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Il senso della memoria

Nicholas Winton salvò 669 bambini, portandoli in treno da Praga a Londra. Una foto, un cartello al collo, i genitori che salutano dalla banchina e dicono: a presto amore mio. L’ottavo treno fermato dai nazisti e la responsabilità collettiva dentro lo scatenamento della Storia

Nei primi mesi del 1939 un giovane uomo di nome Nicholas Winton, agente di Borsa residente a Londra, benestante, cancellò una vacanza di sci in Svizzera e andò a Praga. L’aveva chiamato un amico che cercava di dare una mano ai perseguitati dai nazisti. Gli aveva detto al telefono: vieni e non portarti gli sci. Winton sapeva quali problemi aspettarsi ma non sapeva dei bambini. Arrivò a Praga, andò al campo dei rifugiati, e prima di ogni altra cosa, prima di ogni faccenda politica, vide i bambini. Tanti, piccoli, provavano a giocare ma avevano fame e avevano freddo. Non tutti avevano i genitori ancora vivi. Molti erano vestiti troppo leggeri. Una bambina di undici anni teneva in braccio tutto il tempo una neonata che non era la sua sorellina. Una neonata che non aveva nessuno al mondo e che questa bambina aveva preso in braccio e ora la cullava giorno e notte, invece di giocare, invece di stare con gli altri bambini. Winton ne fu sconvolto. Chiese chi si occupava di salvare i bambini, gli fu risposto che non c’era il tempo e non c’erano le forze per pensare ai bambini, bisognava tirar fuori di prigione i dissidenti, bisognava fare in fretta, bisognava cercare cibo, coperte, e Hitler poteva arrivare. Hitler sarebbe arrivato. Nessuno pensava ai bambini ebrei di Praga, ci pensò Winton, ventinove anni. Telefonò a sua madre, telefonò a tutti quelli che poteva, convinse i genitori (e alcuni diffidenti rabbini) a lasciar partire i bambini per l’Inghilterra. Finché le cose non andranno meglio, dicevano tutti. Per qualche settimana, mentivano tutti. Poi vi riabbraccerete, starete di nuovo insieme quando la guerra finirà. Il piano era semplice, quindi complicatissimo: visti inglesi per ogni bambino, accompagnatori adulti sul treno da Praga, documenti in regola e all’arrivo alla stazione di Liverpool Street, a Londra, famiglie inglesi pronte ad accogliere i bambini. Winton fotografava i bambini e spediva le foto da Praga, non c’era altro modo: volete una bambina di sette anni, molto beneducata? Volete due fratellini di undici e otto? E anche il più piccolo di quattro? Perché il più piccolo no, troppo impegno? Il più piccolo no, va bene, il più piccolo rimarrà qui con suo padre e aspetterà il ritorno dei suoi fratelli. Migliaia di famiglie si accalcavano davanti alla porta di Winton e dopo la diffidenza iniziale gli dicevano: prenda con sé i nostri figli. Li prenda, li salvi, li porti via di qui. Lui fotografava i bambini, costruiva un archivio, spediva le richieste. L’archivio dei bambini: parte dei documenti sono andati distrutti, ma una parte Winton l’ha tenuta con sé fino alla morte, e per cinquant’anni non ne ha parlato con nessuno. Non voleva vantarsi ma soprattutto non riusciva a superare il fatto di non averli salvati tutti. Una lista di più di cinquemila bambini. Winton ne ha salvati 669. Sette treni, da Praga a Londra. Sette partenze con i genitori che facevano coraggio ai figli, genitori giovani di bambini piccoli, dicevano: ci vediamo presto, sii bravo, ringrazia tanto la signora e portale i miei saluti. Sorridevano, stringevano le manine ancora una volta, mille baci sulle guance morbide, e al collo un pezzo di cartone legato con lo spago, una specie di cartello con un numero, per non perdersi. Ogni partenza era una specie di miracolo, ma anche cuori spezzati. I bambini non sapevano che non avrebbero mai più rivisto i genitori e il fratellino che nessuno aveva voluto, ma spesso i genitori lo sapevano, lo sentivano. Cercavano di non piangere. Che cos’è la memoria, dunque, visto che ogni anno ce lo chiediamo, e visto che ogni anno ne perdiamo un pezzo? La memoria è tutto questo.

Nicholas Winton che si torce le mani perché non riesce a salvare tutti i bambini, sua madre che lo aiuta a incollare le foto, a parlare con le famiglie, sua madre che aspetta i bambini alla stazione di Liverpool Street. I bambini sul treno, imbacuccati nei cappotti, il primo viaggio della loro vita senza la mamma e il papà. I bambini rimasti sulla banchina, che li salutano intirizziti. Winton scriveva lettere a tutti, cercava l’aiuto dei governi. Scrisse anche al presidente degli Stati Uniti. Non si arrendeva, continuava, correva contro il tempo, correva contro la Storia. L’ultimo treno dei bambini partì il 2 agosto 1939. Si prendeva il treno e poi il traghetto. Si viaggiava di notte e di giorno. I bambini arrivavano alla stazione e dicevano: buongiorno signora, come gli aveva raccomandato la mamma. Quando ho visto One Life al cinema, conoscevo la storia di Nicholas Winton, lo Schindler inglese. Avevo visto su YouTube la scena epica del 1988, nel programma della Bbc. Ma prima di quella scena epica ci sono le storie del 1939, ci sono i bambini che non sono riusciti a partire e che sono morti ad Auschwitz o altrove. C’era un treno già in partenza, il 3 settembre 1939: sopra c’erano 250 bambini con il loro cartoncino al collo e con i loro sorrisi. I genitori sulla banchina a sventolare fazzoletti e mani già magre, facce già segnate che sorridevano di speranza e di tristezza. Ci rivediamo presto, fai il bravo, non piangere amore mio, porta l’orsacchiotto, ti scriverò una lettera, arriverà presto tuo cugino, stai tranquillo, di’ le preghiere, non dire mai le parolacce, lavati la faccia. I bambini seduti nei vagoni, gli accompagnatori consapevoli di tutti i rischi. Le frontiere erano chiuse perché da due giorni la Germania aveva invaso la Polonia. Il treno ha fischiato e in quel momento sono arrivati i nazisti e hanno bloccato la partenza. Hanno fatto scendere tutti, hanno arrestato qualcuno e hanno rimandato i bambini a casa. Pare che nessuno di quei 250 bambini in partenza sia sopravvissuto. Era l’ultima possibilità, per fortuna non lo sapevano.

Che cos’è la memoria, quindi? È questo. Un treno che non è partito, un atto mancato, l’ostinazione di chi ha fatto tutto il bene e quella di chi ha fatto tutto il male. L’orrore al centro del suo scatenamento.

Molti decenni dopo, Nicholas Winton non parlava di quei treni con nessuno, era un vecchio signore silenzioso e tormentato.

Nella sua personale, segreta memoria: gli occhi dei bambini che non aveva salvato. Sua moglie Grete Gjelstrup stava riordinando il caos della soffitta, quando trovò una cartella piena di documenti e fotografie che testimoniavano tutti i fatti del 1939. Winton non le aveva mai detto niente. A poco a poco si seppe che gli ex bambini del 1939 stavano cercando Winton da tempo, l’avevano cercato sempre, volevano rivederlo, ringraziarlo. A quasi ottant’anni fu invitato in un programma della Bbc, fra il pubblico, in prima fila. Durante la puntata la presentatrice raccontò la storia per sommi capi e poi chiese quante persone, nel pubblico, erano state salvate da Winton. Si alzarono tutti in piedi. Tutta la sala, tutto il pubblico. Teste bianche, teste calve, signore che erano diventate nonne e che erano state bambine spaventate e fiduciose, partite con una sorella o da sole e senza ben capire che cosa stava succedendo. Come può un bambino capire il male? Sessantenni che non hanno mai più riabbracciato la madre.

Winton vide tutte queste persone, in piedi per lui, in piedi grazie a lui, e pianse in silenzio.

Che cos’è la memoria? È questo, anche senza scene epiche come questa. Ci sono adesso in giro per il mondo degli adulti che sono i nipoti di quei bambini del 1939: anche loro devono la vita a Winton, che nel 1939 invece di andare a sciare andò a Praga. La faccia di Anthony Hopkins rende onore alla faccia di Nicholas Winton, che si asciuga le lacrime in uno studio televisivo pieno di luci accecanti, e che viene nominato cavaliere dalla regina Elisabetta per i suoi servizi all’umanità. Allora la memoria è proprio quello che dà continuità e senso alla vita individuale e collettiva. Senza memoria siamo immersi in un eterno presente nebuloso, in cui può succedere di tutto. Una delle ex bambine del treno di Nicholas Winton ha detto che tutta la sua famiglia è stata sterminata, ma che pensa che sua madre sia morta con la gioia di saperla al sicuro. Con la volontà di raccontare e, perfino, di ringraziare.