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Quanto è eccitante il romanzo irlandese

Scrivere è una questione pratica, come la vita, come i traumi non ancora analizzati. I libri raccontano il presente, il matrimonio, il potere, il lavoro, la borghesia. Tu quanto guadagni? Conversazione con Naoise Dolan

Speravo che Naoise Dolan non insistesse per parlare italiano e infatti non ha insistito, ma si vede che è completamente immersa nella precisa sfida di “crackare” il codice di una nuova lingua, ha la luce negli occhi mentre mi dice: «Il tuo cappotto è molto milanese. Conosci la pagina Sciuraglam?». Il tedesco l’ha già imparato, una missione più facile perché vive a Berlino, eppure, dice, «molti expat trattano la lingua locale come se fosse una pozzanghera da evitare, in cui sporcarsi le scarpe solo quando non è possibile girarci intorno: con la burocrazia, dal dottore, con la polizia». Lei invece si è dedicata al tedesco da subito. Ha scritto, in un essay sul Guardian: «Non ho mai ottenuto niente ossessionandomi sui progetti a lungo termine, dev’essere sempre qualcosa che mi diverte nel qui e ora. C’è da dire però che mi diverto facilmente, per esempio la mia app di schede di vocaboli mi delizia». Le chiedo subito quale app usa, e la seguo con gioia in quest’ossessione: negli ultimi tempi sono in fissa con la più modesta missione dello spagnolo, che ho praticato durante uno scambio universitario e poi scordato; anche a me delizia questa sfida. Nelle parole di Dolan, che detta al telefono messaggi in italiano per esercitarsi, è come «andare a caccia tutti i giorni del tedesco (o dell’italiano) che ancora non so. Ogni giorno lentamente la porzione della lingua che mi è ancora sconosciuta si riduce».

Ho sempre trovato un po’ paternalistici gli sforzi di inglesi e americani di parlare le nostre lingue europee, ma Noise Dolan, che è irlandese, parla italiano abbastanza bene da sostenere l’intera presentazione del suo ultimo libro, La coppia felice, nel rumore ipnotizzante di una fiera editoriale – Book Pride, a Milano – disturbata dalla voce di un uomo che arriva stentorea dalla sala attigua come una specie di tormento dantesco. In ogni incontro di ogni fiera c’è la voce di un uomo che arriva stentorea dall’altro lato della parete. Eppure Naoise parla fluentemente di Celine e Luke, di Archie e Maria, i protagonisti del suo romanzo-commedia – alle superiori leggeva molto teatro, si è poi laureata in Inglese al Trinity College e ha preso un master in Letteratura vittoriana a Oxford. Questi personaggi hanno relazioni complicate fra di loro, e formano un quartetto, a volte incrociato, involontario.

Nei romanzi di Dolan la queerness – la fluidità, l’essere gay o bisessuale, optare per la monogamia come una scelta fra tante – non è tematizzata, non è cioè mai il fulcro del discorso, è solo «il mondo per com’è oggi», tanto che anche nella nostra conversazione di un’ora non ne parliamo mai, se non di sfuggita, e lei dice «è la realtà in cui mi muovo, a Berlino e in un ambiente internazionale, un mondo di persone che ho trovato e scelto nel tempo. Ma è anche una scelta precisa di scrivere di quello che mi interessa. Non mi interessa investigare traumi che sono già stati analizzati in letteratura un milione di volte, scelgo sempre quello di cui è stato scritto di meno. C’è anche da dire che non mi interessa né mi affascina l’omofobia, quindi perché mai dovrei mettere personaggi omofobi nei miei libri?». In questa frase si capisce soprattutto l’approccio al lavoro di Dolan, che è una scrittrice razionalimmaginativa. Nel senso che è una romanziera pura che pensa e costruisce accuratamente il progetto prima di immergervisi. Cosa è stato meno scritto? Cosa mi piacerebbe leggere? Cos’è abbastanza diverso da quello che ho scritto in precedenze? Quando si immerge, lo tratta come un rompicapo da risolvere; studia i suoi personaggi come lingue straniere. Di nuovo, si diverte moltissimo a risolvere rompicapi e problemi e, prima delle lingue aveva una app di problemi matematici.

Tempi eccitanti, il suo primo libro, uscito nel 2020, è stato il primo lavoro veramente post femminista che ho letto. O meglio: il primo romanzo che, pur essendo ben informato di femminismo, si permetteva di “fregarsene”. La protagonista Ava, una ventiduenne irlandese un po’ persa, senza particolari ambizioni ma «brava con gli uomini», durante un periodo di lavoro come insegnante di inglese a Hong Kong (un’esperienza che ha fatto anche la stessa Dolan), incontra Julian, un banchiere inglese alto borghese, posh e ricco, che le permette di lasciare la casa Airbnb in cui vive con due coinquiline, e di trasferirsi da lui nel suo enorme attico. Ma non hanno una relazione, solo una situationship; Julian non vuole essere il suo fidanzato, e neanche Ava lo vuole, o meglio lo vorrebbe solo perché vuole piacergli più di quanto lui piaccia a lei. Questioni di potere: Julian le compra delle cose, fra cui un nuovo iPhone, e però dice «niente di quello che ti compro costa cifre assurde». Ava è perfettamente consapevole di quello scambio: la sua giovane età, il suo fargli la valigia – ma anche un pompino – prima di un viaggio di lavoro, per una casa bella e spaziosa, in cui occupa «la stanza degli ospiti».

«Il via libera che mi ha permesso di pensare ad altro», mi dice Dolan, «è stato la legalizzazione dell’aborto in Irlanda [del 2018]. Il ruolo che il femminismo ha avuto nei miei pensieri è molto cambiato nel tempo, perché mentre crescevo, in Irlanda, c’era l’impressione comune che essere donna fosse la più ovvia e ingombrante barriera alla felicità: dall’illegalità dell’aborto a tutti i discorsi orrendi e inquietanti che giravano intorno a quel dibattito, discorsi resi possibili in una società che controlla il corpo delle donne in quel modo. Quando l’aborto è stato legalizzato, è come se mi fossi sentita politicamente libera di espandere i miei pensieri, di essere più puramente materiale invece di avere sempre questa visione necessariamente di genere sulle cose. Senza assolutamente sminuire il femminismo, quella di genere è passata dall’essere la lente attraverso cui osservo il reale all’essere una delle lenti». Dolan, in inglese, si esprime in frasi lunghe costruite molto attentamente, ed è questa complessità che non volevo si perdesse. È cosciente della fragilità del diritto all’aborto, e porta il caso italiano: se è legale ma un medico può decidere di non praticarlo, l’aborto è ancora libero?, ma si riconosce il privilegio di pensare anche ad altro, in altri termini.

Naturalmente la situazione in cui una donna ricerca e ottiene dei vantaggi materiali ed economici dalla frequentazione di un uomo non è nuova, è ben radicata nella letteratura inglese, lei cita La fiera delle vanità, ma è la prima volta che il tema si trova in un romanzo che conosce e prende le mosse dal femminismo. Il femminismo neoliberale in cui siamo cresciute negli anni Novanta era quello dell’indipendenza a tutti i costi, delle spese divise cinquanta e cinquanta, dell’amore romantico e della negazione dell’interesse economico. Quello di Dolan e delle scrittrici irlandesi della sua generazione (Dolan è nata nel 1992) ingloba invece questa realtà dei soldi e del potere, che sono inestricabili dal mix delle relazioni e dei sentimenti.

Ma in Tempi eccitanti c’è anche la questione di classe: «Per gli inglesi, la classe era come l’umiltà: ce l’avevi solo finché la negavi». Mentre La coppia felice è un romanzo più borghese. «Tutto il romanzo è una forma borghese, nel senso che non è mai scritto dagli aristocratici, anche se questo non si applica all’Italia. Dickens, Elliot, Austin, sono tutte persone piccolo borghesi che scrivono dell’aristocrazia e spesso sbagliano grossolanamente». Quello che voglio dire io, però, è che mentre Tempi eccitanti è un romanzo con un’eroina in qualche misura proletaria, La coppia felice è un romanzo in cui l’eroina fa la pianista, e anche se oltre ai concerti deve dare qualche lezione di piano, non è troppo pressata dalla questione economica. L’eroe, quell’eroe abbastanza miserabile che è Luke, fa il marketing manager. E tutto il romanzo ruota intorno alle loro nozze. Anche se il matrimonio è solo un espediente narrativo, è comunque un’istituzione, oggi, abbastanza radical chic. Come dice lei stessa, nessuno si sposa più per pressioni della società (che non esistono), o perché quella delle nozze è la felicità “di default”. Ci si sposa, semmai, come gesto “aristò”, per rafforzarsi: «Senza di te, Celine apparirebbe come una mattoide fatta e finita. Un lavoro per modo di dire, zero vita sociale. Ma con un bel maritino affidabile, è soltanto un’eccentrica. E Celine ti dà prestigio culturale. Senza di lei, la tua vita appare arida». Ammetterai, le dico, che sono problemi abbastanza borghesi.

«È anche dovuto al periodo in cui ho scritto il libro», spiega Dolan, «Ci sono due modi di scrivere un romanzo nel Covid: il primo è di scriverne uno veramente triste che affronta tutte le miserie dell’umana esistenza. Il secondo è scrivere un romanzo almeno apparentemente leggero e divertente. Per questo non volevo scrivere di lavoro, per me non è mai stato divertente. Ho odiato tutti i lavori che ho avuto, forse il peggiore è stato quello di trascrivere i file audio di interviste di mercato americane. Ascoltavo tutto il tempo gente che si lamentava perché non era stata salutata all’ingresso di Walmart, per esempio. Dovevo trascrivere anche gli intercalari, tipo “ehm”. E mi pagavano sette sterline all’ora. Però è stato un buon allenamento per scrivere dialoghi».

Mi chiedo e le chiedo, però, se per caso fra Ava, protagonista del primo libro che notava le borse «Trapèze di Celine» delle amiche di Julian e faceva fra sé e sé commenti come «è ancora lì, Victoria. Non andrà da nessuna parte. La mucca è morta», e Celine, protagonista del secondo libro, che vive in un mondo tutto suo fatto solo di pianoforte, non sia semplicemente accaduto il successo. Il successo della scrittrice, intendo, che è diventata un caso editoriale al primo libro. «Intanto il successo che ho avuto non è stato immediato: ho scritto Tempi eccitanti a 24 anni e l’ho pubblicato che ne avevo 28», dice. Ho l’impressione che gli scrittori in lingua inglese non si rendano conto della portata del loro successo, il fatto che per loro, un libro che va bene vuol dire vivere per anni senza difficoltà economiche, scrivendo e basta, magari ospiti di residenze come quella della baronessa Beatrice Monti della Corte, dove Dolan ha scritto parte di La coppia felice. Non ho il coraggio di chiederle come si conciliano i cenacoli letterari con il suo essere «comunista, anche se non legata a un partito». Le chiedo invece quanto guadagna, e cosa succederebbe se i suoi libri smettessero di vendere (una domanda antipatica che accoglie con molta grazia): «Guadagno abbastanza da vivere, ma non abbastanza da comprarmi una casa o cose così. Abbastanza da pensare di libro in libro, che è anche l’unico modo di scrivere. Ma non è una vocazione, è soltanto un lavoro, anche se un bel lavoro. Se i libri non vendessero più farei altri lavori editoriali, delle traduzioni magari». Questo pragmatismo da Gen Z mi spiazza.

L’autofiction le piace da leggere, ma scrivere di sé nei libri non le interessa. Mi sembra di capire che non sarebbe un puzzle abbastanza interessante. Ha scritto un bell’essay sul Guardian a proposito di aver avuto un crollo quando viveva a Londra, ed essersi sentita subito meglio a Berlino. «Parliamo di salute mentale in modo neoliberale, come se la soluzione fosse sempre dentro di te, come se dovessi confrontare i tuoi demoni interiori o cose simili. A volte il problema è proprio l’ambiente invece, semplicemente, e appena rimuovi qualcuno da quell’ambiente o quella situazione il problema si risolve». Le dico che con me sfonda una porta aperta, le parlo del mio triste esilio romano perché ne parlo con chiunque abbia voglia di ascoltare e non abbia voglia di suggerirmi di vivere al fottuto Pigneto. Ma penso soprattutto al welfare e al ruolo dello stato nel renderci cittadini contenti o – nel caso italiano – sempre più rabbiosi e scontenti.

Capisco che quello che la appassiona soprattutto è l’ingegneria della scrittura, che usa per esprimere un genio creativo e uno sguardo unico, originalissimo sulle cose e sulle situazioni, di cui osserva i pattern, le ricorrenze. Le chiedo se si rende conto che la letteratura irlandese scritta da donne è la più interessante letteratura contemporanea in lingua inglese, e lei si anima, come se si riconoscesse parte di qualcosa e non avesse timore ad abitare pienamente una vivace corrente letteraria. Questa letteratura non ha la genericità della letteratura americana, ma non è nemmeno atavica e territoriale, legata strettamente all’Irlanda. È internazionale e contemporanea, leggera ma portatrice dei temi del presente. Dolan è sostenuta dallo spirito del tempo, ma è anche unica. Nel prossimo romanzo parlerà di quel periodo dell’Irlanda in cui all’improvviso il paese da molto povero è diventato terribilmente ricco, e che ha dato per scontato perché era piccola: gli anni Duemila. Non uscirà prima del 2026.

Raffaella Silvestri (Milano, 1984), scrittrice, ha studiato Filosofia di genere a Helsinki e Filosofia delle scienze sociali a Cambridge. Ha scritto i romanzi «La distanza da Helsinki» (Bompiani, 2014) e «La fragilità delle certezze» (Garzanti, 2017). Ha una newsletter, “Velluto”.