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Se sei più brava di me ti odio. Storia di una grande offesa

Una coppia innamorata, piena di speranze. Il thriller comincia quando l’uomo realizza che la donna è più forte di lui, e si mostra per il cretino che è. Lei è sgomenta, ma deve difendersi da qualcosa che è stato infilato anche nella sua testa. Guardate «Fair play», non è distopia

C’è un posto di lavoro assurdo, alta finanza e tutti maschi che quando vengono licenziati perché non hanno portato abbastanza milioni di dollari all’azienda piangono, oppure sfasciano la scrivania e imprecano, ma sempre piangendo. E intorno i colleghi, che ridacchiano e tremano: può toccare a me, no a me non succederà. Il sogno è uguale per tutti: la prossima volta nella stanza di vetro ci sarò io, con i bonus a cinque zeri, con il potere di licenziare e fare piangere uno di voi disperati.  È un film non distopico diretto da Chloe Domont, Fair play, sta su Netflix e prima di essere un thriller erotico, come è scritto ovunque, racconta una storia d’amore tra due colleghi, quasi vicini di scrivania. Lei e lui che si amano appassionatamente, lei e lui che hanno grandi speranze, lei e lui che la mattina escono di casa separati perché l’azienda ha regole rigide: vietate le relazioni fra i dipendenti. Quindi lei lascia a casa ogni mattina l’anello che lui le ha appena regalato, lei è sinceramente emozionata ma non può dirlo, perché fra le scrivanie ha sentito che la prossima promozione toccherà a lui. Glielo bisbiglia, vuole festeggiare, sono felici, eccitati, stanno in una casa piccola lontanissima dal lavoro, al mattino escono che è ancora buio perché il centro del mondo è lontano. Ma sono giovani, ambiziosi, hanno progetti e questo innamoramento pieno di sesso che li fa sentire fortissimi. Lei si chiama Emily e ha mandato un messaggio a sua madre: ci sposiamo! Ma poi non ha tempo di richiamarla, non ha mai tempo, lavora sempre e il suo capo la convoca alle due di notte per parlarle. Lui le dice: non andarci (fosse successo a lui, si sarebbe catapultato fuori in mutande). Emily si riveste, esce di casa di notte, prende un taxi, beve whisky con questo capo orribile con gli occhi stretti che le dice: il capo adesso sei tu. Il capo adesso è lei, ha vinto lei, è più brava lei. In quel preciso momento, tutto cambia. Prima ancora dei colleghi, che prenderanno ordini da lei, prima della felicità e del terrore, prima dei soldi e del potere, prima dei vestiti nuovi che dovrà comprarsi, prima di tutto c’è lui. Come la prenderà? Emily torna a casa angosciata, le dispiace dirgli: sono io. Sono io che ho vinto, sono io che vado, sono io il tuo capo. Le dispiace davvero, pensa che sia più normale, più giusto, che la promozione l’abbia lui. Soprattutto, le dispiace per lui. Vive in questo mondo a tutti gli effetti, fa l’amore nei bagni di una festa, ha studiato per essere libera, per essere forte, ma è pronta a farsi da parte, a cedere il passo, a preferire l’esistenza del suo fidanzato alla propria. E invece lui adesso finge orgoglio e felicità, anche mentre gli cade la faccia ed è deluso. Dice: sono felice per te, sono fiero di te. Ma ha già un altro sguardo.

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