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I miei compiti per casa

Da quando avevo quindici anni annoto tutti i film (e le serie) da vedere e i libri da leggere. Non finisce mai, passo la vita così e mi esalta. La non regola di The Offer, i muscoli nascosti di Marco Missiroli e un film che dopo dieci minuti hai capito che ti piacerà. Il bello delle cose brutte

Non è che casualmente legga libri o veda film o serie. Io l’ho sempre preso come un lavoro, fin da quando avevo quindici anni – quindi non perché c’entra con il mio lavoro: l’ho sempre preso così. Se non lo prendessi come un lavoro, non mi divertirei. Se c’è un libro da leggere, un film o una serie da vedere, un autore che ho scoperto, lo segnavo su un taccuino e adesso lo segno su un file dove ci sono tutte le cose che devo leggere o vedere, che ho il compito di leggere o vedere; e poi quando le ho lette o viste le depenno, e intanto aggiungo altre che mi interessano, quelle che mi hanno detto non te lo puoi perdere, guarda un episodio e vedi come ti sembra – e me lo dicono così, a una cena o mentre lavoriamo, e pensano che io la prenda così, ma io la prendo come se la professoressa di latino mi avesse assegnato i compiti per casa, e devo farli. Alle volte ci metto mesi a farli, anni a farli. Ma li faccio. Cerco di farli tutti. E la questione davvero eccitante è che è impossibile farli tutti, se vedo un film se ne aggiungono sei da vedere. Ed è proprio questo che mi piace. Il fatto che non finisce mai. Mi piace stare in ritardo di 300 film e 200 libri. Mi eccita. Passo la vita così. Quando morirò su quel file ci saranno tutte le cose che non ho fatto in tempo a fare, e mi sembra un buon testamento.

Mi segno su un altro file, giorno dopo giorno, mese dopo mese, quello che ho guardato, letto, ascoltato. Tutto. È come se giocassi con i miei giochi, a sette anni. È lo stesso. Quindi io so tutto quello che ho letto e visto a ottobre. Potrei fare un elenco di quello che ho letto e quello che ho visto. Non lo faccio per pietà, e per pudore: non mi va di quantificare, lo sento un fatto privato.

Così, scelgo qualcosa.

In realtà The Offer non sarebbe neanche bello, nel senso che per dieci episodi succedono le stesse cose, le stesse situazioni e le stesse soluzioni, e se poi la notte uno ripensa a Francis Ford Coppola nella serie (tra l’altro somigliantissimo) capisce che si incazza perché non gli vogliono dare un attore o una location e poi è felice perché gliela danno. E questo vale anche per tutti gli altri personaggi. Quindi è “tecnicamente” molto discutibile, ma d’altro canto te ne fotti di queste stronzate e pensi che ti stanno raccontando come sono arrivati a realizzare Il Padrino e ci rimani attaccato come un bambino. Quindi anche nella narrazione seriale c’è un’eccezione continuamente presente, che si evolve e si traveste ma alla fine conta più delle regole: se trovi qualcosa che interessa, non importa nemmeno in che modo la racconti, e a volte basta che la racconti. The Offer se si seguono le regole delle serie tv non dovrebbe essere bello. E invece lo è. Mi è piaciuto il libro di Marco Missiroli, Avere tutto. Missiroli non scrive soltanto, ma mostra anche i muscoli, sempre. Pensa che il compito di uno scrittore sia scrivere e mostrare i muscoli. Quindi gli altri libri, finora, ti facevano fare le montagne russe, andavi in estasi e poi con mal di stomaco ti fiondavi giù, poco convinto. Qui invece il racconto di un padre con il vizio del ballo e di un figlio con il vizio del poker, soli e malinconici come i riminesi che non camminano sul lungomare, costringono chi scrive a tenere i muscoli sotto i vestiti, non dà l’occasione di mostrarli. E il risultato è un libro senza montagne russe – che a volte, per carità, sono anche belle – ma solido, quasi silenzioso, che non ti vuole commuovere, e per questo un po’ lo fa.

E poi c’è un film che mi ero perso, e che ho visto in ritardo su Sky, ed è Settembre di Giulia Steigerwalt, un esordio, un film su persone che sono distratte, compresse, intimidite, spaventate e spaventose. Ed è un film che dopo dieci minuti hai già capito che ti piacerà, per il tono, e le cose non dette, per come ti fa ridere con niente, per alcuni personaggi stupefacenti.

Poi ho visto e letto anche molte cose brutte. Che non mi scoraggiano mai, anzi. Se lo prendi come un lavoro, le cose brutte ti insegnano molto. Alle volte insegnano più di quelle belle. Se lo prendi come un lavoro, non c’è nulla che non valga la pena. Il motivo principale per cui guardo e leggo quante più cose possibili, anche brutte, senza perdere voglia di continuare a farlo, è che tutto ha una ricaduta, sempre, anche se non lo sai. Ma sempre, sempre.

Francesco Piccolo (Caserta, 1964), scrittore e sceneggiatore. Ha pubblicato, tra gli altri: «Il desiderio di essere come tutti» (Premio Strega 2014), «L’animale che mi porto dentro» (2018), e la trilogia dei «Momenti trascurabili» (2010, 2015, 2020), tutti editi da Einaudi. Il suo ultimo libro è «La bella confusione» (Einaudi, 2023).