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In attesa di domani, addio a tutti i nostri “vediamo”

In questo nuovo inverno di fatiche umane sarebbe bello smettere di essere il signor Ramsay di Virginia Woolf, ma anche “Lo dici perché sono una donna?” di Emanuela Fanelli. Non diteci come si deve comportare una donna per essere una donna, non costringeteci all’attizzatoio

A me è maggio che mi rovina

e anche settembre, queste due sentinelle dell’estate: promessa e nostalgia.

Patrizia Cavalli, Vita meravigliosa

 

Dopo tutto era settembre, scrive Virginia Woolf in Al faro, e a settembre c’è una luna bionda e una luce nuova, “la luce che matura la forza della fatica e ammorbidisce le stoppie e porta a riva l’onda che avvolge il blu”. La signora Ramsay è commossa da questa luce che illumina le fatiche umane, ma sa anche che è soltanto una tregua: arriverà l’inverno, le notti piene di vento, le foglie che volano alla rinfusa.

Dopo tutto è ancora settembre, e questa luce è ancora la tregua, questa luce è l’attesa dell’inizio. Ho sempre avuto lo stato d’animo del figlio della signora Ramsay, sei anni, che alla promessa della madre: se sarà bello, domani andremo in gita al faro, riversa una contentezza paradisiaca e quindi smisurata sul frigorifero, sulla carriola, sulla falciatrice, sui vestiti fruscianti e sui pioppi. La contentezza dell’attesa, mista a paura, paralisi, respiro sospeso, annullamento del presente aspettando la cosa bella di domani, quel momento contornato di gioia e di formicolio alle gambe e alle braccia che toglie il respiro e lucida gli occhi. Ma poi, naturalmente, arriva il padre, il signor Ramsay, che fermandosi davanti alla finestra del salotto con un compiacimento segreto dice: “Ma non sarà bello”.

Ecco allora che il mio stato d’animo e quello del bambino di sei anni, James, coincidono totalmente. “Se avesse avuto a portata di mano un’accetta, un attizzatoio, o qualsiasi arma in grado di squarciare il petto a suo padre e di ucciderlo, lì subito, James l’avrebbe afferrata”. Perché sciupargli, sciuparci, la gioia, l’attesa, la volontà di qualcosa di bello? Perché dire che non succederà, che pioverà, che andrà tutto storto, che siamo degli illusi, che è meglio rinunciare? In nome del viaggio, risponderebbe il signor Ramsay raddrizzando la schiena e socchiudendo gli occhi verso l’orizzonte, il viaggio verso quella terra mitica dove le nostre speranze più vive si estinguono, dove le nostre fragili scorze si disfano nell’oscurità: un passaggio che necessita prima di tutto di coraggio, verità e capacità di sopportazione. Ha ragione il signor Ramsay (certo che ha ragione lui, quanto è serio, corretto, razionale), o invece la signora Ramsay che si affretta a intervenire: “Ma potrebbe essere anche bello, credo proprio che sarà bello”? La domanda vera è un’altra: perché il signor Ramsay non sta zitto, almeno una volta, una volta sola?

C’è una parola in particolare che scatena in me il desiderio di un attizzatoio, e non è di Virginia Woolf ma di molte persone nel presente e vivo settembre dell’esistenza che rispondono: “Vediamo” a quasi tutto. Anche peggio, “capiamo”. Di solito a una domanda precisa, alla proposta di una gita al faro o di una questione di lavoro o di qualcosa che illumini di luna bionda le fatiche umane. All’inizio di una conversazione importante, importantissima almeno per me. “Vediamo” è il signor Ramsay che spezza tutte le gioie future di suo figlio, è la rinuncia in partenza. “Capiamo” è il modo indistinto e distante per dire: no, mai, e spero che te ne dimentichi perché io ho intenzione di dimenticarmene subito.

L’unico proposito di questo infinito, brevissimo settembre è stato allora quello di eliminare i: vediamo e disintegrare i: capiamo. Che cosa devi ancora capire che non hai capito già? Sei forse scemo? Che cosa dovrai mai vedere che non hai già visto in questo sconfinato settembre e in tutti i settembre trascorsi? So bene che “vediamo” è un verbo che si usa spesso con i bambini, per dire forse sì ma invece di no, per dire aspetta, lasciami un po’ in pace, dammi tregua, ma a parte la crudeltà e a parte la delusione noi non siamo bambini quindi dobbiamo smettere di dirci: vediamo.

Così, senza più la gioia in balia del tempo di James Ramsay, ma anche senza l’incertezza continua e scostante, priva di vitalità e di slancio di tutti i nostri vediamo, affronteremo questo nuovo inverno governato dalle donne, deciso dalle donne, con la certezza che se sarà necessario impareremo anche a cuocere la pasta a fuoco spento con il coperchio, e a cuocerla perfettamente al dente, deliziosa, perché questi sono dettagli e i dettagli non fanno nessuna paura. Le docce di tre minuti, chi se ne importa, il riscaldamento abbassato, nessun problema, e ancora disinfettare, ma certo va bene. La Regina Elisabetta, che in tutta la sua vita non ha mai detto “vediamo”, ha teso due giorni prima di morire la mano ormai livida alla nuova premier Liz Truss per designarla formalmente, era in piedi e sorridente, appoggiata a un bastone nell’esercizio massimo della sua esistenza, e in quel suo addio al mondo c’era il senso di un dovere che va oltre i dettagli, le scuse e i vediamo. (Carlo se la caverà? Non è più interessante, senza sua madre a giudicarlo).

In questo nuovo inverno di donne saremo pochissimo interessati alle scuse e alle docce e ai maglioni in più e moltissimo alla sostanza della nostra vita: significa che nessuno deve dirci che cosa dobbiamo pensare, nessuno deve dirci come dev’essere una donna, poco donna, molto donna, troppo donna, abbastanza donna. Non deve ballare, anzi deve ballare scatenata per dimostrare la sua libertà, non deve cambiarsi troppo spesso il colore dei capelli, anzi deve cambiarlo in continuazione per dimostrare la sua libertà, non deve dimagrire, non deve ingrassare, deve essere felice di essere grassa, deve essere buona, e insomma com’è violenta, è strana come donna, non sembra una donna, non è un buon modello di donna.

Quest’inverno non può ricominciare con il tormentone fantastico di Emanuela Fanelli, che a ogni frase, gentilezza, insulto, richiesta di indicazione stradale risponde: “Lo dici perché sono una donna?”. Faceva tremendamente ridere, e quindi non deve diventare tremendamente serio. Ci sarà questa tentazione, invece, ci sarà la voglia di spiegarci come si devono comportare le donne di potere e come devono reagire al suo potere le altre donne, e anche quanto più forte devono indignarsi in quanto donne. Ma poiché da molto tempo non siamo più bambini a cui dire: “Vediamo”, per non portarli mai in gita al faro, e poiché nessuno di noi fa il custode del Corano a Kabul, non venite mai a dirci che cosa dobbiamo pensare in particolare delle donne, come dovremmo giudicare, secondo categorie femminili, la loro forza, la loro antipatia e i loro balli scatenati o la loro reazionarietà. Sappiamo soltanto quello che non vogliamo, e certo non vogliamo che un bambino chieda a sua madre di vedere Peppa Pig e che lei dica: “Vediamo”. Perché ci sono i vicini di casa orsetti con due mamme orse, “una fa il medico e l’altra fa gli spaghetti”, e insomma amore l’hanno tolto dalla tivù perché non era il caso. A quel punto dovremmo, in modo così poco femminile, interrompere la cottura della pasta a fuoco spento, prendere l’attizzatoio del signor Ramsay e distruggere la tivù.