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La freccia sulla mappa e quella nel cuore di Eisenkot

Il generale israeliano ha progettato il conflitto a Gaza in cui è morto anche il soldato Gal, suo figlio. Il giorno del funerale, ha detto: ci prenderemo cura del paese che hai amato. Il senso straziante della protezione, tra la pace e la guerra, la necessità di convivere e le macerie infinite

Ci sono frasi fatte che pure qualcuno, un giorno, deve aver pensato per la prima volta. Che pure, quando questo qualcuno le ha pronunciate senza mai averle sentite prima, avevano un senso molto profondo, al di là di quel significato consunto con cui si presentano adesso. Quando, per la prima volta, qualcuno deve aver detto che “la guerra ha un costo”, probabilmente stava davvero pensando a ciò che aveva perduto. Probabilmente la parola “costo” accostata alla parola “guerra” dava davvero la dimensione della perdita che stava affrontando comparandola con il senso di insicurezza o di necessità che lo avevano spinto a combattere. Dire oggi a Gadi Eisenkot che “la guerra ha un costo” vuol dire dare a questa frase logora il suo significato vero, profondo, perché nessuno come l’ex capo di stato maggiore israeliano può capirne la dolorosa complessità in tutta la sua interezza.

Eisenkot oggi fa parte del gabinetto di guerra, quell’organo molto ristretto che si è costituito dentro al governo israeliano dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre. La scelta di entrarvi, per Eisenkot, non è stata semplice, perché voleva dire unirsi al governo più a destra della storia di Israele, pieno di figure guerrafondaie che di guerra hanno sempre saputo ben poco. Proprio per questo, poiché Israele ha lasciato in mano a personaggi tanto eccentrici quanto pericolosi rischiava di smettere di esistere, ha deciso di rispondere all’appello del primo ministro Benjamin Netanyahu e si è unito al nucleo che prende le decisioni di guerra escludendo il resto della maggioranza. Eisenkot, assieme a pochi altri – assieme al primo ministro, al ministro della Difesa Yoav Gallant e al suo collega Benny Gantz – prende tutte le decisioni più importanti di Israele in guerra. Eisenkot ha deciso anche chi mandare a combattere, come iniziare l’operazione dentro la Striscia di Gaza, quanti soldati erano necessari. Vidima ogni operazione sul campo.

Gadi Eisenkot era consapevole che tra i soldati entrati nella Striscia c’era anche suo figlio Gal, impegnato, come suo padre prima di lui, nella carriera militare. Il generale Eisenkot conosceva i rischi di una guerra a Gaza, un territorio di cui i soldati avrebbero conosciuto le insidie soltanto una volta entrati e che già una valutazione preliminare ed esterna mostrava come pieno di trappole, con una rete ampia di tunnel sotto terra dove i terroristi di Hamas avrebbero potuto nascondersi. Entrare a Gaza era un’incognita, i rischi enormi erano l’unica certezza e Gal Eisenkot, figlio del generale, è morto sessantadue giorni dopo l’inizio della guerra: era nell’area di Jabaliya, nel nord di Gaza, si avvicinava all’ingresso di un tunnel scoperto da poco, i terroristi di Hamas, da lontano, hanno azionato una trappola esplosiva. L’ex capo di stato maggiore ha pianificato la guerra in cui sarebbe morto suo figlio, sperando che non succedesse e sapendo bene che sarebbe potuto succedere.

Il giorno del funerale era presente tutto il gabinetto di guerra. Herzliya, poco a nord di Tel Aviv, era grigia. Il generale Eisenkot è salito sul palco e ha promesso: «Ci prenderemo cura del paese che hai tanto amato, faremo di tutto per prendere le decisioni giuste, saremo degni del tuo sacrificio e di quello di tutti i caduti». In questo momento della storia dello stato ebraico, prendersene cura vuol dire far capire ai nemici che il 7 ottobre non può essere ripetuto. Vuol dire guerra.

Il rapporto tra un generale, poi capo di stato maggiore, e un figlio che vuole ripercorrere le sue tracce rischia di essere tormentato. In molte delle storie di famiglia israeliane c’è un terzo incomodo, amato e attaccato, forte ma sempre in cerca di protezione: lo stato di Israele. È un tratto delle storie comuni e delle storie illustri, si dice che Sonia Gelman, moglie di Shimon Peres, detestasse la vita politica, odiasse i viaggi ufficiali, volesse soltanto starsene nel kibbutz Alumot che lei e suo marito avevano contribuito a fondare, ma ogni volta che faceva le sue rimostranze per gli impegni ufficiali che costringevano la famiglia, se ne pentiva, si scusava e invitava suo marito a trascorrere più tempo possibile con David Ben Gurion per il bene di Israele. È un tratto comune a molti in un paese concepito come una creatura di cui prendersi cura. Lo stesso sentimento è sempre stato presente nella famiglia Eisenkot.

Gal era nato venticinque anni fa, quando suo padre prestava servizio come comandante della Brigata Golani, una delle più importanti dell’esercito, che ha sempre preso parte alle azioni più rischiose, intrepide, necessarie. Gadi seppe che Gal stava per nascere perché sua moglie lo chiamò, con calma gli comunicò che stava uscendo di casa per andare in ospedale. Gadi rispose con ben poca calma, si precipitò, ma arrivò tardi, quando Gal era già nato. Fu l’inizio di un rapporto complesso, fatto di stima e di qualche recriminazione. Quando suo figlio disse che aveva intenzione di intraprendere la carriera militare, confessò di aver sempre sentito la mancanza di suo padre. Poco prima di morire, quando tutta Israele era incollata ai comunicati con cui il governo diceva i nomi degli ostaggi che Hamas stava liberando, Gal lo chiamò per dirgli che quella tregua, che suo padre aveva contribuito a negoziare, lo rendeva molto orgoglioso. Il soldato è morto poco dopo la fine di quella tregua, che i terroristi nella Striscia di Gaza avevano usato anche per riorganizzarsi e rifornirsi. Qualunque soldato ormai a Gaza, qualunque funzionario israeliano nel gabinetto di guerra, sapeva che le azioni militari dopo l’interruzione sarebbero state più pericolose.

Al funerale di Gal era presente anche Benjamin Netanyahu, e se il paese guardava con orgoglio e dolore alla storia del generale che aveva perso suo figlio, non poteva fare a meno di ricordare che invece, il figlio del primo ministro, riservista, era rimasto negli Stati Uniti, da dove, tra un commento sui social e una foto in costume, continuava a mettere in imbarazzo suo padre, che non aveva fatto nulla per imporgli di tornare nel paese. Gadi Eisenkot è diventato il simbolo di chi antepone gli interessi nazionali al bene personale e si è trasformato               nell’antitesi della famiglia Netanyahu, con la moglie del premier pronta ad assicurare qualsiasi privilegio a suo figlio pur di tenerlo lontano da Gaza. L’ex capo di stato maggiore è la mente delle ultime guerre di Israele, ha contribuito a rinnovare l’esercito. C’è lui dietro alla strategia degli ultimi conflitti, a partire dal piano pluriennale chiamato Gideon che ha come obiettivo l’uso della forza combinato con quello della deterrenza, la risposta rapida per prevenire altre azioni contro Israele e per mostrare agli altri nemici l’entità della controffensiva israeliana: se mi colpisci, colpisco subito e più forte. Tutto si incrocia in queste storie legate assieme, tutto sembra tornare, impone domande, le cui risposte si trovano nel passato. Nel 2006, durante la guerra contro il Libano, Israele rispose distruggendo un quartiere chiamato Daniyeh. Si trova nella parte meridionale di Beirut ed era allora come oggi il quartier generale di Hezbollah. I miliziani sciiti sono rimasti lì e negli anni hanno aperto le porte del quartiere anche ad alcuni membri di Hamas, ai quali hanno offerto uffici e case. Il 2 gennaio, un drone israeliano è arrivato fino a Daniyeh e ha eliminato uno dei capi di Hamas, Saleh al Arouri, uno dei leader più importanti. È stato un ritorno, perché nel 2006, il quartiere di Daniyeh era diventato l’immagine della determinazione israeliana a non farsi più trascinare in guerra: dietro alle azioni condotte lì, c’era Eisenkot che qualche anno dopo spiegò quanto la distruzione di Daniyeh non fosse un capriccio o una vendetta, piuttosto si trattava di un messaggio diretto a qualsiasi città che nel futuro avesse sparato dei colpi contro Israele. Qualsiasi nemico avrebbe dovuto pensare alle macerie di Daniyeh, perché quella sarebbe stata la risposta dello stato ebraico, che non avrebbe permesso a nessuno di interrompere la sua esistenza. Eisenkot è stato il primo capo di stato maggiore di origine marocchina, i suoi genitori si erano trasferiti insieme in Israele, dove avevano avuto quattro figli, fu il premier Ehud Barak il primo a chiamarlo nel governo, e da quel momento è stato responsabile delle guerre e del mantenimento della pace, di ogni azione che lo ha tenuto lontano da suo figlio Gal, ma che ha contribuito a tenere in sicurezza lo stato, fino al 7 ottobre.

Accade spesso che siano gli uomini di guerra a parlare di pace, in Israele è una costante ed Eisenkot non fa eccezione. Il generale che ha suggerito di guardare Daniyeh distrutta a chiunque desiderasse azzardare un attacco contro lo stato ebraico è invece uno dei grandi teorici della convivenza, di una soluzione a due stati che dia ai palestinesi e agli israeliani pari diritti sul proprio territorio.

La storia di Gadi Eisenkot ha ancora un epilogo tutto da scrivere, se la morte di un figlio cresciuto con la stessa passione per la sopravvivenza del proprio paese non fosse abbastanza straziante. Bisogna andare avanti, immaginare che la guerra a Gaza sia finita, che la conta dei danni, dei pericoli sia in corso e sia un qualcosa che Israele non gestirà da solo. Bisogna correre con la mente al momento in cui inizieranno le indagini dentro al paese, si cercheranno i colpevoli dei fallimenti del 7 ottobre, si farà una lista lunga di nomi, che conterrà tutti coloro che hanno avuto ruoli importanti negli ultimi anni. Si partirà dall’idea che gli errori che hanno portato all’attacco di Hamas vanno ricercati anche indietro nel tempo, in ogni capo dell’intelligence, dell’esercito, del governo. Sarà una ricerca lunga, che arriverà pure a Eisenkot, alla sua dottrina, ai suoi impegni, alle sue responsabilità. «Gadi – gli ha detto Benny Gantz al funerale di suo figlio – quando abbiamo approvato i piani ne conoscevamo il significato, sapevamo che le frecce sulle mappe potevano diventare frecce nei cuori delle famiglie in Israele». Nel cuore di Gadi Eisenkot la freccia è arrivata, e la conta dei costi, per il generale, è un peso tutto da sopportare.

Micol Flammini, giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia e Israele. È autrice, con Paola Peduzzi, di EuPorn, che è anche un podcast.