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A qualcuno piace caldo (ma non a me)

L’estate che cancella le lettere dalla tastiera del computer, l’estate di «Quando la moglie è in vacanza», ma molto più calda. L’estate in cui anche il frigorifero si lamenta e io provo a togliermi di dosso tutti questi stereotipi appiccicosi. Grazie Marilyn, per quella scena leggendaria

Le nostre vite abbordabili

 

voglio guardare toccami

vieni più vicino spogliati nuova

diversa nuda

caduta dallo spazio

Tiziana Lo Porto, “La ragazza che va in sposa”

 

Ripenso ogni sera a Marilyn Monroe. Chissà se in quel film, Quando la moglie è in vacanza, faceva caldo come adesso. Faccio delle ricerche, ma le dita scivolano sui tasti del computer. Si è appena cancellata la lettera “a”. La “e” sta per sparire, è rimasta solo una stanghetta. Potrei mettere il computer in frigorifero, come Marilyn la biancheria intima, ma il mio frigorifero sta da giorni lanciando un allarme, un avviso sonoro, un grido di dolore per dirmi che non ce la fa più a raffreddare niente. Di notte non dormo per il caldo, ma se per caso riesco ad addormentarmi vengo svegliata dal frigorifero che si lamenta. Mi alzo, vado da lui, gli parlo, provo a spingere un pulsante, ma niente, continua a urlare. Dovrei sventolare il frigorifero con il ventaglio? Dovrei togliere dal frigorifero il Philadelphia che è la mia sola ragione di vita, per dargli un po’ di respiro? I gatti mi guardano. Alla fine stacco la spina, conto fino a dieci e la riattacco. Silenzio. Posso dormire ora o c’è qualche rimostranza della lavapiatti? Non posso dormire perché sotto la mia finestra spalancata due persone seminude stanno litigando per una birra, forse due birre, e se qualcuno litiga la regola è che io devo ascoltare. Lui le dice: vattenaffanculo. Lei gli dice: sei un poraccio vaffanculo tu. Lei ha ragione. Lui se ne va, a gambe larghe, imprecando. Lei rimane lì, sotto la mia finestra, io aspetto finché arriva il taxi a prenderla, per un senso di protezione. Prendo l’arrivo del taxi come un buon segno per la vita futura della ragazza senza il poraccio, visto che quando lo chiamo io il taxi non arriva mai. Lei alza gli occhi e mi vede, io le sorrido, un sorriso femminista, un sorriso di incoraggiamento, un sorriso di complicità. E lei mi fa il dito medio. È il caldo. Vicini di casa che volete sicuramente invitarmi a cena, come in Quando la moglie è in vacanza, state lontani da me: non è un buon momento.

Poiché ormai la notte è persa, cerco e trovo che la commedia di Billy Wilder è uscita in America a inizio giugno del 1955 (in Italia a settembre), quindi, meravigliosa Marilyn, mentre giravi il film non potevi avere caldo come me adesso, facevi finta. Del resto sei un’attrice, anche morta, parlo con te perché il frigorifero non mi capisce e invece tu sai bene che cosa intendo: nemmeno se sei Marilyn Monroe puoi sorridere con questo caldo e metterti quel vestito bianco senza che ti resti incastrato e appiccicato sulla schiena, senza che si stropicci tutto e si incastri la lampo nella pelle sudata, senza fare un dito medio a qualcuno. Al massimo ti siedi davanti a un ventilatore, anche nuda, con un ventaglio in mano e piangi. Parlavo al telefono con un’amica, lei a casa sua e io a casa mia, nessuna delle due ha l’aria condizionata, lei a un certo punto per il caldo si è davvero messa a piangere. Perché c’è un momento del pomeriggio, verso le due e mezzo in cui anche se hai chiuso tutte le finestre dalle nove del mattino, hai fatto ombra, hai il ventilatore acceso, sei quasi al buio, pensi ancora cinque ore e sono salva, beh in quel momento il sole entra lo stesso e ti arrostisce un braccio, ti cucina la fronte.

È la controra, il momento delle allucinazioni, è il momento in cui chi dice che il cambiamento climatico non esiste, che è solo estate, va a farsi una doccia fredda per non pensare alle scemenze che ha pensato e detto. Ci sono adesso ordinanze regionali che vietano di lavorare nei campi tra le dodici e trenta e le sedici, ma la signora cinese che gira le spiagge di Fregene per massaggiare le altre signore distese sui lettini, con la sabbia vulcanica che sembra lava bollente, non si ferma neanche un minuto, ha cinquantadue anni e l’artrite cervicale: nessun bollino rosso la farà riposare all’ombra. Tutti quelli che hanno lottato per lo smart working, quelli che non sono mai tornati in ufficio dal Covid, adesso fanno a gara per una scrivania fino a mezzanotte sotto il bocchettone dell’aria condizionata. Quelli che odiano l’aria condizionata (io), non smettono di odiarla e di parlarne con disprezzo anche etico, non smettono di portarsi in giro delle sciarpette per la gola, ma la inseguono, la cercano nei negozi, negli uffici, nelle case degli altri (con la sciarpetta recriminatoria, con una piccola tosse di gola, con gli occhi strizzati), entrano nella stanza d’albergo dopo aver chiesto alla reception come si spegne l’aria condizionata, tanto per darsi un tono, si sentono eroici a mettere 26 gradi invece di 22, e dopo mezz’ora tornano a 22, in mutande e sconfitti anche moralmente. Nel film, Marilyn non ha l’aria condizionata in casa, mentre Sherman, il vicino con la moglie in vacanza, sì. Lei lo ammira per questo, non perché è uno scrittore. Lei è stupenda e io rivedo quel film ogni estate.

Se penso che l’allora marito di Marilyn Monroe, Joe DiMaggio, giocatore di baseball, si è infuriato per il vestito bianco leggendario che svolazza e anche per il tizio con il ventilatore acceso sotto la grata della metropolitana quella sera del 15 settembre 1954 in cui si faceva la storia del cinema (dire: settembre, mi rinfresca, dire: Natale, mi riempie di struggimento), e non si è infuriato con sé stesso ma con Marilyn, che stava lavorando alla leggenda, e l’ha aspettata in albergo al St. Regis per urlarle addosso come un pazzo e chissà che altro, vorrei chiedere agli uomini: ma perché siete così tanto imbecilli? Però fa troppo caldo e poi voi lo sapete già, quanto siete imbecilli. Dopo tre settimane da quella notte lui e Marilyn hanno divorziato, nell’istanza c’era scritto: crudeltà psicologica. Che c’entra con l’imbecillità ma è più violenta. Se sei imbecille, te la prendi magari con il frigorifero (povero frigorifero che semplicemente risente del cambiamento climatico e della vecchiaia). Se sei anche crudele, urli contro di lei perché lei è troppo bella, perché non sei capace di niente.

Mia figlia dice che è intollerabile che, se suo fratello fa un rutto (o una gara di rutti con sé stesso), io non mi arrabbi quanto mi arrabbierei con lei. È insopportabile che io dica: amore, ma è un maschio di quattordici anni. Che significa: è un po’ più scemo (lei usa un’altra parola che inizia con la c), le cose stanno così, che vuoi farci. Non c’entra con Joe DiMaggio, invece c’entra. Lei, che ha diciassette anni, dice: sono stereotipi che ti sono rimasti appiccicati addosso e che se non la smetti si appiccicano addosso anche a me, è molto pericoloso. Hai ragione, ragazza che non ti rassegni alla bestialità di tuo fratello, hai talmente ragione che adesso ti porto al mare, dove fa più fresco, facciamo il bagno e ci togliamo di dosso tutti questi stereotipi, che tra l’altro fanno caldo perché soffocano il cervello. Eccoci. Senza più un frigorifero. Senza aria condizionata. Ma nuove, diverse, nude, cadute dallo spazio.