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La sconfitta dei fratelli Grimm

Lesly, Soleiny, Tien e Cristin sono sopravvissuti per quaranta notti nella giungla, nutrendosi di bacche e dormendo stretti su un asciugamano. Nessuna matrigna o mela avvelenata, ma la nonna dall’altoparlante, un cane, una tartaruga e una foresta quasi buona: ecco il miracolo dei bambini

I fratelli Grimm ci hanno educato alle foreste, alle briciole di pane e alle streghe cattive. Ci hanno educato soprattutto alle matrigne che abbandonano i bambini nel bosco, contando sulla complice idiozia dei padri, e sperano così di levarsi di torno quei mocciosi sempre affamati. I fratelli Grimm ci hanno raccontato l’ingegno dei ragazzini, che non hanno nessuna intenzione di farsi sbranare dalle belve feroci e dagli orchi, ma inventano stratagemmi, rubano stivali magici per scappare, adescano le streghe e le spingono nel forno. Il ricordo più bello che ho è questo libro verde che mi pareva enorme, mi copriva tutte le braccia, in copertina c’era stampato: “Tutte le fiabe” sopra il disegno di una foresta, e io che poi piango non di commozione, ma perché ho finito di leggerlo e sono di nuovo sola e senza foreste in cui non filtrano nemmeno i raggi del sole.

Ma anche nella foresta, cioè nella giungla amazzonica dove i quattro fratellini colombiani hanno camminato e aspettato per quaranta giorni, non filtravano i raggi del sole. Anche la loro mamma era morta, ed è morta davanti ai loro occhi dopo quattro giorni dall’incidente aereo che li ha fatti precipitare laggiù. Ho pensato, mentre leggevo, ascoltavo, cercavo tutte le immagini e i video di questa favola verissima davanti alla quale i soldati dell’esercito colombiano hanno gridato: «Miracolo», che forse la mamma con le ultime forze ha dato dei consigli preziosi, ha detto alla figlia maggiore (13 anni): pensaci tu. Dev’essere per forza andata così, perché ci ha pensato lei, Lesly. È dimagrita dieci chili, ha guidato i suoi fratelli, Soleiny 9 anni, Tien 4 anni, e ha tenuto in braccio Cristin, 11 mesi. Per quaranta giorni si sono nutriti prima della farina di manioca che hanno trovato sull’aereo, poi di frutti, radici, semi e piante che sapevano essere commestibili. Non mele avvelenate, non casette di marzapane. Hanno mangiato i manghi selvatici, si sono protetti dagli insetti con una zanzariera. Le duecento persone che li cercavano ogni tanto trovavano qualcosa, come le briciole di pane, come i sassolini che brillano alla luce della luna: un paio di forbici sopra una foglia, un pannolino sporco, una traccia del passaggio di quattro bambini desolati e coraggiosi. Per quaranta notti, mentre noi combattevamo nei letti con la nostra insonnia, con i pensieri neri, con le buone e le cattive notizie, loro quattro si sdraiavano su un asciugamano e dormivano l’uno accanto all’altro, sempre più grandi, sempre più piccoli e magri. Oltre all’asciugamano avevano con sé due cellulari scarichi, una torcia, una zanzariera e un piccolo carillon.

ll carillon è servito per la ninna nanna, per la speranza, per la mamma che li salutava e diceva: forza, mi raccomando, attenti agli animali selvatici, non mangiate quelle schifezze velenose, riempite la bottiglietta con l’acqua del ruscello, e niente paura.

Adesso dicono tutti: sono bambini indigeni, sanno come ci si muove in una foresta, sanno riconoscere le bacche. Certo che ce l’hanno fatta, l’abbiamo sempre saputo. Come se questa ostentazione di consapevolezza bastasse a spiegare la favola, come se avessimo bisogno di togliere al più presto di mezzo l’idea del miracolo e della bontà. Io sarei sopravvissuta forse dieci minuti, loro hanno saputo prendersi cura dei più piccoli e non hanno fatto come le matrigne dei misogini fratelli Grimm: non hanno abbandonato nessuno nella foresta, non hanno tenuto tutte le bacche per sé, non hanno detto vai a fare pipì dietro quel tronco e ci rivediamo qui. Non hanno detto: questa bimba che non sa quasi camminare è troppo pesante, sono stanca, la lascio qui, ci penserà la mamma dal cielo.

Avevano preso quel piccolo aereo con la madre, il pilota e un altro parente per ricongiungersi con il padre, che era scappato per le minacce di morte dei guerriglieri. I casini degli adulti. Sopra la foresta vergine, l’avarìa, il disastro, la bimba piccola in braccio alla madre e per questo salva. Fine degli adulti. Quando li hanno ritrovati, dopo quaranta giorni, Lesly è andata verso i soldati con la sorellina per mano e ha detto solo: ho fame. Suo fratello, sdraiato lì accanto, si è alzato e ha detto, con gli occhi grandi sulla faccia magra: mia mamma è morta.

Mezz’ora prima, la squadra di indigeni aveva trovato una tartaruga, e se trovi una tartaruga puoi chiederle di esaudire un desiderio. Facci trovare i bambini, le hanno detto, anche se poi hanno pensato di mangiarla. Ma hanno trovato i bambini, e anche la tartaruga si è salvata. Non c’è niente, in questa storia, che non rimandi a un mondo fantastico pieno di ostacoli e anche di aiutanti magici. La tartaruga, il cane. C’era un cane che cercava i bambini, che annusava tutto. E c’era la voce della nonna dei bambini, sparata a tutto volume dagli elicotteri che sorvolavano la foresta e gettavano derrate di cibo mai trovate. La nonna diceva, anzi urlava: vi stiamo cercando, non abbiate paura del cane. Il cane è buono. Non mangiate le bacche velenose. Vi vogliamo bene.

Non so se la nonna dicesse proprio: vi vogliamo bene, però ci spero. Come la musica del carillon. La nonna aveva insegnato ai nipotini a muoversi nella giungla, la nonna è importantissima in questa storia in cui i bambini non sono mai stati attaccati da animali feroci, non si sono mai feriti, non sono mai caduti in un buco profondissimo come ci sono in tutte le favole. Un buco pieno di radici e di mostri e di monete d’oro.

Non ho nessuna fiducia nella natura benevola, almeno dal Canto notturno di un pastore errante per l’Asia, anzi almeno da quando gli uccellini mangiano le briciole di pane di Hansel e Gretel, ma questa foresta non è stata davvero vendicativa, non è stata davvero matrigna, e non è stata nemmeno del tutto indifferente alla sorte dei bambini. Li ha rispettati, non li ha divorati. Ha permesso che lasciassero segni del loro passaggio e non li ha fatti morire di fame.

Ma il generale che ha trovato i bambini ha parlato alla tivù colombiana di: forza spirituale. Quindi ha riconosciuto tutto il merito a loro, e in particolare alla leader di tredici anni che ha tenuto insieme tutti e ha cambiato i pannolini alla piccola finché ha avuto pannolini da darle. L’eroina della favola. Che storia gigantesca, e che sconfitta per i fratelli Grimm: il mondo salvato da una ragazzina.

P.S. Il più grande desiderio di tutti loro, quindi anche il mio, era: pane e salsiccia. Forza spirituale, un carillon, un asciugamano e il sogno notturno di pane e salsiccia. Ecco il miracolo dei bambini.