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La protagonista non sei tu

Tutti discutono della punizione o salvezza letteraria di Alice Munro, ignorando ancora una volta sua figlia e le sue parole. La versione di Andrea Skinner, che ha aggiunto la sua storia a quelle di sua madre. Cerchiamola in tutti i racconti, ridiamole il suo posto

Io ho un’amica che sa sempre tutto, che legge tutto prima degli altri, che si sdegna quando alla domanda: hai letto questo, hai visto quest’altro?, le rispondo: no, non l’ho ancora letto, no, non lo sapevo. Mi fa pesare tutto quello che non so, e io allora cerco di trovare cose che lei non sa, a volte ci riesco ma solo per colpi di fortuna. Il più delle volte risponde alle mie segnalazioni con un: ben svegliata, hai solo venti ore di ritardo. È frustrante ma anche molto utile avere un’amica così, infatti la strozzerei e lei mi strozzerebbe. Litighiamo, non ci parliamo più per un po’, poi ricominciamo.

Grazie a lei ho letto la confessione di Andrea Skinner, la figlia di Alice Munro, sul Toronto Star, un giorno prima che i giornali italiani se ne accorgessero e scrivessero riassunti imprecisi sulle molestie sessuali del patrigno di Andrea quando era una bambina di nove anni in visita alla madre separata, e sul comportamento terribile della madre, premio Nobel per la Letteratura, grande scrittrice che ha dedicato la sua vita ai racconti, infatti adesso molte persone tengono a farci sapere che non leggeranno mai più quei racconti, oppure che metteranno Alice Munro in punizione per un po’. Non mi scandalizza, penso che ognuno abbia il diritto di leggere o non leggere quello che vuole e per i motivi che si sceglie. Per castigo, anche, per disgusto: come se Alice Munro fosse stata l’amica perfetta e geniale che ci dava consigli di vita, invece che una scrittrice canadese applaudita forse una volta a un festival, e adesso che scopriamo che pessima madre sia stata dobbiamo punirla (Come la mia amica che quando non so le cose minaccia di bloccarmi su whatsapp).

Io di certo continuerò a leggerla, con un morboso interesse in più, cercherò nei suoi racconti anche le pieghe di questa storia terribile e sono certa che le troverò, sono certa anzi di averle trovate sempre, avvertite sempre: le storture, lo smascheramento, i grandi errori, l’insensibilità, il pensiero del sesso che sovrasta ogni sensatezza, i cambi improvvisi di prospettiva, la disperazione umana unita a una grande esaltazione letteraria. I racconti di Alice Munro sono questo, e lei non è una mia amica né la mia guida. Ma una donna nata negli anni Trenta del secolo scorso, di cui nel 1961 un giornale di Vancouver pubblica una grande e bella foto nel giardino di casa sua con due belle figlie bionde (Andrea non era ancora nata) con il titolo: «Casalinga trova il tempo di scrivere racconti». Mi ha sempre fatto impazzire quel titolo, ho immaginato la rabbia, il senso di rivalsa, l’offesa che gira nello stomaco e non se ne vai nemmeno dopo il Premio Nobel. Ma proprio perché ci teniamo tanto alle parole, e teniamo tanto ai comportamenti, e siamo convinti che una grande capacità di racconto degli esseri umani debba contenere anche una qualità morale più elevata, allora perché quasi soltanto la mia amica da strozzare ha letto la confessione di Andrea Skinner e ha avuto interesse per le sue parole, per il suo modo chiaro, diretto e secco di raccontare i fatti?

La verità di quello che è successo dall’estate del 1976, quando Alice Munro è andata in Cina per un viaggio di lavoro, fino alla morte, pochi mesi fa, di questa grande scrittrice che non ha voluto proteggere sua figlia, e che anzi ha scelto l’uomo che l’ha molestata da bambina. Accontentarsi di un riassunto pieno di errori e concentrarsi sulla punizione o salvezza

letteraria della madre significa, ancora una volta, concentrarsi sulla più forte e fregarsene della più debole. Che ha aspettato la morte di Alice Munro per mettere in fila i fatti e per offrire a noi lettori pigri un’altra storia, «volevo che questa storia, la mia storia, diventasse parte delle storie che la gente racconta su mia madre». Voleva che la gente sapesse che sua madre, davanti alla verità di quello che è accaduto, ha scelto, e protetto, l’uomo che ha abusato della sua figlia minore. E suo padre, al corrente dell’abuso dal 1976, non ha fatto nulla, non ha detto mai nulla. Ha continuato a vedere Alice Munro, a pranzare con lei, e alla domanda della figlia: che cosa dicevate di me?, ha risposto: non parlavamo di te. Il padre e la madre non parlavano di lei, il patrigno ha scritto lettere alla famiglia in cui ha accusato Andrea di essere una seduttrice e di averlo provocato, quando sono nati i suoi nipoti Alice Munro ha detto alla figlia che sarebbe stato per lei molto scomodo andare a trovarla senza il marito, e quella è stata l’ultima telefonata tra madre e figlia. E poi c’è stata la denuncia, la condanna del patrigno, e di nuovo il silenzio di tutti, premio per la fama di Alice Munro. Non riesco a smettere di leggere questa storia, e mi sembra così importante che le parole siano quelle della protagonista. Che non è Alice Munro, ma sua figlia. Con il mal di testa cronico, i problemi alimentari, e tutto quel silenzio intorno, come se non esistesse. «Per quanto riguarda la relazione con mia madre, non mi sono mai riconciliata con lei. Non ho mai chiesto a me stessa di aggiustare le cose, o di perdonarla. Ho sofferto per la sua perdita, e questa è stata una parte importante della mia guarigione». In quel saggio sul distinguere o non distinguere le vite dalle opere (ma non credo sia questo il punto esatto), Mostri, Claire Dederer scrive: che cosa facciamo con le persone orribili della nostra vita?

Probabilmente continuiamo ad amarle. E da questo lungo racconto sembra di capire che anche Andrea Skinner non è riuscita a smettere di amare sua madre, e a sperare di essere ricambiata. Nella lettera che le ha scritto, sedici anni dopo l’abuso, raccontandole i fatti, le ha detto di avere avuto tanta paura per tutta la vita della sua reazione. E infatti la reazione di Alice Munro è stata quella che avete letto nei riassunti: eri una bambina così felice, le ha detto incredula, prima di autocommiserarsi, dire che era troppo tardi e decidere di tornare con suo marito perché lo amava troppo e non poteva rinunciare a lui per una questione che non la riguardava davvero. Ancora una volta, la figlia è stata espulsa dalla storia principale. Come in un racconto di Alice Munro, dove la prospettiva cambia all’improvviso.

Continuando a leggere Alice Munro, allora, farò quello che la figlia ha chiesto per tutta la vita: non essere tagliata fuori dalla storia, almeno adesso. Ma essere la protagonista segreta di tutte le storie. Continuando a leggere Alice Munro, spero anche di scoprire qualcosa che la mia amica non sa, e farglielo pesare.