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I ragazzi con il fucile di legno

I rifugi, il nastro isolante alle finestre, i giovani che si addestrano nel fine settimana. Come ci si prepara a una guerra? Le ambizioni di Kiev e il senso del pericolo dei millennial con un sogno tatuato addosso: diventare occidente

Kiev è una città ambiziosa. Il vecchio e il nuovo si rincorrono e spesso anche il nuovo ama vestirsi di vecchio. I suoi locali giocano con la storia e con il futuro, così come le persone, ansiose di mostrare che il passato se lo sono scrollato dalle spalle, nonostante i segni ancora addosso, che l’Ucraina ha una nuova vita. Il primo capitolo di questa nuova vita è stato scritto con l’indipendenza dall’Unione sovietica, il secondo con le proteste che hanno preso il nome di Euromaidan, iniziate nel 2013, il terzo si scrive in questi mesi. In questo romanzo ucraino i personaggi sono sempre gli stessi. Da una parte Kiev, dall’altra Mosca, che è tornata a premere lungo il confine porosissimo che le divide. Nel mezzo ci sono le aspirazioni di una nazione che se si guarda allo specchio si vede occidentale, tanto simile alla vicina Polonia o ai paesi Baltici, ma se si osserva dentro si vede incatenata ai pericoli di sempre, a una sensazione di insicurezza, che la costringe a vivere sempre all’erta. Questo senso di pericolo è anche il segno distintivo di una generazione che dell’Unione sovietica ricorda poco o nulla, dei trentenni che l’hanno vista come una cianfrusaglia del passato, un racconto dei nonni e dei genitori, ma che da alcuni anni si sta riscoprendo più simile alle generazioni precedenti di quello che pensava. Convive con il pericolo, con la guerra dentro, tanto che viene il sospetto che a Kiev non esistano i famosi millennial, la generazione del tempo perduto, del frutto acerbo mai maturato. A Kiev i millennial sono una categoria diversa, sono spesso determinati, cosmopoliti, poliglotti, maturi da sempre. I millennial in Ucraina non sono gli eterni bambini, ma i sempre adulti, con un sogno tatuato addosso: trovare il loro modo di essere occidente.

La Russia ha schierato le sue truppe lungo la frontiera con l’Ucraina, sono pronte ad attaccare da tre punti diversi: e gli ucraini attendono, con la sensazione che questo conflitto potrebbe scoppiare da un momento all’altro, e che forse l’aspetto più crudele è l’attesa. La guerra è in casa, nei discorsi, nelle raccomandazioni, negli auguri per il nuovo anno. “È stato il primo desiderio che mi è venuto in mente durante il brindisi di mezzanotte, che posso desiderare se non la pace? Passa tutto da lì, il futuro, il progresso, la ricchezza di una nazione e di una persona”. Olha è una storica, ha trent’anni, lavora in Polonia, dove ha studiato, e viene da Leopoli, “che è stata polacca per diversi anni. A volte penso che il problema dell’Ucraina sia stato spesso questo: parlo della mia nazione e mi viene in mente la sua storia, caratterizzata da tante guerre e infinite contese. È un conflitto perenne tra quello che è stata e quello che vorrebbe essere”. Lo è anche adesso, che vorrebbe andare a ovest ed è costretta a guardare a est, a fissare con attenzione quel confine che trema. “È lì, in Crimea, nel Donbass, lungo la frontiera. È lì il nostro senso del pericolo che dal 2014 a oggi non ha fatto che aumentare”.

Nel 2014 la Russia ha annesso la Crimea con un referendum considerato illegittimo dalla comunità internazionale e nello stesso anno è iniziata una guerra nella regione orientale dell’Ucraina, il Donbass, dove si scontrano i separatisti filorussi aiutati da Mosca e le truppe regolari ucraine. È una guerra vera, va avanti da sette anni, i morti sono stati più di quattordicimila. Olha sorride quando pensa a una guerra imminente, “la guerra ce l’abbiamo già, ha già fatto male a molte famiglie. Potrebbe arrivarne un’altra? Un’invasione di Mosca? Può darsi, cambierebbe molto?”.

Eppure qualcosa è cambiato. Alla tv danno trasmissioni in cui insegnano come mettere del nastro isolante alle finestre per evitare che una scheggia volante le rompa. Kiev si è riempita di segnali rossi con la scritta “ukrittja”, rifugio. Il consiglio comunale ha detto ai cittadini di leggere bene le istruzioni su come comportarsi in caso di attacco: in “caso di emergenza di natura militare”. Tra i consigli: mantenere la calma, non girare in uniforme, sapere dove si trova il rifugio antiaereo più vicino. Ha pubblicato anche una mappa con tutti i rifugi, si trovano dentro ai condomini, sotto ai ristoranti, negli scantinati degli uffici. Roman, che lavora nel settore finanziario, fa parte di quei giovani che prendono il pericolo di un’invasione come un’eventualità remota. “Ci scherziamo su, non credo che verremo invasi. Chi gliele ripaga le sanzioni ai russi? Sento parlare di invasione da quando sono nato, ho 34 anni, e finora ho visto il mio paese solo cambiare in meglio. Ho studiato fuori e ho deciso di tornare a lavorare qui, la paga è minore, ma qui c’è energia, c’è vitalità. Non voglio offendere nessuno, ma quando vengo in Europa, non percepisco neppure la metà della forza che c’è a Kiev”. Roman dice che preferisce la pace, ma secondo lui questo senso di guerra perenne ha aiutato gli ucraini a essere più dinamici. “Poi c’è una parte di me che spera che la guerra non ci sia anche perché non siamo assolutamente pronti. Uno dei rifugi antiaerei indicati dalle autorità è nel seminterrato di un ristorante che frequento spesso, l’ho visto sulla mappa. Ho chiesto conferma e mi hanno detto: è vero, ma è pieno di cianfrusaglie, di casse e scatolame, se suonasse la sirena non ci sarebbe posto per nessuno”.

Dal primo gennaio è entrata in vigore una nuova legge sulla difesa territoriale. Impone la creazione di unità locali di volontari che hanno il compito di resistere in caso di guerra contro la Russia. Mosca è militarmente molto superiore a Kiev, le cui truppe regolari sono circa 250.000. Negli ultimi sette anni le capacità militari dell’Ucraina sono diventate più moderne, anche grazie ai missili anticarro Javelin americani e ai droni turchi Bayraktar. Ma non basta. La speranza è di aggiungere almeno novantamila soldati volontari, l’importante è mandare ai russi il messaggio che, se dovessero attaccare, non si troveranno soltanto l’esercito contro, ma anche la resistenza cittadina: potrebbe essere facile conquistare il territorio, ma non mantenerlo. Per questo sono nate le unità di difesa territoriale con le quali si allenano i civili, molti giovani. Alcuni di questi allenamenti si tengono nel fine settimana, nelle zone fuori dalle città. Il fratello di Olha ne frequenta uno. La prima volta gli hanno messo in mano un fucile di legno, l’hanno fatto rotolare nella neve, correre, gli hanno insegnato a curarsi le ferite, bloccare il sangue per evitare un’emorragia, tenere il passo, perlustrare una zona. Molti arrivano e non hanno resistenza e i comandanti che li addestrano devono cominciare da quello. “La guerra magari ce l’hai in testa, ma non nel corpo. Devi essere allenato. Io non sono contenta che mio fratello voglia offrirsi volontario, ma capisco cosa l’ha spinto a farlo. Abbiamo partecipato tutti e due alle proteste in Piazza Indipendenza, Euromaidan, abbiamo anche visto le violenze, gli scontri, gente morire con la bandiera dell’Ue in mano. Io ero tornata da Varsavia per manifestare. Ma oggi, dopo aver visto cosa è successo in Bielorussia o in Kazakistan capiamo cosa sarebbe potuto succedere da noi se fosse intervenuta davvero Mosca. Non è arrivata grazie alla nostra capacità di resistere: perché la nostra rivoluzione non è fallita”. La Russia è entrata nel territorio ucraino orientale, ma non si è spinta oltre e oggi l’Ucraina è una democrazia giovane con moltissimi problemi, ma che cerca di tenersi in piedi e migliorarsi. “Siamo orgogliosi di quei giorni. Ora conviviamo con quello che ci hanno portato, una Russia che ci guarda sempre più nervosa per i nostri progressi. Per questo gente come mio fratello dice di essere pronta a combattere, la nostra determinazione è la nostra arma più forte”. Molti volontari si allenano nel tempo libero, le direttive delle unità territoriali sono che ognuno rimanga nella sua zona di provenienza: si combatte meglio se conosci il territorio.

Questa generazione ucraina venuta su con l’Unione sovietica come un ricordo ora sfila per le strade sapendo che sotto i piedi ha dei rifugi antiaerei, si allena al suono della sirena, mai sentito finora, e vede in questa resistenza il modo migliore di costruire il futuro della nazione. Amano la pace più della guerra, assicurano Olha e Roman, lei con più serietà, lui sorridendo. Aspettano il futuro nella speranza che non assomigli al passato, cercano di non riconoscersi nei tic dei più vecchi, di non cadere nelle rare nostalgie sovietiche. Cercano una strada per finire il loro romanzo ucraino, che è il romanzo di una nazione che sta cercando la sua strada tra est e ovest, e di una generazione che si prepara alla guerra con un fucile di legno e sa che a pochi chilometri ci sono città che sono incredibilmente simili a Kiev, in cui si vive in pace e il nemico al confine è solo un ricordo degli anziani.

Micol Flammini, giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia e Israele. È autrice, con Paola Peduzzi, di EuPorn, che è anche un podcast.