Per le strade di Varsavia capita di vedere dei fulmini. Sono ovunque tranne che nel cielo sfacciatamente soleggiato di un ottobre di autunno frettoloso. I fulmini spuntano sulle finestre, sui cappotti, sulle borse, sui muri dei locali. Non sono gialli né luminosi, non sono fenomeni atmosferici, sono neri e rossi, sono tetri e hanno la forma di una ferita talmente profonda da aver cambiato in fretta la società polacca, soprattutto le donne. Quel simbolo ha fatto talmente male da aver svegliato non soltanto le ragazze, più sensibili alla grafica per età e che con quel fulmine disegnavano manifesti da portare alle manifestazioni, si dipingevano le guance e gli occhi, costruivano orecchini, ma ha coinvolto anche le più adulte, anche chi da tutta la vita era pronta a dirsi poco favorevole a rendere più accessibile l’aborto, ma che si era resa conto che la politica aveva stravolto il senso della nascita, della vita, della maternità e lo aveva trasformato in un pericoloso e raffazzonato strumento da usare contro le donne. Il fulmine è stato il simbolo di tante proteste contro la legge molto restrittiva sull’aborto voluta dall’ultimo governo del PiS e, a un certo punto, al suo fianco sono comparsi un nome e una foto: Iza, una ragazza con i capelli raccolti e un sorriso accennato.
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