Cerca

Il mondo non ha bisogno di «out of office»

Il massimo della speranza e subito il massimo della delusione: la risposta automatica. La giornata è rovinata dal pensiero di quel muro di gomma contro il quale si schiantano le mail e da un futuro pieno di risponditori che non sono esseri umani. Una modesta ribellione

Anche nei giorni più complicati e privi di slancio ci sono piccole luci, piccole gioie, piccole soddisfazioni: la metropolitana che arriva semivuota proprio mentre sto scendendo le scale in ritardo (quando mancano solo cinque gradini per arrivare e non ci sono possibilità di perderla), il prosciutto crudo dolce e sottile dentro il panino, credere di avere perso gli occhiali da sole e invece ritrovarli dentro la tasca, credere di avere perso il caricabatterie e invece ritrovarlo dentro un’altra tasca, credere di avere solo un’ora di tempo per fare tutto e invece ritrovarne altre due nella borsa. E anche il caffè nel bicchierino di carta con lo zucchero già incorporato, e un messaggio gentile nel telefono che dice: ho già prenotato io, tu non devi fare niente, ci vediamo là. Anzi: passo a prenderti in motorino. Passo a prenderti in motorino in queste giornate è tutto. Ma anche mandare una mail e ricevere la notifica della risposta un minuto dopo è moltissimo. Ricevere la notifica della risposta alla mail mentre mi lascio trasportare in motorino e quindi posso leggere è forse il massimo della vita, il massimo della soddisfazione. A cui fa da contrappunto, quindi, il massimo della delusione quando la risposta che io credo di avere ricevuto e su cui mi avvento con fiducia e impazienza, cercando già di immaginare il contenuto, è: out of office.

Out of office è il velo nero che scende sui miei occhi (nel frattempo ho riperso gli occhiali da sole, questa volta sul serio, è il diciottesimo paio che perdo sul serio) e getta un’ombra di sfortuna e di impossibilità sull’intera giornata. «Buongiorno» (anche se sono le cinque del pomeriggio) «grazie per il messaggio». Ma come grazie, se non ci sei? Se non lo leggi? Perché mi ringrazi se non vuoi rispondermi e quindi forse mi odi?

«Oggi non sarò in ufficio, risponderò al mio rientro».

Ma caro out of office, io non avevo nessuna intenzione di farmi gli affari tuoi, non voglio conoscere i tuoi spostamenti né i tuoi orari, ti giuro che non ho la mania del controllo e che per quanto mi riguarda puoi leggere la mia mail anche a Honolulu o durante il cammino per Santiago de Compostela, dentro un letto sfatto o nel bagno di un treno (io leggo le mail anche mentre precipito dai dirupi), non devi giustificarti, io non voglio che tu stia sempre in ufficio ad aspettare le mail e a digitare freneticamente una risposta. Siamo adulti, siamo liberi: togli questo maledetto out of office e semplicemente scegli: non rispondermi. Lo preferisco. Non era così importante, non era così urgente, ma almeno non illudermi che stai pensando a me. Perché quando ricevo la risposta automatica: out of office (è automatica vero? Non la confezioni di volta in volta per quelli che ti stanno antipatici? Lo vedi che out of office mi scatena il delirio di persecuzione?) vengo assalita dai dubbi: quindi non l’ha letta o sta solo facendo finta di non leggerla? Una mail a cui non presterei normalmente spasmodica attenzione diventa il mio tormento. Immagino infatti una specie di muro di rimbalzo, come quello del padel per chi gioca a padel (non io, che sia chiaro) sul quale vanno a finire tutte le mail che ricevono la risposta automatica.

Queste mail vengono rimbalzate lontano, rifiutate, escluse, ma non rispedite al mittente. Restano negli angoli, rotolano un po’ da sole, come le palline da tennis, in attesa che qualcuno di magnanimo vada a raccoglierle, ma come si raccoglie un topo morto o uno scarafaggio avvelenato. Queste mail sono partite piene di buone intenzioni, di slancio, di speranza. E si ritrovano invece sotto una cattiva stella per via dell’out of office. Si ritrovano figlie di un dio minore, gettate in un angolo. E io continuo a pensare: ma forse dietro quel muro di gomma c’è una persona che invece sta leggendo di nascosto? Che sa già tutto ma vuole solo tenermi sospesa? Che finge di essere out office e invece è proprio lì, alla scrivania, ma al buio, illuminata soltanto da un sorriso satanico?

Mi rendo conto che ci sono altre cose più importanti, ma non posso farci niente: nel momento in cui ricevo un out office io riesco a pensare solo a quello. Mi chiedo se ci sia una cartella apposita per la posta out of office (come posta indesiderata, ma temporanea) e se da quella cartella vengano estratte a sorte alcune mail, destinate alla lettura nonostante il divieto perentorio. Me lo chiedo perché a volte mi è successo: ho ricevuto risposte a mail che per via dell’out of office non avevano nessuna speranza di venire prese in considerazione. Questa fortuna totalmente inaspettata mi ha provocato molta gioia ma anche molto sgomento. Sei lì quindi, destinatario delle mie mail? Ti diverti a giocare a nascondino? O stai facendo un’eccezione solo per me, perché mi hai trovato molto interessante? Capite bene che la mia tenuta psicologica ne risente. Sono su quel motorino, nel posto dietro, sta andando tutto bene, arriverò puntuale, ma non riuscirò mai più a concentrarmi. Andrà tutto malissimo.

Sono anche felice di immaginare queste persone out of office su una spiaggia assolata, o allo spettacolo di fine anno del proprio figlio violinista, o in una fuga d’amore segretissima, ma perché farmelo pesare? Non sono affari miei, non voglio saperlo. Non è vero: voglio tantissimo saperlo. Quel muro di rimbalzo ha l’effetto di moltiplicare la mia curiosità. Se non puoi rispondere a una mail nemmeno con un: ok (accetto anche il pollice alzato, che molte persone usano invece come gesto trattenuto di ostilità ma io lo preferisco decisamente ad out of office), che cosa stai facendo? Se sei in un ritiro detox con i telefoni spenti, semplicemente rispondimi domani. Non leggere, non chiedere scusa, non dare spiegazioni, rispondimi quando è finito il ritiro o quando sei scappato dal ritiro urlando che non farai mai la pulizia del colon. Se vuoi, raccontami tutto, non chiedo altro che di sapere, ma solo dopo che sei scappato. E così anche se sei dall’avvocato per divorziare, o sul divano per riposare. O in cima a una montagna per urlare che tu in ufficio non ci tornerai mai più. Insomma, non dirmi che non sei in ufficio, io non te l’ho chiesto. Ho solo scritto una mail. E adesso la mia giornata è rovinata per un malinteso atto di gentilezza burocratica. Perdo fiducia nell’umanità quando l’umanità manda mail automatiche.

Penso con raccapriccio a tutte le mail automatiche che manderà l’intelligenza artificiale e mi sento pronta a combattere per difendere il mio paese dai risponditori automatici. Penso a tutte quelle mail terrificanti nelle quali si ordina a chi le riceve di non rispondere. Ma se io invece volessi disubbidire e rispondere? Se io volessi parlare davvero con qualcuno? Sono disposta ad aspettare giorni, settimane, mesi, ma voglio delle vere risposte scritte da un essere umano. Voglio delle parole vere, scritte apposta per me. Non mi importa dove siete, non mi importa con chi, non c’è niente che mi scandalizzi nelle vostre vite, tranne la risposta automatica. E adesso continuo questo viaggio in motorino immaginando che tutti gli out of office della giornata siano accanto a me al semaforo. Mi guardano ridendo, hanno letto le mie mail di nascosto, mi risponderanno domani pieni di energie rinnovate. E io allora, per vendicarmi, manderò soltanto un pollice alzato.