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Quando Topolino non era di questo mondo

All’inizio la banda dei personaggi Disney viveva in un tempo e in uno spazio immaginari, in cui poteva accadere un po’ di tutto. Oggi invece la fantasia non è più un universo separato e la realtà, passata al filtro della società dello spettacolo, entra dentro la trama, che deve essere edificante. I paperi non sono più spigolosi, la buona causa ha vinto e l’ironia è finita

La gran parte dei prodotti seriali del pop (telefilm, cartoni animati, saghe cinematografiche, serie televisive) si deteriora in fretta: perché i produttori non ci credono più, perché gli sceneggiatori finiscono le idee, perché – soprattutto – una nuova generazione di ascoltatori o spettatori o lettori chiede o sembra chiedere qualcosa di diverso. Allora si prova a cambiare, a movimentare le cose; si introducono nuovi personaggi, si cambia scena, s’inietta magari un po’ di realtà contemporanea dentro un prodotto che fino a un attimo prima sembrava quasi stare fuori dal tempo e dallo spazio. Ma di solito questo maquillage non basta, o finisce addirittura per essere controproducente: guardate cos’è successo alla più geniale invenzione comica italiana degli anni Settanta, Fantozzi, con i suoi sequel sempre più squinternati; o alla catastrofe che è stato il restyling dei Simpson all’inizio degli anni Duemila. L’unica possibilità, se non si vuole decadere, è restare fermi, ma pochi riescono a continuare ad avere successo stando fermi, perché i gusti cambiano, e i consumatori di una volta non sono più i consumatori di oggi; forse ci riesce soltanto La settimana enigmistica, perché, più che parlare a una o due o tre generazioni, parla a un tipo umano, e tipi umani da Settimana enigmistica esistono in ogni generazione.

Topolino – cioè la banda dei personaggi Disney che in Italia si legge su Topolino – non si è deteriorato, ma mi pare gli sia successa una cosa.

Chi è cresciuto leggendo Topolino si ricorda di Paperopoli e di Topolinia. Queste città erano universi autoconsistenti: cioè non soltanto luoghi nei quali succedevano cose che nel mondo reale non potevano succedere, come nuotare in un deposito pieno di monete d’oro (Paperone) o volare dalla finestra dello stesso deposito senza farsi troppo male (Paperino preso a calci da Paperone), ma anche luoghi popolati da personaggi la cui vita non aveva alcun rapporto con la vita vera – cronaca o storia – che si svolgeva oltre il confine del fumetto. Poteva certamente accadere che il mondo immaginario di Paperino e di Topolino prendesse ispirazione da altri mondi, ma allora questi erano a loro volta mondi immaginari: quelli dei classici della letteratura (la Commedia con Topolino e Pippo al posto di Dante e Virgilio, I promessi sposi che diventavano I promessi paperi, Guerin meschino che diventava Paperin meschino, eccetera) o del cinema (Via col vento), oppure era la storia reinventata di Attila o di Cristoforo Colombo. Negli albi degli anni Settanta che ho sott’occhio (Paperino Superstar, Il papero d’oro), nei Classici Disney (Paperino Story, Supertopolino) è quasi impossibile trovare un riferimento, un nome, una marca che rimandi alla realtà reale:

Paperino e il doppio Capodanno
Paperino e la carica dei dinosauri
Paperino nella terra degli indiani pigmei
Paperino e lo sciopero della fame
Paperon de’ Paperoni e il congedo dei cammelli
Paperino e la Fondazione de’ Paperoni

Le cose hanno cominciato a cambiare all’inizio degli anni Ottanta. Sono aumentate le pagine dedicate alla pubblicità: di vestiti, gomme da masticare, motorini, giocattoli, programmi tv; soprattutto di programmi tv, con interviste ad attori presentatori cantanti ballerine, e notizie intorno a trasmissioni variamente collegate ai fumetti Disney, o intorno ai successi della stagione (copertina ispirata allo sceneggiato Venti di guerra, 20 novembre 1983). Le televisioni private hanno avuto un ruolo in questo aggiornamento del prodotto? Sì, certo, lo hanno avuto. Insieme, la cronaca ha iniziato a entrare nelle storie a fumetti, ma ci è entrata timidamente, di striscio, attraverso l’allusione. Nella storia Il diario di Paperina. Torneo di tennis, il «campione che difenderà l’onore di Paperopoli», Gorg, è solo una comparsa, che sparisce dopo cinque vignette, azzoppato da una buccia di banana che Paperino ha buttato sul campo di gioco. All’altro tennista Ganatta di vignette ne toccano quattro. Il resto è tutto per i personaggi Disney tradizionali. Nella storia Paperino e la scuola di danza, i ballerini Paperinsky e Anna Paperova non hanno alcun rapporto con ballerini reali che il lettore possa identificare: si riconosce al massimo un tipo, un cliché, quello secondo cui tutti i ballerini classici sono russi. L’attualità insomma c’è, e in abbondanza, intorno alle storie (copertina, pubblicità, rubriche, posta dei lettori); solo una spolverata, invece, nelle storie a fumetti.

Nella Prima Età, fino alla fine degli anni Settanta, quello di Topolino è dunque un mondo a parte, che non parla di niente che abbia a che fare con la realtà, o perlomeno con la realtà così come si riflette nella cronaca: Paperon de’ Paperoni non ha fatto i soldi col petrolio o con la tv ma cercando l’oro nel Klondike alla fine dell’Ottocento; Paperino e Paperina giocano a tennis, biancovestiti, non a padel (così invece in Paperina, Paperino e il club della racchetta, 20 marzo 2024, con un prologo in cui Pico de’ Paperis spiega le regole del gioco).

Nella Seconda Età, anni Ottanta, Topolino è fatto per metà di pubblicità che parla del mondo reale e della tv e per metà di storie di pura fantasia (Zio Paperone e il diamante dello Zaraguay) o di storie appoggiate alla letteratura e alla storia (Paperino-Colombo, Paperino-Cyrano, Pippo Fulton e il battello a vapore).

Nella Terza Età, che potremmo far cominciare negli ultimi anni dello scorso secolo, Topolino è un giornalino nel quale non solo la realtà reale continua a dominare nelle pagine della pubblicità, ma dilaga ormai anche nelle storie a fumetti. Negli anni Ottanta si leggevano storie che ricamavano su invenzioni moderne come lo stereo (Zio Paperone e la guerra degli stereo: la De’ Paperoni Stereo dichiara guerra alla Stereo PLIP, 13 marzo 1983) e il computer (Zio Paperone e la rivoluzione elettronica, 19 giugno 1983; Zio Paperone e il personal computer, 16 marzo 1984: in una striscia s’intravedono Qui Quo e Qua che giocano a Space Invaders). Non è sorprendente: i fumetti sono permeabilissimi alle novità tecnico-scientifiche, sono cose che ai bambini piacciono: e basta vedere quanta Luna e quanti viaggi interstellari ci sono nei Topolini degli anni Cinquanta e Sessanta).

Poi a poco a poco si esce dal generico, e la menzione degli oggetti diventa rappresentazione di oggetti (cioè cose, situazioni, persone) che esistono nel mondo reale. Nel numero di Topolino del 18 marzo 2008, per esempio, la storia d’apertura s’intitola Zio Paperone e Fab Sberlon, dei telecronisti il gran campion (18 marzo 2008). Paperone, proprietario di Sky-Pap Calcio, licenzia il vecchio telecronista Bruno Cigola e recluta il più giovane e brillante Fab Sberlon, affiancato da uno «zio Peppino». Fab Sberlon e zio Peppino parlano come i telecronisti di Sky Fabio Caressa e Beppe Bergomi: sono loro. La cosa è evidente per chiunque s’interessi di calcio, o anche solo per chi sintonizzi ogni tanto la radio o la tv sui programmi sportivi. Ma, per essere sicuri che anche i bambini capiscano, la storia a fumetti è seguita da un’intervista a Caressa. Non che i fumetti di una volta stessero sempre del tutto fuori dal tempo. Ma il rapporto con la cronaca si limitava all’allusione. In Topolino del 9 ottobre 1988 (già dunque in piena età televisiva) c’è sì la storia Topolino e l’ambita coppa, e nella partita Topolinia-Rattonia vengono citati i giocatori Leonardino Pippoff (nome rifatto su quello di Dino Zoff), Paperdona (Maradona), Bassobelli (Altobelli), eccetera. Ma appunto, questi nomi che alludono a calciatori reali vengono soltanto citati, non diventano parte della storia: l’eroe resta Pippo. Nei fumetti di questi ultimi anni, invece, la contaminazione tra fantasia e realtà ha fatto un salto di livello, e la realtà non è più soltanto allusa o citata di sfuggita ma entra direttamente nel plot, presta alla fantasia uno scenario, delle situazioni-tipo, dei nomi. E per realtà non s’intende naturalmente la realtà della vita quotidiana o i fatti di cronaca, che di solito sono fatti tragici, che si prestano male alla trascrizione in fumetto, ma la realtà passata al filtro della società dello spettacolo. Accade cioè molto spesso che a suggerire la trama dei fumetti siano – come nel caso Caressa-Bergomi – la televisione o la rete. Così dallo sceneggiato Elisa di Rivombrosa si genera Paperina di Rivondosa (Topolino, 31 maggio 2005). Così, dato che Paperino è a corto di soldi, Paperinik accetta di partecipare al reality show Il grande mantello, e poi al Rifugio del famoso (8 maggio 2007). Così la storia d’apertura di Topolino del 30 ottobre 2007 s’intitola Filo e Brigitta e i segreti del backstage, con le Velette al posto delle Veline di Striscia la notizia, e una vignetta d’apertura che sembra alludere al reality show americano The Bachelor: «Dodici paperi bellissimi – dice Brigitta – che fanno a gara per far ingelosire Paperone uscendo con me».

Questa rinuncia a fare della fantasia un universo separato è una rinuncia intenzionale, strategica? Mira a rendere i fumetti più attraenti per un pubblico più ampio e più adulto, il pubblico dei reality show o del calcio su Sky? Può essere così, può essere tutto un calcolo, ma è probabile che il calcolo sia suggerito o imposto dall’aria del tempo più che dalle malizie del marketing. Perché chi scrive i testi e disegna le storie di Topolino è, come tutti noi, circondato dai prodotti della società dello spettacolo, e sa che chi leggerà quelle storie, anche se bambino, ha con questi prodotti un rapporto paragonabile a quello degli adulti. Le parole e le immagini che abitano la loro fantasia non sono più quelle della religione o della letteratura o della tradizione popolare che abitavano la fantasia delle generazioni passate: sono le parole e le immagini prodotte dalle arti di massa.

Tra i mille esempi, vedi, nel 1988, La tragica avventura di Paperon de’ Paperozzi, pessima parodia di Fantozzi, con tutto l’armamentario verbale dei facci, vadi, com’è umano lei, e poi la topica fantozziana – il megadirettore, l’autobus preso al volo, la poltrona-sacco – trasportata nel mondo dei paperi. Il fumetto dà al lettore-bambino ciò che il lettore-bambino conosce già, o che troverà accendendo la televisione o il pc. È un imprinting, che anziché orientarsi sull’esperienza del mondo o sulla libera fantasia, cioè su quegli universi separati che mediavano l’ingresso dei bambini nella società, si orientano verso la realtà e verso la finzione prodotte dall’industria e dai media: pubblicità e consumo, modelli fisici, atteggiamenti sociali, usi del linguaggio.

Accade ai fumetti ciò che è già accaduto in scala più grande ai film, agli sceneggiati televisivi ispirati alla cronaca nera o rosa, ai biopic, nonché soprattutto alla letteratura: «L’intelligenza artificiale può produrre immagini simil-fotografiche perfettamente credibili, paesaggi o ritratti, con la piccola differenza che quelle persone o quei luoghi non sono mai esistiti. Presto succederà coi video, e quindi con le azioni, e quindi coi racconti. Sembrerebbe una buona notizia per la letteratura, maestra di mondi inesistenti. Ma invece stranamente, oggi, la letteratura mostra fame di realtà: dall’autobiografia ai true crime […], la dicitura “tratto da una storia vera” attrae e sollecita all’acquisto».

Questa trasformazione finisce per riflettersi anche in quello che potremmo chiamare l’orizzonte d’attesa dei nuovi fumetti Disney. Il Topolino della Terza Età sembra avere come obiettivo non solo il divertimento e lo sviluppo della fantasia dei bambini, come accadeva un tempo (un tempo nel quale Topolino poteva sparare ai suoi nemici, e Paperone brutalizzare i suoi sottoposti senza che questo venisse interpretato come istigazione alla violenza) ma anche la loro crescita secondo un canone di eticità.

Di qui la piega ecologista presa da molte delle storie pubblicate negli ultimi anni (Paperino e Paperoga che indagano sulla scomparsa delle api; Zio Paperone che cerca di bonificare l’isola di microplastiche che galleggia in mezzo all’oceano; Topolino che va in Mongolia per dare una mano ai pastori nomadi spossessati delle loro yurte dall’urbanizzazione); di qui l’insistenza sui valori dell’eguaglianza e di un’armoniosa, multiculturale socializzazione. Anche i “cattivi”, che una volta erano spiriti disincarnati come la Banda Bassotti, assumono fisionomie note, prese un po’ dalle serie televisive (Roy Logan di Succession) un po’ dalla cronaca, però una cronaca passata al filtro dell’indignazione corrente. In Zio Paperone e il Bretella Gate (13 marzo 2024) l’antagonista di Zio Paperone è un traffichino, Roy Bretella, che dice cose del genere (neretti dell’originale):

Roy Bretella: Allora siamo intesi? La ristrutturazione dello stabile dev’essere eseguita con la massima celerità!

Capomastro perplesso: Uhm, questo farà lievitare i costi!

Roy Bretella: I soldi non sono un problema… Ma attenzione! Le modifiche sono di sostanziale importanza, e coperte dal più stretto riserbo!

Capomastro: Garantisco la massima discrezione… Ma sinceramente non capisco perché darsi tanta pena per questo rudere…

Roy Bretella: Faccio il consulente per una banca e approfitto di un’aliquota fiscale a partecipazione alternata, risparmiando il sessanta per cento degli oneri da pagare sulle lettere di credito al portatore…

E più avanti: «La banca con la quale sto collaborando mi ha messo a disposizione un aereo privato, ed eccomi qua!». Le banche, gli aerei privati, le ristrutturazioni abusive: sembra che anche il linguaggio venga contagiato da questi cliché triviali: la «massima celerità», il «più stretto riserbo», la «massima discrezione», «i soldi non sono un problema»… Parlano come gli esseri umani adulti che parlano male.

Il carattere dei personaggi muta di conseguenza. Una delle differenze tra i personaggi dei fumetti Disney e i supereroi è che i primi sono (anche) ironici, i secondi no. Tex (che è un supereroe, anche se non vola) non è ironico; Batman non è ironico; l’Uomo Ragno non è ironico. L’atteggiamento che abbiamo nei loro confronti è proiettivo, non identificativo: sono ciò che noi vorremmo essere. Invece Paperino e Paperone sono come noi o peggio di noi, cioè altrettanto o più pigri, bugiardi, egoisti, iracondi, e per questo ci piacciono. L’atteggiamento che abbiamo nei loro confronti è identificativo («siamo proprio così») non proiettivo («vorremmo essere così»): per questo Topolino, che non ha difetti, ci piace di meno. Ma ora l’impressione è che anche i paperi si siano topolinizzati, che si siano fatti meno spigolosi, in armonia con le storie edificanti che raccontano.

Dall’altro lato, il rovescio di questa intenzione pedagogica, di questo ossequio reso alle buone cause, è la rottura dello schermo che in passato separava il mondo fantastico dei personaggi Disney dal mondo reale, che, come ho accennato, nell’universo Disney entrava solo eccezionalmente e con mille mediazioni. Ma di quale “mondo reale” si tratta? Non della grande storia, dei grandi conflitti dei quali i bambini imparano a conoscere l’esistenza attraverso la televisione (ci sono stati, a suo tempo, un Topolino antinazista e un Topolino antisovietico: non sarebbe immaginabile un Topolino anti Stato islamico o anti Hamas) bensì il mondo dello spettacolo e dello sport, là dove il conflitto tra i punti di vista sembra non potere aver luogo. Qui l’edificazione – quella che prescrive il rispetto per l’ambiente, il rispetto per i diversi – si trova di fronte a un muro. Una volta che si decida di aprire la porta alla società dello spettacolo (…) diventa necessario avallare le sue infinite sotterranee crudeltà. I fumetti di Topolino bandiscono dal loro lessico ogni asperità che possa offendere, come bandiscono ovviamente ogni rappresentazione dell’altro che abbia forme derisorie; ma ecco per esempio la storia Paperina e la tortona dimagrona (27 maggio 2007), con le prime vignette che mostrano Paperina e le sue amiche che tentano a ogni costo di dimagrire con la dieta delle ciliegie, la Paper Watcher, e una didascalia che esplicita tutto: «Si avvicinano le vacanze estive: è il momento della temutissima PROVA BIKINI» – ecco una forma di ossequio al mondo come è, alla vita come è: una vita in cui essere magri è meglio che essere grassi, perché i magri sono più attraenti. Invece l’altro è un ossequio al mondo come dovrebbe essere: ecologico, solidale, nemico delle discriminazioni, plurale. Sono lezioni sensate, sia quella d’idealismo (la protezione delle api, la guerra alle microplastiche) sia quella di realismo (la prova bikini). Ma il vecchio lettore, cresciuto col Topolino della Prima Età, rimpiange molto quei fumetti in cui di lezioni non se ne davano affatto, e il mondo Disney sembrava non essere di questo mondo.

Claudio Giunta (Torino, 1971) insegna Letteratura italiana all’Università di Trento. Tra i suoi ultimi libri: “Le alternative non esistono. La vita e le opere di Tommaso Labranca” (il Mulino, 2020) e “Ma se io volessi diventare una fascista intelligente?” (Rizzoli, 2021).