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Non farti niente intorno alla bocca!

La regola delle punturine è: se fatte bene, non si vedono. Ma lo scopo è farsi guardare, sentirsi dire: come stai bene, assomigliare a quella che forse non sei mai stata. E quando arriva l’eroina? Breve avventura estetica in cerca di riscontri immediati

Ho cambiato medico perché il mio stava andando in pensione. Il nuovo medico, una donna, mi ha chiesto di portarle le ultime analisi del sangue. Non ce le ho, le ho detto. Le ha perse? Non le ho mai fatte. Lei ha alzato uno sguardo esterrefatto su di me. Sono sana… voglio dire, le avrò fatte delle analisi del sangue, certo, ma non me lo ricordo… Mentre furente mi prescriveva dosaggi ormonali e sempre più esami con acronimi incomprensibili, io la guardavo. All’inizio per ostentare distacco, ma presto mi sono accorta che aveva una fronte innaturalmente liscia. Le pieghe ai lati del naso appena accennate, il contorno occhi teso. Mentre il mio nuovo medico scrollava la testa per esternare la sua disapprovazione, la sua pelle luccicava. Levigata, ben idratata, appena arrossata.

Ho fatto le analisi del sangue. Quando sono arrivati i risultati li ho aperti da sola e mi è sembrato che neanche un valore rientrasse nei parametri. Ecco la punizione per la mia dabbenaggine, mi sono detta. Così imparavo a non occuparmi mai di cose importanti, a fare la spiritosa su prevenzione e manutenzione. Adesso come avrei fatto a recuperare tutte, ma proprio tutte quelle materie in cui ero insufficiente? Poi mi sono calmata, ho ricontrollato, ho capito come funzionavano i parametri. Miracolo! Colesterolo, tiroide, e roba simile erano tutti nella norma, esatti, non una sbavatura. Sono tornata dal medico con aria di trionfo. Mentre lei scorreva i miei numeri un po’ infastidita, a me è risalita al cuore, per il sollievo, una sola parola: “punturine”. Guardando fissa la sua fronte incredibilmente distesa e quell’inappuntabile contorno occhi ho detto: visto che qua sembra tutto a posto, sa per caso indicarmi il nome di una dermatologa che potrebbe farmi (quello che hanno fatto a lei, era il sottinteso)? Pensavo che sarebbe stato più difficile, che poteva anche offendersi, e invece mi ha indicato la porta accanto alla sua. Prenda un appuntamento dalla dermatologa.

Sono il tipo di persona che rinuncia, e ha rinunciato, alla maggior parte delle cose fiche della vita per pigrizia. Perché troppo lontane da casa, perché prevedevano notti in bianco, perché era necessario applicarsi per un tempo troppo lungo anche solo per capire come iniziare. La fatica è il mio unico principio morale. Analisi del sangue impeccabili e punturine a due passi da casa era quello che mi serviva per superare qualsiasi esitazione. Ho preso appuntamento.

La sera stessa l’ho raccontato alle amiche – il pudore, come mi è capitato in molte occasioni anche pubbliche di dimostrare, non è la più sviluppata delle mie virtù – convinta di suscitare scalpore. Mi hanno fatto parlare per una decina di minuti, condiscendenti, e poi una di loro mi ha spiegato che tutte, da anni, si fanno le punturine. Sono rimasta sbalordita. Com’è che non me n’ero mai accorta? Perché non si vede, se vai da uno bravo non si vede. È seguita una pioggia di indirizzi, indicazioni, veti. Mai niente intorno alla bocca! Botulino sulla fronte e intorno agli occhi, filler sui solchi delle guance, ma non prenderci l’abitudine. Non ti assuefare, che è come l’eroina. E soprattutto vai da uno bravo.

Sarà brava la mia dermatologa della Asl? Vai da uno bravo in codice vuol dire uno che ha una sfilza di attrici tra le pazienti, che ha lo studio a via Frattina e una segretaria con le unghie di lunghezza e colore sobri. La sala d’attesa della mia dermatologa è occupata da cinesi alle prese con documenti che non riescono a decifrare e qualcuno che sospetto passi le giornate seduto su quelle sedie per non dover affrontare il freddo della strada. Le unghie della segretaria sono sciabole che spostano fogli come quei giochi in cui devi arraffare l’orsetto nella teca di plexiglas.

La dermatologa non sarà brava, ma ha modi rudi e un rapporto col tempo simile al mio. Mi chiede quanti anni ho, mi guarda e mi dice: botulino sulla fronte e intorno agli occhi, filler sui solchi delle guance. Costa moltissimo, ma di questo mi avevano già avvertito le amiche. Dico: me lo faccio come regalo di Natale. Non so perché lo dico, a lei non importa un bel niente. Ci vediamo domani alla stessa ora. Sette minuti, forse meno.

Il giorno dopo, un paio d’ore prima dell’appuntamento inizio a pensare che forse sto facendo una sciocchezza. Così esco, cammino, mi distraggo. Butto la mia imbecillità nel catino che contiene l’imbecillità del mondo, mi tranquillizzo. La dermatologa mi riceve fiera, con le sue quattro boccettine davanti. È spiccia come me la ricordavo, in più è israeliana. Lo scopro mentre sono già sdraiata sul lettino. A me piacciono gli israeliani, specie le donne. Non facciamone una questione politica. Mi piacciono quelle donne fiere, che combattono per il loro paese, muscolose, coi capelli legati in lunghe trecce. Mi sono sempre piaciute, e quando sono stata in Israele non facevo altro che dar loro passaggi in macchina e farmi raccontare le loro storie, cercando di non pensare al fucile. Il fatto che fosse israeliana (ho ventiquattro nipoti al fronte, mi ha detto) toglieva opportunamente un po’ di frivolezza alla scena. Così, quando le ho chiesto se mi avrebbe fatto male, mi sono accontentata della sua smorfia di disgusto. Che sarà mai una punturina quando hai ventiquattro nipoti al fronte?

In realtà le punturine sono tante. Venti? Trenta? Un numero del genere. E sul viso, che non è la parte del corpo sulla quale siamo abituati a farci bucherellare. Fa male, abbastanza. Ma io sopporto fieramente, abbastanza fieramente, pensando ai ventiquattro nipoti e al fatto che è tutta colpa mia, che avrei potuto farne a meno, che ne avrei fatto a meno se almeno il mio colesterolo fosse stato un po’ meno perfetto, o lo studio della dermatologa più lontano da casa. Questa serie di circostanze fortunate mi impone sobrietà e quindi taccio.

Ogni tanto si ferma, ma solo il tempo di riempire la siringa con un’altra delle sue boccettine. Dopo i soliti sette minuti ha finito. Non c’è uno specchio, sul muro accanto al lettino dove sono distesa c’è qualche schizzo di sangue non mio, sul mio volto qualche goccia che invece, spero, sia mia. Ha del cotone chiedo? E lei mi dice: strappa un po’ di quella, mi dice indicando il lettino. Giuro. Mi dice di tamponare il viso con un angolo di quella carta su cui mi sono sdraiata con scarpe, vestiti, ecc.

Lo faccio. La dermatologa israeliana mi è simpatica, parla non so quante lingue e per Natale andrà a Tel Aviv a vedere come stanno i suoi ventiquattro nipoti. Vorrei chiederle se posso guardarmi da qualche parte, ma in quel momento lei mi dice, con la laconicità che ho già imparato ad amare: filler massaggiare, botox premere. Testa dritta, non lavare i capelli per 24 ore. Ci rivediamo tra quindici giorni. Per cosa, chiedo io già allarmata. Niente, perché il botox ci mette 15 giorni a manifestarsi. Scappo di corsa, senza voltarmi. Evito persino l’ascensore e l’eventuale riflesso nello specchio.

Non è grave, penso quando finalmente a casa controllo. Mezz’ora dopo ho una cena e devo solo nascondere col fondotinta un po’ di rossore e qualche buchetto della siringa, roba da niente. Sui volumi non mi pronuncio, ho capito che c’è un tempo di assestamento. Mi sembra però di avere un lato del viso molto più gonfio.

Ho una questione aperta con l’asimmetria del mio viso. Mi ricordo di una frase che sono sicura di aver sentito pronunciare dalla dermatologa: la parte sinistra della tua faccia non mi piace, e quindi insisterò. Le avevo parlato della mia asimmetria e di una cicatrice che ho sulla guancia, nel tentativo di schivare l’attacco che sentivo arrivare. Ma la dottoressa implacabile aveva affondato, perché appunto quella mia guancia non le piaceva. Quanto aveva affondato, quante punture in più avevo avuto a sinistra rispetto alla destra? Mi ero forse ficcata nel mio incubo peggiore, un peggioramento della mia naturale asimmetria? Avrei dovuto andare da uno bravo, lo sapevo.

Ma alla cena nessuno si è accorto di niente. Il giorno dopo mi sono svegliata con la stessa sensazione di quando la sera prima hai bevuto molto e qualcuno, per tutta la notte, ti avesse soffiato aria dentro la bocca per gonfiare gli occhi. Ho avuto conferma dallo specchio: un criceto. Eppure ancora una volta nessuno si è accorto di niente. Dopo un paio di giorni di quella indifferenza e mentre il mio viso si aggiustava e i volumi tornavano simili a prima, compresa la percentuale di asimmetria, ho finalmente capito la faccenda dell’eroina.

Tutto ciò che facciamo al nostro corpo, in particolare al nostro viso, per renderlo più giovane è soggetto a un enorme equivoco. Chiedete a chiunque, uomo o donna, che si sia fatto fare qualcosa. Tutti diranno che l’obiettivo è non farsene accorgere. Avere un aspetto più riposato, come quando torni dalle vacanze o hai fatto un’ottima dormita, mi dicevano le mie amiche. Ma non è vero. Se ti fai qualcosa, hai bisogno che la gente se ne accorga. Altrimenti dormi. Non c’è alcuna ragione per spendere tutti quei soldi e non avere neanche la soddisfazione di farti dire, ehi, cosa hai fatto al viso? Domanda alla quale tu risponderai niente, ho fatto una bella dormita, o sono appena tornata dalle vacanze. Vuoi che le persone ti guardino un po’ più a lungo del solito, vuoi sorridere di quello sguardo interrogativo che non ha il coraggio di domandare. Vuoi poter decidere se ammettere quello che hai fatto o insistere sulla faccenda della vacanza, ma vuoi deciderlo tu. Altrimenti sei sola ad avere a che fare con la tua scempiaggine, sola con la dermatologa israeliana e i suoi ventiquattro nipoti. La bellezza, la giovinezza, non sono una faccenda privata ma una questione sociale. Se io vivessi in una qualsiasi delle otto montagne non mi sarebbe mai venuto in mente di farmi fare un numero sconsiderato di punture in faccia da una dermatologa israeliana allo scopo di apparire più giovane. A chi? Agli stambecchi, agli orsi?

E un’altra cosa: chi di noi, uomini e donne, ha una così alta considerazione di sé da pensare di spendere denaro, provare dolore e imbarazzo al solo scopo di somigliare il più possibile al se stesso di qualche anno prima? Quella persona che abbiamo lasciato alle spalle, con tutte le sofferenze, la paura del futuro, le mille incertezze. Quella persona che amava disperatamente senza essere ricambiata, che non faceva abbastanza sport, che non era mai abbastanza colta da affrontare la vita con disinvoltura. Nessuno è così pazzo da investire per tornare a essere un se stesso di cui si è finalmente sbarazzato.

Quello che vogliamo davvero, quando ci imbarchiamo in queste imprese estetiche, è diventare qualcun altro. Vogliamo essere come Cameron Diaz e Jude Law in L’amore non va in vacanza, Hugh Grant in Love Actually che balla a Downing Street, Monica Bellucci sul tappeto rosso sottobraccio a Tim Burton. Cosa ci importa di tornare a essere qualcuno che siamo già stati? Sapendo che quando eravamo quel qualcuno le cose non andavano poi tanto meglio. Vogliamo cambiare, dare una scossa alla nostra vita. Vogliamo ripartire da un altro punto, come quella serie che esce su Repubblica e tu ogni volta ti chiedi: ma davvero il sogno di tutti è coltivare pomodori? Vivere in case scomode, fredde, col wifi che non funziona? Davvero c’è gente che molla tutto per questo, perché ha sempre sognato questo? E che cosa gli ha impedito di farlo al primo giro, visto che non mi pare ci sia troppa concorrenza?

È che noi esseri umani siamo così, vogliamo sempre quello che non abbiamo. La saggezza da giovani, la pelle liscia quando abbiamo finalmente una cattedra all’università. Ma soprattutto vogliamo essere un altro, soprattutto ora che gli altri ci arrivano addosso come il vento in motorino. Ti distrai un attimo e ti ritrovi ovunque vacanze degli altri, creme degli altri, ricette degli altri, alberi di Natale degli altri, figli degli altri…

Insomma, più passano i giorni e più io mi accorgevo che non era cambiato niente. Non dico un piano B, una seconda vita, ma neanche un come stai bene, che hai fatto? Niente di niente. Eppure la dermatologa israeliana era stata brava, non avevo neanche un livido e i volumi si erano aggiustati in un paio di giorni. Non potevo rimproverarle niente, tranne che non si vedeva.

È in quel momento che bisogna essere forti, perché lì arriva l’eroina. Se non si vede niente, allora lo rifaccio. Anziché aspettare sei mesi ne faccio passare solo due. O aumento la dose. Tre botulini quattro filler, e forse anche qualcosa alle labbra. Lo so, lo so: le labbra mai. Ma questo è quello che dicono le amiche eleganti. Ma chi vuole essere elegante? Io voglio essere un’altra persona. Fino a un mese fa, fino al giorno in cui ho ritirato le mie analisi perfette e ho scoperto di avere una ghiandola endocrina davanti alla trachea chiamata tiroide che per fortuna funziona bene, mi sono chiesta quale ragione spinge giovani e bellissime donne a rifarsi le labbra. Le vedevo in palestra queste ragazzine stupende, con i seni finti e le labbra come paperino. Diciassette, diciotto anni. A cosa mai volevano tornare, alla prima adolescenza? All’asilo? Le guardavo incantata e mi chiedevo perché. Adesso lo so perché: è l’eroina.

Inizi con le creme, poi passi ai massaggi, le punturine e poi ti gonfi le labbra. E non ti fermi. Non ti fermi fino a quando il tuo volto diventa quello di una bambola triste, piena di cose enormi e inutili, labbra, zigomi, occhi… Ma anche in quel momento non ti fermi perché può bastare, ti fermi perché non è più possibile. Se farai una sola altra cosa la tua pelle scoppierà.

Quindi, dal momento che oltre a una buona salute ho avuto in dote una scarsa propensione alle dipendenze, mi fermo. Proprio come le mie amiche eleganti. Me ne sto tranquilla con la mia faccia uguale a quella che avevo prima delle punturine. Ma io ho un vantaggio, lo stesso di sempre: io lo posso scrivere. Eh, mi sono fatta le punturine! Così magari qualcuno mi legge e quando mi incontra mi dice ehi, come stai bene, ma allora è vero che ti sei fatta qualcosa!

Così, giusto per non pensare di aver buttato i soldi.

Elena Stancanelli (Firenze, 1965), scrittice. Ha esordito con “Benzina” (Einaudi, 1988). Tra i suoi libri, “Un uomo giusto” (2011), “La femmina nuda” (2016, finalista al Premio Strega) e “Venne alla spiaggia un assassino” (2019). Nel 2020 ha firmato la sceneggiatura del film di Emma Dante “Le sorelle Macaluso”.