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Maturità t’avessi presa dopo

Alle ragazze e ai ragazzi che stanno facendo la maturità, vorrei dire: l’unica cosa che conta è quando aprite le porte dell’aula d’esame e ve ne andate, verso l’estate e verso la libertà. A noi invece: basta solennità, basta con i nostri inutili soffocanti ricordi. Meglio se facciamo scena muta

Ma era proprio mia
quella voce che usciva
senza fantasia?

Patrizia Cavalli

 

Alle ragazze e ai ragazzi che stanno facendo la maturità, compresa mia figlia che tra pochi giorni avrà l’esame orale e conta le ore che la separano dalla libertà, vorrei dire che non è niente, che non è neanche quel momento retorico che molti chiamano: rito di passaggio.

È ogni estate, per chi la attraversa, un tema da scrivere in sei ore a penna, poi qualche altra cosa scritta, poi una mezz’ora davanti a professori conosciuti e sconosciuti, bravi o anche mediocri, che fanno domande belle oppure domande stanche, che devono valutare cinque anni di scuola in pochi minuti, quindi un’impresa impossibile, devono valutare la maturità del singolo, quindi un’impresa assurda, dovrebbero prepararlo al mondo che verrà, dovrebbero capirlo, ma insomma sarebbe ridicolo farlo con un esame, e poi ecco però che arriva il momento davvero magico, quello in cui la studentessa, mia figlia, tuo figlio, il figlio della tua migliore amica, apre la porta dell’aula d’esame, o le porte a spinta della scuola, o attraversa il cancello aperto e se ne va. A quel momento auguro il sole, il vento, gli uccellini sui rami degli alberi. Di tutto il resto penso che non ci sia niente di solenne, di significativo, di umiliante, di davvero importante. Ci sono ragazzi che hanno già superato il test di ingresso all’università, il test di ammissione a Psicologia per esempio, e che però si stanno preparando all’esame di maturità con terrore.

Non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore.

Ecco a tutti questi ragazzi che si stanno angosciando, che si stanno arrabbiando, che stanno prendendo gli ansiolitici o i fiori di Bach, vorrei dire: è quasi niente, è un po’ più di niente, di certo non è niente in confronto a quello che vi aspetta e a quel che avete già affrontato a casa vostra, con i genitori, nel mondo, con gli amici, con il Covid per due anni, con tutti i vostri pensieri più complessi e con il vostro corpo e il vostro cervello che si trasformano.

Non è niente in confronto a chi siete: è la verità.

E invece mi sono trovata a dire le cose più sceme, senza fantasia come scrive Patrizia Cavalli, soprattutto mi sono trovata a caccia dei ricordi della mia maturità, come se avesse qualche valore per chi la fa trent’anni dopo. Come se io avessi qualcosa da insegnare. Come se la nostra maturità avesse qualche grandezza speciale e pedagogica, come se la mia giovinezza fosse una giovinezza in grado di insegnare qualcosa alla giovinezza di oggi. Ai miei tempi, ah la versione di latino, ah me la sogno ancora la notte, ah che paura, che delirio. Vi prego, anzi ci prego tutti: basta. Poiché siamo vecchi, cerchiamo almeno di essere adulti. Il fatto che abbiamo parlato di Leopardi, o che abbiamo fatto scena muta, il fatto che abbiamo studiato per un mese come pazzi tutto il programma anche di notte, non ha più nessuna importanza. Ha avuto importanza per dieci minuti trent’anni fa, o venti o quaranta. Non è una pietra miliare della cultura occidentale. E non torneremo giovani raccontandolo, e non saremo eroici e non saremo d’aiuto immedesimandoci nella maturità dei nostri figli. Non ci appartiene, è la loro. E se vogliono cantare abbracciati

«Notte prima degli esami» o se vogliono urlare «Notte prima di sto cavolo», oppure non dire niente, hanno ragione. Hanno tutti ragione, tranne noi che ci infiliamo nelle vite degli altri e che cerchiamo di trarne una morale. Perché dovrei dire che mi sogno ancora la notte l’esame di maturità se non è vero? Non mi ricordo niente, non so se ho parlato di Leopardi o di Ungaretti, mi sono dimenticata tutto un secondo dopo, non credo che il mio voto sia importante e comunque non mi si è servito a niente e per fortuna non servirà a nessuno di loro. Sono stata felice, questo me lo ricordo, di avere davanti una lunga estate per andarmene in giro in treno con lo zaino e il sacco a pelo. Ma è già troppo, se lo dico a mia figlia non è che si illumina e dice: mamma, anche io voglio essere come te. Al massimo dice: ah, chill, e se ne va per la sua strada fatta di enorme confusione e di tante idee diverse. Io a diciott’anni non avevo idea di che cosa avrei fatto della mia vita e mi infastidiva molto che qualcuno me lo chiedesse. Mi infastidisce anche oggi, per mia figlia ma pure per me. E allora, che farai? E allora, che cos’hai deciso? Ma che ne so! E quindi, che lavorò farà tua figlia? Ma come che lavoro farà, deve ancora fare la maturità! Ma sono anni che sento girare questa domanda, sui mestieri e sulle carriere dei nostri figli dodicenni, almeno dalla seconda media. Faccio finta di essere sorda, scema, morta. Ma intanto, lo confesso, sogno di spaccare vasi con dentro fiori, sogno di lanciare piatti contro il muro. Che sogno infantile. Sì, del resto non mi ricordo niente del mio esame di maturità.

Molte madri, molti padri, hanno le idee incredibilmente chiare: il figlio ha scelto di fare il fisioterapista sportivo, ad esempio. Lo ha scelto a 18 anni, anzi prima, e loro sono d’accordo, quindi dopo la maturità farà una specie di stage e poi una facoltà adattissima, ma non basta: il figlio, 18 anni e due mesi, deve avere pronto almeno un “piano B” e su quello modulare la scelta dell’università. Io davanti al piano B e al modulo comincio ad avere le vertigini, non mi basta più il pensiero del piatto da tirare e quindi mi ritiro in uno stizzito silenzio. Però ecco, visto che uno dei temi della maturità era l’elogio del silenzio, e io non avrei saputo che cosa scrivere, penso che potremo qualche volta elogiare il silenzio semplicemente esercitandolo. Se la nostra voce è priva di fantasia, se mettiamo solennità dove non serve, se continuiamo ad autoelogiarci per le grandi imprese dei nostri tempi, quando la maturità era un incubo oppure un sogno, se continuiamo a sovrapporre le nostre vite e il nostro passato a questo presente così diverso, oltre a coprirci di ridicolo non siamo di nessun aiuto. Siamo soffocanti.

Proviamo a stare un po’ zitti, per dieci minuti, proviamo a fare scena muta come alla maturità.