrà dire: cosa c’entra Dostoevskij? Questi sono per letterati. No, è per crescere in umanità. Leggete i grandi umanisti”. Qualcuno ha pure suggerito di farlo partecipare come opinionista, magari dispensando pillole, alla storica trasmissione Per un pugno di libri, dove i liceali si sfidano a colpi di romanzi e saggi. Dopotutto, lui professore lo è stato davvero. Gli piace anche la poesia, a cominciare da Gerard Manley Hopkins, tra i massimi poeti inglesi moderni. E poi “amo moltissimo Hölderlin”, disse un giorno, ricordando “quella lirica per il compleanno di sua nonna che è di grande bellezza e che a me ha fatto anche tanto bene spiritualmente. È quella che si chiude con il verso Che l’uomo mantenga quel che il fanciullo ha promesso. Mi ha colpito anche perché ho molto amato mia nonna Rosa, e lì Hölderlin accosta sua nonna a Maria che ha generato Gesù, che per lui è l’amico della Terra che non ha considerato straniero nessuno”.
Come in ogni biblioteca domestica che si rispetti, in quella di Papa Francesco ci sono autori sconosciuti al grande pubblico, come il francese Joseph Malègue, di cui lodò il romanzo Agostino Méridier, 900 pagine. Di Malègue non si trova nulla in vendita, eppure fino alla metà degli anni Sessanta era centrale nel dibattito culturale dell’epoca. Era soprannominato il “Proust cattolico” per la sua analisi sottile del problema della fede da un punto di vista intellettuale. Questioni oggi troppo complicate e di difficile citazione. Meglio Borges e Dostoevskij.