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Da sempre in fuga, per sempre liberi

La lunga notte dei tatari di Crimea, cacciati da Stalin e braccati da Putin. Nuri, padre di sei figli scappato con la famiglia in Polonia, stringe i pugni e dice: hanno umiliato mio padre, adesso umiliano me e i miei bambini. Musulmano, ucraino, ammira l’ebreo Zelensky e vuole vendetta. Il tuo nemico? “Lui”

Nuri ha in braccio un bambino di sei mesi, attorno a lui ce ne sono altri cinque, di età diversa: quattro femmine e un maschio. Lui, i bambini, sua moglie e sua suocera sono rintanati in una casa molto piccola fuori Cracovia con i letti in sala e un calore eccessivo che crea un’atmosfera familiare, intensa, lenta, di attesa. Sono tatari e il loro viaggio dall’Ucraina alla Polonia in fuga dalla guerra di Vladimir Putin è stato più lungo di tutti gli altri. Non per questioni geografiche, vivevano a Drohobych, vicino Leopoli, che la guerra ha ormai reso vicinissima a Cracovia. La lunghezza è stata determinata dalla storia, perché il loro viaggio non è iniziato con l’invasione russa, è più antico: dove arriva la Russia, loro non vogliono stare, non possono stare. “Il mio rancore è storico”, dice Nuri. E sua suocera indaffarata tra un bambino e l’altro: “Noi tatari siamo tutti figli di deportati”. Stalin aveva deciso che la Crimea non dovesse più essere la terra dei tatari, li ha costretti ad andarsene, a spostarsi in Uzbekistan e i figli di chi è sopravvissuto a questo viaggio, dopo la caduta dell’Unione sovietica, sono tornati. Loro sono i tatari di Crimea e non hanno dubbi su chi appartenga questa terra: “È Ucraina, e finché è stata Ucraina noi abbiamo continuato a sentirci a casa, ma poi è arrivato lui”. Nuri non chiama mai Putin per nome, è: lui. Quasi fosse non un presidente, non un uomo, ma un male indicibile, un’entità piombata sulla vita di questa famiglia e di tutta l’Ucraina. “Quando è iniziata l’occupazione della Crimea nel 2014, non potevo stare fermo. Lui prima mi ha tolto il mio stato, l’Ucraina, poi mi ha tolto i diritti. Non potevo accettare questa occupazione illegale, la schiavitù che mi imponeva, e certo non ho accettato un referendum improvvisato e dal risultato già scritto. Era tutto chiaro: voleva la Crimea e se l’è presa”. Prima che arrivasse la Russia in Crimea, era arrivato il suo esercito, erano arrivati gli uomini dei servizi segreti incaricati di eliminare il dissenso che Putin sa soltanto schiacciare. La Crimea da democratica è diventata parte di un regime e quando sai cos’è la libertà, non sei disposto a cederla. Nuri è stato preso dagli uomini dell’Fsb, l’hanno rinchiuso per tre giorni: “Non avevo mai fatto un’esperienza così violenta, ero disposto a tutto, ho detto ‘lasciatemi andare, dichiaro tutto quello che volete, volete che dica che ho ucciso Lenin, lo dirò’”. Da allora trema ogni volta che incontra la polizia: “Non è soltanto paura, è una reazione nervosa”. Se quella iniziata il 24 febbraio nel territorio dell’Ucraina è un’invasione, in Crimea è stato un sequestro. I cittadini non erano più ucraini, erano russi e i tatari non erano nulla, se non bersaglio della propaganda: terroristi, secondo il Cremlino.

La Crimea è sempre stata una patria nella patria, come l’essere tataro per Nuri è un completamento dell’essere ucraino. Doveva decidere tra i suoi diritti e la sua appartenenza a quella penisola, ha scelto i diritti e con tutta la famiglia ha abbandonato Sinferopoli. “In macchina non mi lasciavano andare, ma siamo riusciti a scappare in treno” fino a Leopoli. Lì è ricominciata la vita, la Russia era di nuovo altrove e Nuri ha prima lavorato come guardia, poi è andato a raccogliere legna nei boschi, poi ha aperto una bancarella al mercato e infine ha deciso di dedicarsi alla cucina: “Volevo far conoscere la nostra cultura e far vedere che siamo musulmani, non terroristi. Lui sì che è un terrorista, non noi”. Quel “lui” lo tormenta. E mentre Nuri e la sua famiglia costruivano una nuova quotidianità, la Crimea si trasformava nel posto della paura: “Dopo un anno e mezzo tutti coloro che volevano la Russia hanno capito di aver fatto un errore”. Non è che la Crimea non fosse più Ucraina, il problema è diventato un altro: in Crimea l’Ucraina non c’era più. Niente più diritti né libertà, un’economia morente, e gli abitanti hanno iniziato a chiedersi in cambio di cosa avessero ceduto il loro futuro.

La guerra di Putin è una costruzione mostruosa e tutte le persone che la vivono hanno solo una domanda in testa: perché? La domanda Putin se l’aspettava e da anni prepara la risposta, rispolverando vecchie glorie ideologiche svuotate come il russkij mir: il mondo russo che lui vorrebbe riconnettere. Il russkij mir è stato uno dei pretesti dell’occupazione della Crimea e a votare al referendum sono andati soprattutto anziani, racconta Nuri, che credevano nel mondo russo e nel comunismo. Sono stati delusi e invasi. Del russkij mir i tatari non possono far parte e non vogliono, hanno la convinzione che qualsiasi cosa Putin tocchi, dice Nuri, finisce per essere rovinata. “Basta pensare a Donetsk e Luhansk, le due oblast che Mosca ha riconosciuto come repubbliche indipendenti, erano ricche. Abitate da persone che parlano russo e che si sentono anche più vicine alla Russia che all’Ucraina, ma che prima non avevano intenzione di fare una guerra contro Kyiv. La guerra è un concetto che ha portato Mosca. I russi tendono a pensare che se arriverà un altro russo andrà tutto meglio, non si sono mai resi conto che l’impero non esiste più e oggi Donetsk e Luhansk hanno perso tutto”. Nuri è ucraino, è contento di quello che c’è scritto sul suo passaporto, sa che l’Ucraina è un insieme di popoli, sangue misto, un crocevia: il contrario del russkij mir. È una nazione che ha stretto un patto con i suoi abitanti, che li rispetta e che, dice Nuri, non farebbe mai ai suoi cittadini quello che Mosca fa ai suoi soldati: “Se il vostro presidente avesse creduto davvero nel popolo russo, non vi avrebbe mandati in guerra. Quei ragazzi non sanno neppure sparare”.

Quando è scoppiato l’attacco contro l’Ucraina Nuri si è rimesso in cammino, dopo le prime sirene ha preso la macchina fino alla frontiera con tutti dentro e ai suoi sei figli ha raccontato che era un viaggio. I più grandi facevano domande, si meravigliavano che ci fossero tante macchine, tanta gente al confine. “Dove vanno tutti?”. “Vogliono tutti viaggiare”. È la consapevolezza tatara e la consapevolezza ucraina, il desiderio di non finire nel russkij mir, di essere e continuare a essere altro: una costellazione e non un monolite. “Sono potuto uscire dall’Ucraina perché ho sei figli, gli uomini con più di tre bambini non devono rimanere a combattere, ma non avrei problemi a farlo. Però devo proteggere i miei bambini dai danni della guerra, della lontananza. Se non avessi avuto una famiglia avrei combattuto con gioia perché la Russia è il mio nemico. Per l’Ucraina lo è diventato ora, per me è un nemico storico che ha umiliato mio padre, me, e ora i miei figli”.

Da una parte c’è il mondo russo di Putin, dall’altra parte c’è l’Ucraina che ora sta insegnando a tutti il valore della resistenza, la voglia di libertà, la passione per il futuro. Per Nuri la scelta è semplice: tra barbarie e diritti. Il sentirsi ucraino e l’essere tataro lo hanno spinto di nuovo lontano da Mosca e se Mosca continuerà ad avvicinarsi, lui si sposterà ancora, portandosi dentro l’Ucraina, la Crimea, la sua identità. Non perdonerà mai Putin, ma c’è una cosa che gli imputa più delle altre: di aver rubato i suoi piani per la vita e quelli del suo paese per il suo futuro. “La sconfitta per noi ora è fuori discussione, la verità è dalla nostra parte e non esiste Ucraina senza la Crimea”. Ha fiducia in Zelensky, che è ebreo – un altro tassello della grande identità ucraina – e dice che comunque rimarrà presidente, qualsiasi cosa accada. È il volto della costellazione Ucraina. “Sì, Zelensky rimarrà presidente, e pensare che io non l’ho neppure votato. Non credevo in quelle elezioni. Ma lui si merita di esserlo ancora, sempre”. “Magari il prossimo sarai tu – scherza la suocera – un presidente tataro”.

Micol Flammini, giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia e Israele. È autrice, con Paola Peduzzi, di EuPorn, che è anche un podcast.