Improvvisamente a cena abbiamo parlato di antenate. Donne. Trisnonne, nonne, prozie, anche vicine di casa centenarie di cui sentivamo a volte le urla sul pianerottolo. Era per ridere, all’inizio. Tutti hanno una storia da raccontare, una bisnonna che a un certo punto ha perso i freni inibitori e ha iniziato a maledire il marito morto, o a piangere sulla propria lontanissima infanzia, mai così vicina e viva quando si diventa vecchi. Tutti abbiamo un ricordo, o una storia tramandata di quando quella signora con una nuvola d’argento sulla testa era una ragazza con i capelli sciolti che voleva andare all’Università, o almeno fare il liceo classico, e ricopiava le poesie dei libri di scuola su un quadernetto. Ma a scuola poi ci hanno mandato suo fratello, lei ha fatto la dattilografa prima di sposarsi con Gino. Che cosa ti sei messa in testa, Maria, non siamo mica ricchi. Anche affettuosamente, anche in buona fede, non servono le violenze per sbarrare la strada, per dire: tu no. Anzi, a volte non lo sapevi nemmeno, che c’era un’altra strada, e non l’hai mai chiesta. Una nonna di centoquattro anni con l’Alzheimer ripete ogni giorno che suo fratello l’ha costretta a sposarsi e piange. Chissà se è vero oppure no, nessuno conosce quel lato della storia, i fratelli sono tutti morti e la nonna sembrava anche felice quando cuciva i vestiti di Carnevale per i nipoti. Poi è invecchiata di più ed è iniziata la sua fissazione: lei non voleva sposarsi, lei voleva disegnare gli abiti eleganti e chissà quante altre cose ancora. Adesso non ridiamo più e io penso a mia nonna, che all’università c’è andata, prima a Venezia e poi a Urbino, ma poco prima della tesi ha rifiutato le avances del rettore, poi per sempre chiamato nella nostra famiglia “quel porco”, prima di tutto da lei e perfino con divertimento da noi. Però a causa di quel porco non si è mai laureata, la tesi pronta, e il ricordo non va né su né giù, non è poi così divertente. La vita era bella, prima, avventurosa, poi al bivio le hanno detto di tornare al via.
