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Effetto nozze

Nel passaggio da strega femminista a donna sposata sono diventata molto più attraente per i maschi etero basici. Dopo il matrimonio: fase eccitante e stranamente pacifica di una nuova libertà (e di un desiderio mimetico)

Qualche tempo fa ho preso delle lezioni di guida sicura in motorino. Sono uscita alla stazione della metropolitana di San Donato, dove avevo appuntamento con l’unico istruttore disponibile a fine luglio. Un parcheggio di periferia, a Milano in piena estate. Lui era lì che mi aspettava, appoggiato a un cinquantino, con il bacino in fuori e il braccio rilassato sul casco. Mi sono accorta del modo in cui mi guardava, e quello sguardo mi si è appiccicato sulla faccia insieme alla folata di vento opaco, all’ansia della guida e al fondotinta leggero. Di solito non ci faccio caso. Già da ragazza le mie amiche dicevano: ma non ti accorgi mai di niente, guarda quello, ma non girarti. Era vero, non mi accorgevo di niente, avevo uno scudo che mi proteggeva dai maschi, che mi intimidivano – prepotenti maneschi ingombranti penetranti. Mi rendevo invisibile e loro erano invisibili per me. Negli anni, il mio rapporto con gli uomini è cambiato, ma quello dell’istruttore di guida a fine luglio è stato uno sguardo di un nuovo tipo, che ha sancito l’inizio di questa mia nuova fase. Tra l’altro il suo sguardo ha fatto sì che anche io vedessi lui – un uomo attraente, calmo, serio. Attributi che in passato non avrei registrato: sarebbe stato solo un uomo.

Di questo cambiamento mi sono accorta quasi subito. La prima persona a cui l’ho raccontato è stata un’altra donna, come spesso accade, in una serie di messaggi. L’ho presa alla lontana: da quando sono sposata, ho detto, mi sembra di essermi riconciliata con i maschi etero. O meglio, che loro si siano riconciliati con me. Tutt’a un tratto ho ammansito i maschi: si avvicinano, mi parlano, si aprono. “Ci provano un sacco”, ha correttamente sintetizzato lei.

La mia transizione è stata forse un po’ brusca: da una relazione a distanza al matrimonio; da strega femminista a donna sposata (e quindi parte del sistema?), da praticamente-single (dov’è il fidanzato? Se non lo vedo non ci credo) a donna protetta dall’alone del sacro vincolo. E per questo desiderabile. Altro che magnetismo. Altro che glow. Sposatevi, e avrete un radar attrattivo con un raggio di chilometri.

Man mano ho avuto conferma di questa nuova tendenza degli uomini a smussare ostilità o attriti, a parlarmi in modo più onesto, a chiedere conferme fino a cercare di sedurmi. Per un po’ sono stata tentata di credere che non avesse a che fare con me, solo con loro. La responsabilità è del mondo, sono loro. Ma certo che ha a che fare anche con me, con le mie paure e i miei desideri profondi, i miei tratti irrisolti e l’apertura degli inizi.

È una fase eccitante, per me che sono stata a lungo in guerra, la voglio razionalizzare per non ubriacarmene. So che, come tutte le transizioni, non durerà, quindi la voglio esplorare; proprio perché io dei maschi ho sempre avuto un po’ paura, voglio lasciare che mi guardino con questa nuova disposizione, questo desiderio rilassato. Vorrei godermi questa pace, che è tutt’altro che pace dei sensi: si muovono sotto a questa tregua desideri, specchi, triangoli e altre geometrie. Con l’istruttore di guida ho bevuto un caffè: mi ha spiegato i motori, le arti marziali, la sua visione del mondo, e io non mi sono infastidita. Gli ho anzi consigliato di leggere Nova di Fabio Bacà, un libro che in altri tempi mi avrebbe stizzito, con quel suo narratore così etero basico, e il suo viaggio per riscoprire la violenza della lotta a mani nude, sepolta da mille strati di cultura ed educazione. E invece oggi mi è piaciuto, mi ha divertito e interessato.

Mi è tornata in mente un’altra fase. Avevo vent’anni e gli uomini intorno a me mi parevano prepotenti, arroganti – “chiedevano” il sesso come se avessero un diritto a “ottenere” – e una psicologa cognitivo comportamentale mi diede un compito: chiacchierare con i maschi, dai 18 ai 90 anni, prendere ogni occasione per fare conversazione, senza scopi romantici, solo per parlare. È stato un bell’esercizio per la mia crescita, e segnò una fase, quella tra i 20 e i 30. In quel periodo qualsiasi idea femminista, qualsiasi ribellione alla uomocrazia, al modo di pensare patriarcale, era compensata da un desiderio di essere apprezzata, corteggiata, scelta. Le due spinte coesistevano dentro di me, e il risultato doveva sembrare dall’esterno accettabile. Dopo i trenta, è subentrata un’altra dinamica. Cosa vuoi, chi sei? Di chi sei? La donna sola e senza figli spaventa: potrebbe volerti incastrare – desiderare una famiglia – potrebbe essere molto cattiva, e avendo dalla sua l’esperienza, oltre all’intelligenza, potrebbe essere una strega.

In questa fase ho vissuto parecchi anni, come a dovermi scusare con gli uomini di essere indipendente, adulta e quindi con molte opinioni, eppure avere l’ardire di non essere lesbica. Ero semplicemente inaccettabile, qualsiasi conversazione era inquinata da una frizione, un’ostilità, che, come in ogni guerra fredda, si inasprisce per mano di entrambe le parti – in quell’escalation che la rende tanto spaventosa e logorante. Ero molto arrabbiata e, in questo sentire, sola: la maggior parte delle donne era “di qualcuno” o comunque meno scontrosa, la maggior parte degli uomini non ha idea di cosa io stia parlando.

A trentasette anni, quando mi sono sposata appunto, tutto è cambiato di nuovo, da un giorno all’altro e radicalmente – non devo più tenere io in equilibrio le cose. Sono loro, gli uomini che si avvicinano a me in pace e mi parlano. Perché?

In Menzogna romantica e verità romanzesca, il critico letterario e antropologo René Girard introduce la sua “teoria del desiderio mimetico”, una teoria che applica ad alcuni grandi romanzi ma che spiega una dinamica della vita. Per Girard, il soggetto desidera un oggetto non per le sue qualità intrinseche, cioè non per l’oggetto di per sé, ma perché imita il desiderio di un terzo, che Girard chiama modello, a cui il soggetto vorrebbe assomigliare. In pratica, la presenza di un Altro è necessaria al desiderio, e il desiderio è sempre desiderio di imitare e infine di essere come qualcun altro. Non a caso Girard, che ha pubblicato il testo nel 1961, è stato chiamato “il padrino dei like”: è una dinamica che conosciamo per la pubblicità, e più di recente per il fenomeno degli influencer.

Insomma: “Quello ti ha sposata, quindi ti ha voluta, quindi ti voglio anch’io”. Da questo desiderio mimetico consegue anche ogni rivalità umana: finché il modello è inarrivabile l’equilibrio regge, altrimenti soggetto e modello finiscono per rivaleggiare, competere e infine ottenere le stesse cose, insomma assomigliarsi troppo. In questo contesto la donna è oggettificata (la trophy wife, la milf), si carica del valore del desiderio altrui. E che può arrivare anche a scomparire del tutto, come succede in L’Eterno marito e in altre opere di Dostoevskij (tra cui Il Sosia): rimangono soggetto e modello, attratti l’uno dall’altro in rapporti reciproci ambigui.

Riportando il discorso alla mia quotidianità, tuttavia, non mi sento in queste nuove dinamiche completamente oggetto, devo riconoscere una libertà e responsabilità di agire. E cioè in qualche modo sottile sono cambiata, un cambiamento che dev’essere in qualche modo affiorato appena al di sotto del comportamento, in quello che possiamo chiamare atteggiamento. Intanto, quando parlo con un uomo da sposata non devo più preoccuparmi di metterlo a suo agio, cioè di fargli capire che non voglio niente da lui. Mi accorgo ora che era un onere che mi accollavo sempre, ma forse lo sentivano anche loro; c’era in quell’attrito una specie di ansia da prestazione da parte di entrambi. Cioè: siamo qui, siamo adulti, finché nessuno è sposato i giochi non sono davvero chiusi. Invece a giochi fatti, all’interno delle regole, c’è più spazio di libertà, possono succedere delle cose. Sappiamo essere morbidi solo all’interno di limiti dati, mentre in un campo troppo aperto ci irrigidiamo.

Tutti noi ci portiamo dentro e spesso operiamo a partire da una carica erotica. Questa non ha a che fare con la voglia cerebrale che abbiamo di piacere o di essere amati, ma con il nostro desiderio di provare piacere e di manifestarci nel mondo come esseri sessuati. Anche i luoghi hanno un loro secondo chakra metaforico: Milano è una città asessuata, anche se si fa molto sesso (o forse si sfoglia solo molto Tinder, chissà), Roma è una città sensuale, in cui gli uomini mi parlavano un po’ anche quando non avevo la fede al dito.

Mostrare questo intrinseco erotismo rende attraenti ma anche vulnerabili. La “regola” data dallo stato civile protegge proprio da questa vulnerabilità, lasciando spazio a degli scambi che hanno maggiori sfumature (l’erotismo si può manifestare, sapendo che l’altro non si sentirà per questo in diritto di ottenere un incontro sessuale). Poi le regole presuppongono anche la possibilità di essere infrante (cioè c’è sempre una possibilità che la moglie di qualcun altro perda la testa proprio per me): è una possibilità abbastanza lontana da rendere gli scambi più sicuri, relativamente riparati da goffaggini o aspettative, ma comunque interessanti.

Naturalmente gli uomini con cui parlo non vogliono davvero che io lasci mio marito per loro (anche se in alcuni casi potrebbero arrivare a credere di volerlo), ma un insieme di fattori mi sta rendendo, per la prima volta nella mia vita, davvero attraente. A parte bearmi della mutata fortuna, è stato interessante guardare dentro di me per ammettere che il mio atteggiamento più aperto ha facilitato uno scambio umano al di fuori dei ruoli oppositivi tra generi. In altre parole, sono cambiata in un modo che fa sentire i miei interlocutori più accolti, ascoltati, perché in effetti mi sento più libera di ascoltarli. E sono più libera perché a mia volta riparata da alcune minacce di aggressività. Quest’istituzione mi ha dato un po’ del riparo che promette alla donna (un riparo illusorio in uno scambio svantaggioso, secondo Simone de Beauvoir), ma in una forma inaspettata e più interessante del previsto.

Raffaella Silvestri (Milano, 1984), scrittrice, ha studiato Filosofia di genere a Helsinki e Filosofia delle scienze sociali a Cambridge. Ha scritto i romanzi «La distanza da Helsinki» (Bompiani, 2014) e «La fragilità delle certezze» (Garzanti, 2017). Ha una newsletter, “Velluto”.