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Questa nuova e spericolata idea di libertà

Dalla finestra osservo una coda di patriarcato che sfila mesta e inutile. E invece la vecchiaia tira fuori vita e anarchia, come in Amis, McEwan e McCarthy e i loro tre capolavori. E come in Logan Roy, il macho milionario dai figli inetti. Sbrighiamoci, prima di rimpiangere lui e Serge Gainsbourg

Io che non so fare le rivoluzioni provo tenerezza per il patriarcato. Con tutto quell’armamentario di fisime, l’incubo della prestazione e della dimensione, la battaglia persa contro la generica disistima delle donne. Quando penso ai maschi e al loro essere stati in carica così a lungo, mi viene in mente solo l’incubo del finale grottesco a cui stiamo assistendo. La selva di spernacchiate, i processi sommari. Certo che se li sono meritati, ma lo spettacolo è comunque desolante. Come potrebbero andar bene le cose dal momento che, almeno dalle nostre parti, i maschi (più o meno la metà del mondo) si comportano in modo irrazionale e ridicolo? Sgocciolii di antichi fasti, atteggiamenti sempre più aberranti perché percepiti ormai come completamente ingiustificabili. Il mondo brucia e loro non si capacitano di non poter più comandare.

Affacciata alla finestra, spiando questa coda di patriarcato che sfila mesta e inutile, mi è venuta in mente una spiegazione sul perché quest’anno tre maschiacci che più maschi non si può, campioni indiscussi di maschilismo e machismo, hanno prodotto tre capolavori letterari. Sto parlando, ovviamente, di Martin Amis, Ian McEwan e Cormac McCarthy. Manca solo Philip Roth all’appello, solo perché è morto troppo presto, quando difendersi aveva ancora senso. A quella finestra ho visto qualcosa che questi tre libri così diversi hanno in comune: una nuova e spericolata libertà. La miglior vecchiaia porta sempre con sé l’affievolirsi dei freni inibitori, ma in questi tre giganti si è sommata alla sensazione, salvifica, di essere stati disarcionati. Non più in carica nel mondo, coperti di schizzi di biasimo, questi tre immensi scrittori hanno tirato fuori tre libri vitali, sorprendenti, anarchici. A dimostrazione di come la letteratura e l’arte in generale possono intrattenere col potere solo relazioni nefaste. O si comanda o si scrive, o si è il capo o si scrivono storie che riguardano il capo. È vero, Winston Churchill fu scrittore noto e prolifico. Ma tutta l’opera letteraria di Churchill non vale un solo paragrafo di Anton Cˇ ecov, o Katherine Mansfield. E quanto a dinosauri, piangiamo insieme la fine del più bel racconto sul tramonto del patriarca salutando la quarta e ultima stagione di Succession. Logan Roy, magnate della comunicazione, capace di tirare su un impero dal niente, lascia alle sue spalle solo macerie. Kendall, Roman e Siobhan, i tre figli, sono tanto ricchi quanto inetti, e la loro incapacità somiglia a quella di ognuno di noi. Non sono capaci di guardare davvero le cose perché si lasciano incantare dai riflessi, le proiezioni, quello che gli altri pensano. Giganteschi prototipi della società virtuale, travolti da quella particolare forma di narcisismo che è il disprezzo di sé. Diamoci da fare, o finiremo per rimpiangere gente come Logan o Serge Gainsbourg, tornato alla memoria con la morte di Jane Birkin, la più bella, la più sexy, la più ineffabile delle muse. La figlia, Charlotte Gainsbourg, ha girato un documentario struggente su questa madre enigmatica, una hezbollah dell’amore, stupefatta dall’invecchiare, annichilita dalla morte della figlia Kate. In una scena indimenticabile, la figlia accompagna la madre a visitare la casa dove hanno vissuto con Serge, prima della loro separazione, come una famiglia. È rimasta intatta, pronta per diventare un museo: le bottigliette di profumo, le foto, il bazar delle mille cose inutili. Jane si aggira commossa per quelle stanze che non aveva più visto da allora, la figlia le racconta che dopo un po’ le lattine del cibo in scatola sono esplose, e ha dovuto buttarle. Alla fine del giro la madre la abbraccia, per la prima volta, e le dice brava, hai fatto un buon lavoro. Perché alla fine l’unico buon lavoro è la memoria. Buona o cattiva che sia.

Elena Stancanelli (Firenze, 1965), scrittice. Ha esordito con “Benzina” (Einaudi, 1988). Tra i suoi libri, “Un uomo giusto” (2011), “La femmina nuda” (2016, finalista al Premio Strega) e “Venne alla spiaggia un assassino” (2019). Nel 2020 ha firmato la sceneggiatura del film di Emma Dante “Le sorelle Macaluso”.